Inquadramento generale: Luca Mercuri e Donato Labate (archeologi SBAER), Barbara Vernia
Riemergono dalla cripta della chiesa di San Paolo di Roccapelago un centinaio di mummie, frutto di un processo di mummificazione casuale. È un caso unico nell’Italia settentrionale. Non si tratta, come spesso accade, della mummificazione volontaria di un gruppo sociale (monaci, beati, membri di famiglie illustri), ma della conservazione naturale (dovuta a particolari condizioni microclimatiche) di un'intera comunità, qui sepolta tra la seconda metà del ‘500 e il ‘700. Rinvenuti anche i resti di due ambienti del castello medievale di Obizzo da Montegarullo uno dei più potenti signori del Frignano, che si ribellò alla fine del XIV secolo al dominio agli Estensi
La Chiesa della Conversione di San Paolo Apostolo, a Roccapelago, è uno degli
edifici più importanti del territorio dell’Alto Frignano modenese, a partire
dalla peculiarità morfologica del sito, uno sperone roccioso elevato e con una
sola via d’accesso, che fu sfruttato per insediarvi la fortezza presidiata da
Obizzo da Montegarullo tra il 1370 e il 1400 circa.
Sul finire del Cinquecento, quando ormai il complesso militare era in disuso,
una parte della rocca fu riadattata per realizzare una chiesa parrocchiale, che
raggiunse la massima giurisdizione territoriale nel XVII secolo.
A partire dal 2008, il complesso ecclesiastico è stato oggetto di un importante
restauro architettonico, resosi necessario per consolidare le strutture murarie,
il tetto e la pavimentazione interna.
I lavori sono stati preceduti dall’indagine archeologica condotta sul campo
dall’archeologa Barbara Vernia, sotto la direzione scientifica degli archeologi
Donato Labate e Luca Mercuri della Soprintendenza per i Beni Archeologici
dell’Emilia-Romagna.
Lo scavo archeologico, eseguito contestualmente ai lavori di restauro, ha
portato nel corso degli ultimi tre anni alla scoperta di sette tombe con
sepolture multiple e allo scavo integrale di un ambiente voltato interrato,
originariamente appartenuto alla rocca, che all’insediarsi della chiesa fu
trasformato prima in cripta cimiteriale con sepolture nel sottosuolo, e in
seguito in fossa comune con deposizioni multiple sopra terra.
Questa fossa comune ha restituito complessivamente circa 300 inumati fra
infanti, bambini e adulti, gran parte dei quali rinvenuti parzialmente
mummificati, come riportato nella relazione preliminare degli antropologi Vania
Milani e Mirko Traversari che hanno seguito in tutte le fasi le indagini.
Si tratta di mummie naturali che presentano ancora pelle, tendini e capelli, e
che sono state deposte all’interno dell’ambiente in un sacco o sudario, una
sull’altra, vestite con tunica e calze pesanti.
Il rinvenimento è eccezionale perché non si tratta, come accaduto altrove (ad
esempio a Napoli e Palermo), della mummificazione volontaria di un gruppo
sociale (monaci, beati, membri di famiglie illustri), ma della conservazione di
tutta la comunità, permessa da particolari condizioni microclimatiche.
Preme sottolineare che tutte le mummie e i resti scheletrici rinvenuti nella
cripta, per un totale di 281 individui, sono stati trasportati presso il
Laboratorio di Antropologia di Ravenna, grazie alla generosa disponibilità
dell’agenzia funebre Gianni Gibellini di Modena che con grande liberalità ha
messo a disposizione il personale e cinque automezzi. I reperti sono stati
invece trasferiti al Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena in attesa di
iniziarne i restauri e definirne il progetto di valorizzazione.
Dopo la conclusione delle indagini archeologiche e antropologiche si sono dunque
aperte straordinarie possibilità di studio per studiosi e scienziati che
potranno ricostruire vita, attività e cause di morte di un’intera comunità tra
il XVI e l’XVIII secolo.
La Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna in collaborazione
con il Laboratorio di Antropologia del Dipartimento di Storia e Metodi per la
Conservazione dei Beni Culturali - Università di Bologna (sede di Ravenna) sta
mettendo a punto un progetto europeo finalizzato allo studio dei corpi e delle
condizioni di vita nella comunità cui appartenevano. Si studieranno lo stato di
salute, l’alimentazione, tipo di lavoro, rapporti di parentela, caratteristiche
genetiche, ma anche gli aspetti legati alla religiosità e alla devozione. Lo
scavo ha restituito numerosi oggetti, quali medagliette, crocifissi, rosari e
una quantità davvero considerevole di tessuti, pizzi e cuffie relativi
all’abbigliamento e ai sudari che avvolgevano i defunti.
Sarà anche possibile ricostruire i volti di queste persone e capire quanto del
loro patrimonio genetico si sia conservato fino ad ora.
Bologna, 16 giugno 2011
Donato Labate (Archeologo
SBAER) Tel. 339 7930338
Luca Mercuri (Archeologo
SBAER) Tel. 051 223773
Barbara Vernia (archeologa Ditta
Individuale - FC) Tel. 340 2916935
Scoperta importante per la ricerca storica e archeologica (Andrea Landi, Presidente Fondazione CRMO)
Le mummie di Roccapelago emerse grazie ad un restauro finanziato dalla
Fondazione
In passato ritrovamenti archeologici anche sotto la chiesa di San Francesco di
Modena
“È una scoperta importante, che consentirà di sviluppare nuove direzioni di
ricerca nei settori dell’archeologia e dell’antropologia, oltre ad aggiungere
importanti tasselli alla conoscenza della storia e delle tradizioni della
comunità montana modenese”. È con soddisfazione che Andrea Landi, presidente
della Fondazione Cassa di risparmio di Modena, commenta l’eccezionale
ritrovamento di 100 mummie presso la chiesa di San Paolo di Roccapelago,
nell’Appennino modenese, avvenuto nel contesto di un intervento di restauro
sostenuto dall’ente.
La Fondazione si è interessata alle sorti della chiesa di Roccapelago a partire
dal 2008, con un primo intervento volto a risanare una grave lesione muraria che
aveva provocato avvallamenti del pavimento: la rimozione degli intonaci ha
portato alla luce una stanza che conteneva circa 300 corpi inumati, risalenti al
periodo compreso tra il 1500 e il 1700, di cui un centinaio mummificati. Ciò ha
innescato un secondo finanziamento della Fondazione, necessario per conservare e
rendere visibili le testimonianze archeologiche tramite l’installazione di
cristalli e grate sul pavimento della chiesa. Complessivamente, i fondi messi a
disposizione ammontano ad oltre mezzo milione di euro.
Non è la prima volta che grazie ad un intervento di restauro promosso dalla
Fondazione è possibile non solo far affiorare, ma soprattutto valorizzare e
rendere pubbliche importanti testimonianze archeologiche del passato. Ricordiamo
in particolare, nel 2007, nel corso dei lavori di consolidamento della chiesa di
San Francesco di Modena, la scoperta di un sigillo papale in piombo dell’epoca
di Celestino V e dei 440 frammenti del Monumento Funebre Belleardi, opera di
Antonio Begarelli, che, dopo il passaggio delle truppe napoleoniche nel 1798, si
riteneva perduto per sempre.
Più di recente una necropoli di epoca altomedievale e un sepolcreto del XVI-XVII
secolo sono stati rinvenuti nella Chiesa della Natività di Maria Santissima a
Magreta di Formigine, in provincia di Modena. Anche in questo caso, la scoperta
archeologica è avvenuta a margine di un intervento di consolidamento sostenuto
dalla Fondazione.
“Il recupero e la conservazione del patrimonio architettonico, storico e
artistico rappresentano un capitolo fondamentale dell’attività della Fondazione
– aggiunge il presidente Andrea Landi -. Al restauro di monumenti, palazzi
storici e edifici di culto riserviamo ogni anno oltre il 40 per cento delle
risorse disponibili per le erogazioni nel settore della cultura. Gli interventi
messi in campo grazie alla Fondazione contribuiscono alla valorizzazione del
territorio, anche in termini di sviluppo del turismo culturale, e a rafforzare
il senso di appartenenza della comunità ad una provincia ricca di storia e
tradizioni ”.
Modena, 22 giugno 2011
Informazioni: Cecilia Lazzeretti tel. +39 059 239888-104 fax +39 059 238966
e-mail
ufficiostampa@fondazione-crmo.it
Relazione architettonica: Andrea Sampieri (architetto e DDLL)
Il cantiere di restauro della Chiesa della Conversione di San Paolo Apostolo
A partire dal 2008, il complesso ecclesiastico è interessato da un importante cantiere di restauro architettonico, operazione mossa dalla necessità di consolidare le strutture murarie sul lato est, lesionate, e per il rifacimento strutturale del tetto, con sostituzione dell’attuale manto di copertura incoerente con l’organismo edilizio oltre ad interventi, all’interno, di risanamento e integrazione delle pavimentazioni e altre opere
FINANZIAMENTO
Tutte le categorie di intervento realizzate, e in corso, sono state rese
possibili dai finanziamenti ottenuti dall’8 per mille e destinati al restauro e
al consolidamento statico di edifici di culto stanziati dalla C.E.I. (Conferenza
Episcopale Italiana) e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, la quale
insieme alla parrocchia, che ne ha fatto richiesta, si è resa disponibile a
finanziare anche il secondo progetto, con la partecipazione del Comune di
Pievepelago, della Provincia di Modena e di privati locali, rivolto al recupero
dei vani ritrovati durante i lavori di scavo archeologico diretti dalla
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
INTERVENTI PROGETTUALI
Al recupero di tali ambienti si è provveduto operando contemporaneamente sia al
loro consolidamento strutturale, sia rendendo visibili tali testimonianze per
chi visita la chiesa tramite l’installazione di cristalli e grate a pavimento,
oltre a divenire visitabili anche attraverso il collegamento aperto tra
l’attuale mostra permanente dedicata al Fortilizio di Obizzo da Montegarullo,
posta nei vani del complesso ecclesiastico, i quali si trovavano a una quota
compatibile con le quote degli ambienti ritrovati e che hanno pertanto suggerito
la messa in comunicazione fra i due, al fine di ampliare il percorso espositivo
delle sale museali
PROSPETTIVE
L’esecuzione dei Lavori dei due progetti è in fase di completamento e le
principali tappe progettuali, che ne hanno scandito la resa, si inquadrano in un
contesto di ben più ampio respiro anche di prospettive future, là dove a partire
dall’attuale complesso chiesastico si punta alla divulgazione della conoscenza
dall’originaria identità medievale, all’interno di un più ‘moderno’ concetto di
sistema museale che guarda alla storia di questi luoghi, nei quali l’uomo ha
sapientemente sfruttato le caratteristiche morfologiche di un territorio
difficile come quello della montagna, nel quale il binomio
architettura-paesaggio determina l’unicità, l’eccellenza e il genius loci di
queste terre del Frignano nell’alto Appennino Modenese
Firenze, 15 giugno 2011
Direttore lavori architettonici:
Arch. Andrea Sampieri
Direttore lavori strutturali: Ing. Stefano Iattoni
Ditta esecutrice dei lavori: Impresa Pighetti Costruzioni e Impresa Crovetti
Dante
Relazione antropologica preliminare: Vania Milani e Mirko Traversari (antropologi)
Dati preliminari osservati sullo scavo
L’asportazione degli strati non organici che ingombravano il volume
dell’ambiente sotterraneo ha permesso di evidenziare un’area con chiare finalità
inumatorie.
Il potente strato di corpi, strettamente adesi tra loro in una sequenza
diacronica probabilmente protratta nel tempo, presentava alcuni aspetti
peculiari degni di interesse. Gli inumati più profondi, furono deposti
sfruttando le asperità rocciose del massiccio sottostante la fabbrica della
chiesa affiorante sotto al piano di calpestio. Nonostante la corruzione dei
resti e i danni inferti dalle deposizioni successive, era ancora riconoscibile
la giacitura primaria dei cadaveri, determinata grazie alla persistenza di
numerosissime articolazioni labili ancora saldamente connesse, spesso in
decubito laterale, ma anche prone e supine. La decomposizione è avvenuta in
spazio pieno, i corpi furono probabilmente sepolti e inglobati da uno strato
terroso, per caratteristica deposizionale, si sono malamente conservati elementi
accessori al corpo, rari gli indumenti e i sacchi usati a guisa di sudario.
Senza soluzione di continuità e in stretta aderenza a questa prima fase di
utilizzo, come dimostrato dai tessuti dei sudari e degli indumenti completamente
adesi tra loro, quasi incollati dall’imbibimento dei fluidi della decomposizione
riconoscibili grazie alle numerose macchie ancora visibili, senza diaframmi
terragni di separazione, è continuata la pratica depositoria dei corpi
nell’ambiente. La tipologia inumatoria riconosciuta anche in questo caso è
assolutamente primaria, oppure primaria rimaneggiata antropicamente, a causa
delle successive sepolture, mentre la decomposizione in questo caso è avvenuta
in spazio vuoto, come dimostrato dal rotolamento del cinto pelvico, scivolamento
della patella, verticalizzazione scapolare, traslazione mandibolare, ecc.,
presenza di fauna cadaverica in alcuni casi mummificata tra i corpi, deceduta
forse per i miasmi tossici generati dalla decomposizione, numerosissimi pupari
di ditteri esterni ed interni ai distretti scheletrici.
Il particolare microclima creatosi all’interno della camera di deposizione,
favorito dalle due aperture individuate sulla parete, ha prodotto in
numerosissimi casi la conservazione di alcuni tessuti e strutture legamentose o
tendinee, così come sono discrete le condizioni di alcuni elementi di
abbigliamento o sacchi sudario che avvolgevano i corpi.
Numerose le forme di pietas, quali la composizione canonica del cadavere con
mani intrecciate sull’addome o in atto di preghiera, permanenza di anelli
nuziali alle dita, abiti curati con abbellimenti, oppure elementi di decoro
quali tessuti che fasciavano la mandibola per evitare lo spalancamento della
bocca.
Le deposizioni risultano comunque molto disordinate. È ipotizzabile una prima
fase di fruizione della camera di sepoltura con accesso diretto, per la quale è
appunto attribuibile la composizione di alcune salme come poco fa descritto. In
un secondo tempo la fruizione dell’ambiente deve essere avvenuta da un’apertura
nel soffitto (il piano di calpestio della moderna chiesa) ritrovata nel livello
di demolizione che ingombrava l’ambiente. In questo caso i corpi vennero
probabilmente calati: si spiegherebbe così il grave disordine delle salme,
alcune delle quali presentavano posture assolutamente singolari, come
supinazione completa del corpo con inarcamento spinale e ribaltamento a livello
cranio-caudale delle braccia, scivolamento laterale della salma sullo strato dei
cadaveri, fino a fissarsi in alcuni casi a circa 60° sulla linea cranio-caudale
rispetto al piano di calpestio, posizione seduta delle gambe sempre dovuta alla
precipitazione dei distretti periferici ancora freschi, che la parziale
mummificazione di alcuni tessuti e l’abbigliamento hanno conservato. La botola
di servizio era probabilmente in prossimità della cuspide generatasi
dall’accatastamento dei corpi.
Da una prima analisi on field appare evidente l’eterogenea rappresentatività del
campione deposto rispetto alle varie fasce di età e di sesso. A conferma
dell’appartenenza dei defunti ad un unico gruppo sono state osservate alcune
anomalie congenite, diversi caratteri epigenetici e discontinui/genetici, oltre
a markers occupazionali e manifestazioni patologiche legate a degenerazioni
articolari (conseguenti sia ad attività lavorative pesanti che ad una
predisposizione ereditaria) che permettono di fare una concreta ipotesi di un
insieme chiuso di persone, abitanti di Roccapelago nel XVI- XVIII secolo.
Modena, 15 giugno 2011
Le vesti delle mummie: Iolanda Silvestri e Marta Cuoghi Costantini (IBC Regione Emilia-Romagna)
Il sensazionale ritrovamento di 100 mummie nella sepoltura della chiesa di
San Paolo di Roccapelago, databili sicuramente in un arco cronologico compreso
il XVI e il XVIII secolo, aprirà agli studiosi e ai restauratori dei tessili
antichi nuovi spazi per la ricerca con la scoperta di conoscenze più certe ed
emozionanti legate alla storia del costume di un’intera comunità montana.
Il corredo tessile recuperato è sorprendente per consistenza e buona
conservazione dei materiali costituiti da sudari che rivestono i corpi, da vesti
in semplice tela di lino o cotone di diversa finezza rifinite ai polsi e al
collo da bordi in merletti a traforo geometrico a cui si aggiungono calze in
maglia e copricapi a cuffietta in feltro di lana.
Niente seta dunque, solo lino, cotone e lana grezzi eccezionalmente stampati con
immagine sacre. Il tutto a testimoniare uno stile di vita povero e sobrio tipico
della zona che impiega manufatti tessili quasi sicuramente lavorati in loco e
dove la sola materia prima costosa non autoctona è il filato di lino e di
cotone.
Le uniche tracce di lusso documentate -se di lusso si tratta- provengono dal
ricco corredo di ornamenti sacri e profani (collane, anelli, medaglie e
crocefissi in oro argento, metallo, legno, pietra e vetro di fattura essenziale)
ritrovati in dotazione a diverse mummie e da cui, più facilmente degli abiti, si
potrà risalire alla scala sociale di appartenenza, al tipo di culto professato e
allo stile di vita dei nativi del luogo.
Decisamente più complesso e delicato dello studio si prospetta invece il
problema della conservazione di questi materiali che, giunti a noi ben protetti
dalla sepoltura secolare fortunatamente al riparo dall’umidità, per la natura
organica di cui sono fatti, rischiano tuttavia una volta disseppelliti e
manipolati di decomporsi rapidamente anche sotto le mani dei restauratori più
esperti.
Modena, 22 maggio 2011
Iolanda Silvestri
(esperta di tessuti antichi, IBC)
Marta Cuoghi Costantini (esperta di tessuti antichi, IBC)
Istituto per Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna
40121 Bologna, via Galliera 21 - Tel. 051 527 6631 Fax 051 232 599
e-mail
Musei@regione.emilia-romagna.it
WEB
www.ibc.regione.emilia-romagna.it
Progetto di ricostruzione antropologica: Giorgio Gruppioni (UniBo, sede di Ravenna)
I resti umani di Roccapelago (Mo): ricostruzione antropologica di una comunità isolata dell’Appennino modenese
Il ritrovamento dei resti umani, in parte mummificati, di numerosi inumati,
nella chiesa di Roccapelago (Mo), riveste un grande interesse scientifico, sia
per le importanti conoscenze che esso potrà fornire per la ricostruzione della
storia antropologica e bioculturale della piccola comunità vissuta nel passato
in questa località, sia per indagare sui processi e sui meccanismi
microevolutivi delle popolazioni umane e sul loro rapporto con l’ambiente e le
risorse.
Dai resti umani si possono infatti ottenere molte informazioni sulle
caratteristiche biologiche e sulle vicende umane di individui vissuti nel
passato. Essi conservano tracce del profilo biologico di ciascun individuo, che
possono consentire di ricostruirne ad esempio l’aspetto somatico, il sesso,
l’età di morte, fino anche all’identità genetica attraverso l’esame del DNA
estratto dai resti. Allo stesso tempo sui resti scheletrici si possono
individuare indicatori correlati con la dieta nonché segni riconducibili a
malattie, a stati carenziali, all'attività fisica svolta o ad eventi traumatici
che hanno colpito il soggetto nel corso della sua esistenza.
Le osservazioni preliminari finora eseguite sui materiali osteoarcheologici di
Roccapelago preannunciano risultati di notevole interesse anche con riferimento
alle particolari condizioni ambientali, di vita e di sussistenza nonché di
isolamento geografico e bioculturale in cui è vissuta questa piccola comunità
per secoli. Tutto ciò suggerisce di effettuare su di essi una ricerca
sistematica, multidisciplinare, con un duplice scopo, scientifico e di
comunicazione delle conoscenze, anche mediante tecnologie innovative di ricerca
e di divulgazione scientifica. Con questo obiettivo gli studi che ci si propone
di effettuare sono i seguenti:
- analisi osteologica dei reperti, anche con l’ausilio di tecniche radiologiche
(radiografie e TAC) e istologiche, finalizzate alla ricostruzione delle
caratteristiche antropologiche e paleodemografiche della popolazione;
- esame delle lesioni odontostomatologiche e ossee dovute a malattie genetiche,
metaboliche, infettive ed osteoarticolari, a traumi, a cause
igienico-nutrizionali e a stati carenziali;
- analisi degli indicatori di stress biomeccanici, funzionali e ambientali dello
scheletro riconducibili all’ambiente e all’attività fisica svolta;
- esame degli indicatori dentali nonché degli elementi in traccia e degli
isotopi stabili presenti nelle ossa per la ricostruzione della paleo dieta;
- rilevazione e analisi dei caratteri epigenetici dello scheletro in relazione
alle possibili condizioni endogamiche della comunità;
- analisi del DNA estratto dai reperti per la ricostruzione della struttura e
della storia genetica della popolazione nonché della possibile continuità
genetica con la comunità locale attuale;
- studi di entomologia archeologica su resti di insetti e larve associati alle
sepolture allo scopo di contribuire a rivelare aspetti connessi con le modalità
e le condizioni di inumazione;
- indagini paleomicrobiologiche finalizzate alla rivelazione di microrganismi
patogeni;
- ricostruzione mediante modellazione virtuale 3D e tecniche di facial
reconstruction in uso nel campo dell’antropologia forense, del volto e
dell’aspetto somatico di alcuni inumati;
- ricostruzione mediante tecnologie virtuali 3D delle sepolture più
significative da impiegare ai fini di una efficace valorizzazione e divulgazione
in ambito museale.
La ricerca sarà condotta presso il Laboratorio di Antropologia del
Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali
dell’Università di Bologna (sede di Ravenna) dal prof. Giorgio Gruppioni e dalla
sua equipe scientifica, con la collaborazione di esperti di altri centri di
ricerca fra cui:
prof. Massimo Andretta - CRSA MedIngegneria, Marina di Ravenna - per le analisi
chimico-fisiche
dott. Stefano Vanin - University of Huddersfield (UK) - per le indagini di
entomologia archeologica
prof. Giuseppe Cornaglia - Università di Verona - per le analisi di paleo
microbiologia
dott.ssa Rosa Boano - Università di Torino e Prof. Ezio Fulcheri - Università di
Genova - per le analisi e gli eventuali interventi conservativi dei tessuti
mummificati
Ravenna, 15 giugno 2011
Prof. Giorgio Gruppioni, Università degli Studi di Bologna, sede di Ravenna, Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali
Progetto di valorizzazione: Francesca Piccinini e Ilaria Pulini (Musei Civici Modena)
Un'eccezionale opportunità per una valorizzazione culturale e turistica di Roccapelago
Il ritrovamento delle Mummie di Roccapelago rappresenta un unicum nella
nostra regione e certamente offre un’eccezionale opportunità per una
valorizzazione turistica del sito monumentale, storico e archeologico della
rocca.
Dallo studio dei defunti accolti per oltre due secoli in questo sepolcreto e dei
pochi umili oggetti che ne costituivano il corredo potrà infatti emergere un
quadro suggestivo della vita di una comunità della montagna modenese fra 500 e
700, quando la Rocca, terminata l’era gloriosa dei Montegarullo, gravitava
nell’orbita dei territori estensi al confine con la Lucchesia.
Per interpretare in modo appropriato quanto è emerso dagli scavi e offrirlo al
pubblico sotto forma di “narrazione storica” sarà necessario un approccio
pluridisciplinare che dovrà incrociare gli aspetti archeologici, storici e
antropologici con una valutazione attenta dei criteri di conservazione ed
esposizione di reperti altamente deperibili quali i resti umani e i relativi
corredi tessili.
Certamente, vista la complessità dell’intervento, sarebbe auspicabile una
sinergia fra enti e istituzioni culturali a livello locale e regionale che,
attraverso un’azione congiunta, possa individuare le metodologie più idonee per
trasformare l’opportunità fornita dallo studio di questo eccezionale
ritrovamento in un caso di eccellenza in termini di valorizzazione e promozione
turistica sul territorio nazionale.
Modena, 16 giugno 2011
Francesca Piccinini,
Direttrice Museo Civico Arte
Ilaria Pulini, Direttrice
Museo Civico Archeologico Etnologico
Lavori di restauro architettonico nella Chiesa della Conversione di San Paolo Apostolo a Pievepelago, località Roccapelago (MO)
Cantiere di Restauro
Direzione scientifica: Graziella Polidori (Soprintendenza per i Beni
Architettonici e per il Paesaggio per le province di Bologna, Modena, Reggio
Emilia)
Direttore lavori architettonici: Arch. Andrea Sampieri, Firenze
Direttore lavori strutturali: Ing. Stefano Iattoni
Ditta esecutrice dei lavori: Impresa Pighetti Costruzioni e Impresa Crovetti
Dante
Cantiere Archeologico
Direzione scientifica: Luca Mercuri e Donato Labate (Soprintendenza per i
Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna)
Ditta di scavo archeologico: Barbara Vernia, Forlì (FC), con la partecipazione
di Mirko Traversari (responsabile analisi materiale osteologico), Vania Milani
(analisi materiale osteologico), Luna Cavallari (collaboratore allo scavo),
Alessandra Alvisi (rilievi)
Periodo delle indagini archeologiche: iniziate nel dicembre 2008 e riprese tra
il dicembre 2010 e marzo 2011
Finanziamenti
Tutte le opere, realizzate e in corso, sono state possibili grazie ai
finanziamenti dell’8 per mille destinati al restauro e al consolidamento statico
di edifici di culto stanziati dalla C.E.I. (Conferenza Episcopale Italiana) e
dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. La stessa Fondazione Carismo,
insieme alla parrocchia che ne ha fatto richiesta, si è resa disponibile a
finanziare anche un secondo progetto volto al recupero della cripta e di un
altro vano, cui dovrebbero partecipare anche il Comune di Pievepelago e privati
locali.
Il trasporto delle mummie è stato sponsorizzato dall’Agenzia Onoranze Funebri
Gianni Gibellini di Modena
Valorizzazione
Studio reperti archeologici: Barbara Vernia
Studi antropologici in corso di scavo Vania Milani e Mirko Traversari
Studi antropologici in progetto, Giorgio Gruppioni (Università degli Studi di
Bologna, sede di Ravenna)
Studio dei tessuti Iolanda Silvestri e Marta Cuoghi Costantini (Istituto per i
Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna)
Studio archeobotanico, Giovanna Bosi (Dipartimento di Biologia – Orto Botanico
di Modena, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia)
Progetto di Valorizzazione
L’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione
Emilia-Romagna, nella persone di Iolanda Silvestri e Marta Cuoghi Costantini, e
i Musei Civici di Modena, nelle persone di Francesca Piccinini (Museo d’Arte) ed
Ilaria Pulini (Museo Archeologico Etnologico), si sono resi disponibili a
redigere un progetto di valorizzazione dei tessuti e degli oggetti rinvenuti che saranno in parte
esposti nei Civici Musei di Modena e in parte direttamente nel luogo del
rinvenimento, cioè nella cripta della Chiesa di San Paolo di Roccapelago.
All'interno della cripta saranno probabilmente conservati anche alcuni resti
mummificati mentre al termine degli studi la maggior parte delle salme troverà
degna sepoltura nel cimitero di Roccapelago
Istituti che partecipano alla ricerca
Laboratorio di Antropologia, Dipartimento di Storie e Metodi per la
Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Bologna (sede di Ravenna)
Dipartimento di Biologia, Orto Botanico di Modena, Università degli Studi di
Modena e Reggio Emilia
Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Modena e
Reggio Emilia
Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna
CRSA MedIngegneria di Marina di Ravenna per le analisi chimico-fisiche
University of Huddersfield (UK) per le indagini di entomologia archeologica
Università di Verona per le analisi di paleo microbiologia
Università di Torino e Università di Genova per le analisi e gli eventuali
interventi conservativi dei tessuti mummificati
TG5 22/06/2011, h. 14, servizio di Gianluigi Armaroli
Antenna 1, h. 19.20, servizio di Carla Mazzola
Portale Daring to do (articolo di Antonella
Durazzo)
TGR Emilia-Romagna 23/06/2011, h. 19.30, servizio
di Giorgio Tonelli
Portale Archeofilia (articolo di Roberta Zanasi)
KissKiss Radio 05/07/2011, h. 15 (intervista
all'archeologo Luca Mercuri nell'ambito del programma 00K Licenza di...)
Archeonews (articolo di Anna Maria Piliero)