Pievepelago (MO) - Gli scavi nella Chiesa di San Paolo restituiscono un centinaio di mummie frutto di un processo di mummificazione naturale casuale

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L'universo creato è un tutto che va apprezzato nel suo insieme,
dove le ombre contribuiscono a far risplendere meglio le luci,
e anche ciò che può essere considerato brutto di per sé
appare bello nel quadro dell'ordine generale

(Alessandro di Hales, Summa)

Donne, bambini, uomini ma anche larve e topi. Che il processo di mummificazione riscontrato nella cripta della chiesa di San Paolo sia stato del tutto casuale e spontaneo lo si vede anche da qui: non si sono conservati solo i corpi dei defunti ma anche quelli della fauna cadaverica, deceduta d'inedia o per i miasmi della decomposizione.
È un caso unico per l'Italia settentrionale  e un ritrovamento eccezionale quello avvenuto tra il dicembre 2010 e marzo 2011 sotto il pavimento della Chiesa della Conversione di San Paolo Apostolo a Roccapelago, sull'Appennino modenese. Non si tratta, come accade di norma, della mummificazione volontaria di un gruppo sociale (monaci, beati o membri di famiglie illustri che siano) ma della conservazione naturale di un'intera comunità, consentita da particolari condizioni microclimatiche dell'ambiente, soggetto a scarsa umidità e intensa aerazione grazie alla presenza di due feritoie con sfiato all'esterno. Sono venuti alla luce circa 281 inumati tra adulti, anziani, infanti e settimini, presumibilmente l'intera collettività vissuta a Roccapelago tra il XVI e il XVIII secolo, quando l'ambiente fu probabilmente chiuso, sigillando per sempre una miniera di informazioni sulla vita quotidiana nel piccolo borgo.


La piramide di resti umani (e non solo) rinvenuta nella cripta della chiesa di Roccapelago

Per archeologi, antropologi ed esperti di diverse discipline si apre adesso la possibilità di ricostruire uno spaccato della storia di Roccapelago attraverso lo studio degli antichi abitanti di questo paesino di montagna. L'analisi dei resti umani consentirà di definire la diversa durata della vita di uomini e donne, la frequenza e distribuzione dei decessi infantili, la ripartizione di quelli degli adulti, le patologie di cui soffrivano, le abitudini alimentari e le presunte attività lavorative. Si cercheranno conferme all'ipotesi endogamica degli abitanti del piccolo borgo (si sposavano tra loro? anche tra consanguinei?) e si cercherà di determinare robustezza e altezza dei singoli defunti, eventuali anomalie congenite o ereditarie, malattie dovute allo stile di vita e alla particolare pesantezza del lavoro in montagna e incrociando il profilo genetico degli antichi abitanti con quello della popolazione attuale si cercherà di determinare eventuali trasmissioni cromosomiche. La ricostruzione facciale tridimensionale consentirà il recupero fisiognomico dei membri della comunità e di confrontare i loro volti con quelli dei moderni abitanti.
L'analisi di sacchi e sudari, del materiale, foggia e tipo di tessitura degli abiti, lo studio di anelli, orecchini, bracciali, spilloni per capelli, grani di rosario e medagliette religiose, l'esame dei pollini e dei resti animali e vegetali fornirà un'immagine dettagliata di quasi tre secoli di vita contadina, delle credenze, tradizioni, usanze e abitudini di quell'antica comunità, regalando a quella odierna un minuzioso e affascinante album fotografico dei suoi progenitori.


La suggestiva sagoma della Chiesa della Conversione di San Paolo Apostolo a Roccapelago di Pievepelago (MO)

La Chiesa di Roccapelago, frazione di Pievepelago, è uno degli edifici più importanti del territorio dell’Alto Frignano modenese; sorge su uno sperone roccioso elevato con una sola via d’accesso, che fu inizialmente sfruttato per insediarvi una fortezza presidiata da Obizzo da Montegarullo (tra il 1370 e il 1400 circa).
Sul finire del Cinquecento, quando ormai il complesso militare era in disuso, una parte della rocca fu riadattata e, sfruttando come base d'appoggio l'ultimo piano dell'antico fortilizio, fu realizzata la chiesa parrocchiale che raggiunse la massima giurisdizione territoriale nel XVII secolo.
A partire dal 2008, il complesso ecclesiastico è stato oggetto di un importante progetto di restauro architettonico, necessario per consolidare le strutture murarie, il tetto e la pavimentazione interna.
Il cantiere di restauro è stato controllato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le province di Bologna, Modena, Reggio Emilia (Arch. Graziella Polidori) mentre le indagini archeologiche, inevitabili vista la valenza storico-culturale del sito, sono state condotte sul campo dall’archeologa Barbara Vernia, sotto la direzione scientifica degli archeologi Luca Mercuri e Donato Labate della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna.
Lo scavo archeologico, eseguito negli ultimi tre anni contestualmente ai lavori di restauro, ha portato alla scoperta di sette tombe con sepolture multiple e allo scavo integrale di un ambiente voltato interrato  (originariamente una cannoniera funzionale alla rocca) che all’insediarsi della chiesa fu trasformato prima in cripta cimiteriale con sepoltura nel sottosuolo e poi in fossa comune con deposizioni multiple sopraterra.
Le sepolture più antiche furono individuate nella campagna del 2009  quando nell’angolo sud-est dell’ambiente furono rinvenute le ossa di due individui (una donna e un bambino), unitamente a frammenti di tessuto, una medaglietta e un anello non leggibili ma ascrivibili al XVI-XVII secolo.


Uno dei cadaveri parzialmente scheletrizzati recuperati nella chiesa di Roccapegaso

Nella campagna 2010-2011 sono emersi altri individui non ben conservati, collocati negli anfratti rocciosi, sfruttando ogni spazio disponibile, e alcuni frammenti di ceramica (maiolica arcaica e un frammento di graffita arcaica padana databile dalla seconda metà del XV alla prima metà del XVI sec.), grosso modo riconducibili all’orizzonte cronologico delineato dai ritrovamenti del 2009.
Questo strato, venne coperto da uno strato di terreno di riporto, spesso non più di 3-4 cm, della stessa composizione del precedente. Al di sopra di questo, trovarono posto altri inumati, deposti nella parte centrale della stanza in strati sovrapposti, all'interno di sacchi, come dimostrano i frammenti di tessuto rinvenuti. A causa dello schiacciamento dovuto al peso degli strati superiori, questi individui non sono in buono stato di conservazione;  la posizione ben distribuita nello spazio fa tuttavia supporre che ancora in questo momento fosse possibile un largo accesso all’ambiente. Tali sepolture sono coperte da 3-4 cm di piccoli frammenti rocciosi, forse un terreno di riporto che isolò questo livello  di deposizione da quello superiore, riconoscibile dal fatto che i corpi appaiono accatastati fino a formare una piramide: tale posizione fa dunque ritenere che l’accesso all’ambiente avvenisse da una botola posta a circa metà del lato Ovest dell’ambiente, in corrispondenza del culmine dei corpi.
In seguito, l’ambiente voltato venne colmato con pietrisco fine e, nella parte alta, con grossi massi. Ciò avvenne quando i corpi erano già mummificati poiché i più superficiali non presentano gravi segni di compressione.


L'ambiente voltato utilizzato come fossa comune prima dell'inizio degli scavi. Sulla sinistra, un cadavere mummificato

La fossa comune ha restituito complessivamente circa 300 inumati fra infanti, bambini e adulti, in gran parte mummificati (o, più correttamente, parzialmente scheletrizzati).
Si tratta di mummie naturali che presentano ancora pelle, tendini e capelli, e che sono stati deposti uno sull’altro all’interno dell’ambiente, vestiti con tunica, cuffiette e calze pesanti, avvolti in sacchi o sudari. Lo scavo ha restituito numerosi oggetti devozionali, quali medagliette, crocifissi, rosari e una quantità davvero considerevole di tessuti, pizzi e cuffie relativi all’abbigliamento e ai sudari che avvolgevano i defunti.

  
Medagliette devozionali e crocifissi rinvenuti nel corso degli scavi

Un primo esame dei reperti carpologici ha individuato tracce di nocciolo (Corylus avellana), quercia (Quercus sp.), faggio (Fagus sylvatica), castagno (Castanea sativa) e alcune Prunoidee (Prunus avium/cerasus, Prunus insititia, Prunus cf. domestica). La tipologia dei reperti e le fratture che presentano fanno pensare ad avanzi di pasto di piccoli roditori (es. scoiattoli o ghiri) che dopo essersi procurati il cibo nei boschi circostanti l'hanno consumato nella cripta insieme alle mummie.
Di grande suggestione il ritrovamento di una rara lettera "componenda" o di "Rivelazione", una sorta di contratto con Dio che prevede protezione e la concessione di cinque grazie in cambio di preghiere. La lettera è stata trovata setacciando la terra della fase profonda della stanza (non tra le mani né in tasca, quindi) e forse era stata messa sopra la defunta, poi coperta dalla terra. Portando sempre addosso queste lettere, si credeva di attrarre la protezione divina in vita e in morte.


La lettera "componenda" rinvenuta negli scavi

A destra una prima ricostruzione del testo della lettera

Quelli che diranno tre Pater Noster e se(...)
due Ave Marie ogni giorno per lo spazio di quindici
anni fino che finiscono detto numero, gli dono
cinque G....... (forse grazie)
La prima gli concedo ..... ()nazia e
remissione di tutti li peccati
Seconda non li farò ()ire le pe(N)e del purgatorio
Terza Morendo inanz() ()... li sarà concesso
(...)

Quarto li concedo (...)
avesse sparso il sangue
Quinto nel giorno d(..)
dal cielo in terra (:::)
e libererò l’anime d(:::) ...
(XXX) grado dalle pene
(SE) La presente (Rivelazione) (...)vata al santo
... sepolcro in Gie(rusalemme) ... e chi la portarà
adosso sarà libero da(l) (D)emonio e (n)on mori(r)a
subitaniamente ... mala m(or)te
Portandola adosso la (d)onna gravida partoriva
senza pericolo. nella casa dove sarà questa
Rivelazione (?) non vi sarà illusione di cose cattive
chi poi (....) ............. avanti (?)
la sua morte vedrà la Gloriosa Vergine
Maria Amen

La fossa comune fu probabilmente coperta alla dine del Settecento, sigillando per sempre una miniera di informazioni sulla piccola comunità di Roccapelago. 
Questa scoperta archeologica apre straordinarie possibilità di studio per archeologi e scienziati che potrebbero ricostruire vita, attività e cause di morte di un’intera comunità tra il XVI e il XVIII secolo. Per questo la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna sta mettendo a punto un progetto finalizzato a ricostruire sia le articolate vicende architettoniche del complesso che la vita della comunità che vi è stata sepolta.
Il restauro dell'edificio mira a valorizzarlo mediante la riqualificazione dell'immagine originaria, in parte compromessa da infelici interventi realizzati nel secolo scorso; lo studio di mummie e tessuti, la comprensione delle patologie e condizioni di vita degli abitanti di Roccapelago e la ricostruzione dei volti stessi di queste persone mira a capire quanto del loro patrimonio genetico si sia conservato fino ad ora e forse anche a recuperare quell'identità e senso di appartenenza collettiva che sempre più spesso vanno perdendo molte realtà locali minori.
Ci preme sottolineare come tutte le opere, realizzate e in corso, siano state possibili grazie ai finanziamenti dell’8 per mille destinati al restauro e al consolidamento statico di edifici di culto stanziati dalla C.E.I. (Conferenza Episcopale Italiana) e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. La stessa Fondazione CRMO, insieme alla parrocchia che ne ha fatto richiesta, si è resa disponibile a finanziare anche un secondo progetto volto al recupero della cripta e di un altro vano, cui dovrebbero partecipare anche il Comune di Pievepelago e privati locali.
Un ringraziamento particolare va poi all’Agenzia Onoranze Funebri Gianni Gibellini di Modena che ha sponsorizzato lo spettacolare trasporto delle mummie da Pievepelago a Ravenna, fornendo uomini e mezzi

Personale e mezzi dell'Agenzia Onoranze Funebri Gibellini trasportano le salme al Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali, UniBo, sede di Ravenna

Nel luglio 2013 l'Archivio di Stato di Modena ha pubblicato on line il nuovo numero dei "Quaderni Estensi, la rivista on line degli Istituti culturali estensi, n.4 (2012)". Tra i numerosi contributi presenti, a cura degli studiosi e dei collaboratori dei tre Istituti culturali estensi, anche gli articoli dell'archeologo Donato Labate e di Maria Antonietta Labellarte sui documenti cartacei rinvenuti tra le mummie e il restauro della lettera rivelazione di Maria Ori (clicca qui per scaricare il pdf)


Dati antropologici preliminari relativi agli inumati a scheletrizzazione incompleta rinvenuti a Roccapelago (Mirko Traversari e Vania Milani, antropologi)

 
Particolare di due cadaveri parzialmente scheletrizzati recuperati nella chiesa di Roccapelago

Il potente strato di corpi venuto alla luce, strettamente adesi tra loro in una sequenza diacronica probabilmente protratta nel tempo, presentava alcuni aspetti interessanti: nonostante la corruzione dei resti e i danni inferti dalle deposizioni successive, era ancora riconoscibile la giacitura primaria dei cadaveri (osservata grazie alla persistenza di numerosissime articolazioni labili ancora saldamente connesse, come ad esempio le mani e i piedi); la decomposizione è avvenuta in spazio pieno. Per caratteristica deposizionale, si sono malamente conservati elementi accessori al corpo, rari gli indumenti, rarissimi i sacchi usati a guisa di sudario.
Senza soluzione di continuità ed in stretta aderenza a questa prima fase (i tessuti dei sudari e degli indumenti erano completamente attaccati tra loro, quasi incollati dall’inzuppamento dei fluidi di decomposizione), è continuata la pratica di deporre i corpi nell’ambiente.
Tra i corpi umani si è trovata anche fauna cadaverica, in questo caso un topo anch'esso mummificatoAnche in questo caso la tipologia di deposizione è primaria mentre la decomposizione è avvenuta in spazio vuoto. È presente una fauna cadaverica (topi, insetti, etc), in alcuni casi mummificata tra i corpi, deceduta forse per i miasmi tossici generati dalla decomposizione; sono inoltre numerosissimi i pupari di ditteri (involucri di larve) rinvenuti sia all'esterno che all'interno dei distretti scheletrici. Il particolare microclima creatosi all’interno della camera di deposizione, favorito dalle due aperture individuate sulla parete Ovest, ha prodotto in numerosissimi casi la conservazione di alcuni tessuti e strutture legamentose o tendinee, così come sono discrete le condizioni di alcuni elementi di abbigliamento o sacchi sudario che avvolgevano i corpi.
Sono state individuate alcune forme di pietas quali la composizione canonica del cadavere (mani intrecciate sull’addome o in atto di preghiera, permanenza di anelli nuziali alle dita, abiti curati con abbellimenti anche se sempre modesti) oppure elementi di decoro quali i tessuti che fasciavano la mandibola per evitare lo spalancamento della bocca.
Le deposizioni risultano comunque molto disordinate, il che fa ipotizzare una prima fase di fruizione della camera di sepoltura con accesso diretto. In un secondo tempo la fruizione dell’ambiente deve essere avvenuta da un’apertura nel soffitto (il piano di calpestio della moderna chiesa): in questo caso i corpi venivano probabilmente calati, fattore che spiegherebbe il grave disordine delle salme, alcune delle quali presentavano posture assolutamente singolari che la parziale mummificazione di alcuni tessuti e l’abbigliamento hanno conservato.
La botola di servizio era probabilmente in prossimità della cuspide generatasi dall’accatastamento dei corpi. L'impressionante postura con cui si presentava una delle mummie

Da una prima analisi sul campo appare evidente l’eterogenea rappresentatività del campione deposto rispetto alle varie fasce di età e di sesso (i dati sono in fase di elaborazione), mentre sono state osservate alcune anomalie congenite, diversi caratteri epigenetici, markers occupazionali ed enteropatie, nonché alcune evidenze scheletriche da traumatismo.
Ad una prima osservazione riconoscibili irregolarità (rugosità, superficie rimodellata, rilievi, solchi) sulle aree di attacco dei muscoli e dei legamenti sull’osso. In modo particolare il dato è manifestato sulle ossa degli arti superiori, della clavicola e su tibia e perone. L’analisi di tali tracce potrà meglio indicare quali fossero le attività della popolazione.
Sono, per il momento, da segnalare alcuni casi interessanti di malattie articolari di tipo degenerativo dovute all’usura delle cartilagini delle articolazioni, causate da fattori generali, innanzitutto l’età (le cartilagini si usurano e diventano sempre meno capaci di sopportare carichi), la predisposizione ereditaria, alcune attività lavorative (che prevedono posture fisse e costanti) e fattori locali, come traumi e microtraumi. Gli arti inferiori mostrano periostite, una malattia infiammatoria, mentre la colonna vertebrale -in più casi su individui giovani- dimostra sovraccarichi funzionali di origine lavorativa.
Nel campione scheletrico sono stati rilevati numerosi traumi, sia a carico del cranio che delle ossa degli arti inferiori.
Per quanto riguarda la salute dentaria, sono evidenti le carie e i processi infiammatori cronici che determinano la perdita dei tessuti parodontali (gengiva, egamento periodontale, cemento e alveolo) a sostegno dei denti (retrazione del margine alveolare) e collegabile all’età avanzata.

Si può concludere in questa fase dei lavori che il campione scheletrico recuperato sta per ora prospettando una situazione riferibile a inumati appartenenti ad un insieme chiuso le cui attività occupazionali risentivano della morfologia ambientale e climatica del luogo in cui vivevano.

In accordo con la Parrocchia di Roccapelago, la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e il Comune di Pievepelago, la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna presenterà in una conferenza stampa i primi risultati dell’indagine archeologica. Per l’occasione sarà possibile vedere due mummie, le cui peculiarità saranno illustrate dall’antropologo Giorgio Gruppioni dell'Università degli Studi di Bologna, sede distaccata di Ravenna.

Gli scavi sono stati finanziati principalmente dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, con il contributo della Conferenza Episcopale Italiana, Provincia di Modena, Comune di Pievepelago e privati.

Cantiere Archeologico
Direzione scientifica
: Luca Mercuri e Donato Labate (Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna)
Ditta di scavo archeologico: Barbara Vernia, Forlì (FC), con la partecipazione di Mirko Traversari e Vania Milani (analisi materiale osteologico),  Luna Cavallari (collaboratore di scavo), Alessandra Alvisi (rilievi)
Periodo delle indagini archeologiche: iniziate nel dicembre 2008 e riprese tra il dicembre 2010 e febbraio 2011

Cantiere di Restauro
Direzione scientifica
: Graziella Polidori (Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le province di Bologna, Modena, Reggio Emilia)
Direttore lavori architettonici: Arch. Andrea Sampieri, Firenze
Direttore lavori strutturali: Ing. Stefano Iattoni
Ditta esecutrice dei lavori: Impresa Pighetti Costruzioni e Impresa Crovetti Dante

Finanziamenti
Tutte le opere, realizzate e in corso, sono state possibili grazie ai finanziamenti dell’8 per mille destinati al restauro e al consolidamento statico di edifici di culto stanziati dalla C.E.I. (Conferenza Episcopale Italiana) e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. La stessa Fondazione Carismo, insieme alla parrocchia che ne ha fatto richiesta, si è resa disponibile a finanziare anche un secondo progetto volto al recupero della cripta e di un altro vano, cui dovrebbero partecipare anche il Comune di Pievepelago e privati locali.
Il trasporto delle mummie è stato sponsorizzato dall’Agenzia Onoranze Funebri Gianni Gibellini di Modena

Valorizzazione
Studio reperti archeologici
: Barbara Vernia
Studi antropologici in corso di scavo: Vania Milani e Mirko Traversari
Studi antropologici in progetto: Giorgio Gruppioni (Università degli Studi di Bologna, sede di Ravenna)
Studio dei tessuti: Iolanda Silvestri e Marta Cuoghi Costantini (’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna)
Studio archeobotanico: Giovanna Bosi (Dipartimento di Biologia – Orto Botanico di Modena, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia)

Progetto di Valorizzazione
L’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna, nella persone di Iolanda Silvestri e Marta Cuoghi Costantini, e i Musei Civici di Modena, nelle persone di Francesca Piccinini (Museo d’Arte) ed Ilaria Pulini (Museo Archeologico Etnologico), si sono resi disponibili a redigere un progetto di valorizzazione dei rinvenimenti che saranno in parte esposti nei Civici Musei di Modena e in parte direttamente nel luogo del rinvenimento, cioè nella cripta della Chiesa di San Paolo di Roccapelago

Istituti che partecipano alla ricerca
Laboratorio di Antropologia, Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Bologna (sede di Ravenna)
Dipartimento di Biologia, Orto Botanico di Modena, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna
CRSA MedIngegneria di Marina di Ravenna per le analisi chimico-fisiche
University of Huddersfield (UK) per le indagini di entomologia archeologica, Dott. Stefano Vanin
Università di Verona per le analisi di paleo microbiologia
Università di Torino e Università di Genova per le analisi e gli eventuali interventi conservativi dei tessuti mummificati

Il luogo del rinvenimento, cioè la cripta della Chiesa di San Paolo di Roccapelago, è raggiungibile dal Museo "Sulle orme di Obizzo di Montegarullo", aperto a richiesta telefonando per info e prenotazioni al 0536 71890 (ingresso a offerta libera)

In occasione della rassegna "Suggestioni tra le torri", il 24 e 25 settembre, l'1 e 2 ottobre, l'8 e 9 ottobre e il 15 e 16 ottobre, il museo-castello è aperto il sabato dalle 15 alle 17 e la domenica dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 15 alle 17