Pievepelago (MO) - Eccezionale scoperta archeologica a Roccapelago, sull’Appennino modenese
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Ufficio stampa SBAER
22 giugno 2011
 

La camera del tempo. Gli scavi nella cripta della Chiesa di San Paolo recuperano decine di corpi mummificati, ancora con i propri abiti e oggetti personali, sepolti tra il XVI e il XVIII secolo

Particolari condizioni ambientali hanno mummificato circa un terzo dei defunti, un caso unico nell’Italia settentrionale. Lo studio dei resti racconterà usi e costumi di questa antica comunità montana, attività, abitudini, religiosità, malattie e cause di morte

La piramide di corpi di inumati così come si presentava nel gennaio 2011, al momento del ritrovamentoUna piramide di corpi accatastati uno sull’altro, cadaveri di adulti, infanti e bambini in parte scheletrizzati, in parte mummificati, quasi tutti supini, qualcuno adagiato sul fianco, qualcuno prono, in un coacervo di pelle, tendini, capelli, abiti, calze, cuffie, sacchi e sudari. Una scena a dir poco impressionante quella che si è presentata all’inizio dell’anno agli archeologi che collaboravano ai lavori di restauro della cinquecentesca Chiesa della Conversione di San Paolo Apostolo a Roccapelago, nell’Alto Frignano modenese, quando hanno aperto il soffitto della cripta.
Una fossa comune con quasi 300 inumati, di cui circa un terzo perfettamente mummificati in virtù di un raro processo naturale che ha conservato non solo corpi e indumenti ma anche parte della fauna cadaverica, soprattutto larve e topi. Qui non c’entra l’intervento umano, nessuna mummificazione volontaria di precisi gruppi sociali come accaduto altrove per monaci, nobili o beati. A Roccapelago ha fatto tutto la natura, grazie a un fortunato mix di ventilazione e clima asciutto che ha essiccato i cadaveri di un’intera comunità per due secoli e mezzo, dalla metà del Cinquecento alla fine del Settecento.
Aprire quella botola è stato come entrare in una strana wunderkammer. Un primo studio delle mummie ha già definito alcuni caratteri di quell’antica comunità, stile di vita, frequenza e distribuzione dei decessi di adulti e bambini, longevità maschile e femminile. La religiosità è attestata da evidenti forme di pietas, come la composizione dei cadaveri con le mani intrecciate in preghiera o sull’addome, la permanenza di anelli nuziali, collane, crocifissi, rosari e medaglie, o la fasciatura della mandibola per evitare lo spalancamento della bocca.
Sorprendenti, per consistenza e buona conservazione, i tessuti recuperati. Vestivano alla montanara: niente seta, al massimo qualche bordo in merletto, solo abiti semplici in lino, cotone o lana grezza, lavorati in loco, ad attestare una vita povera ma sobria.
Assolutamente singolare il ritrovamento di una rara lettera "componenda" o di "Rivelazione", una sorta di accordo con Dio che, portata sempre addosso, “garantiva” protezione e grazie in cambio di preghiere.
Certamente l’ambiente montano rendeva dura la vita e tutti i resti adulti recano tracce delle pesanti attività all’aperto. Ulteriori studi confermeranno l'ipotesi endogamica degli abitanti del piccolo borgo (si sposavano tra loro? anche tra consanguinei?) e potranno ricostruire la storia antropologica e culturale di questa comunità di non più di 50 anime, recuperando non solo l'aspetto fisico, il sesso e l'età dei defunti ma anche la loro dieta, le carenze alimentari e persino le malattie e gli eventi traumatici di cui hanno sofferto nel corso della vita, fino a capire quanto del loro patrimonio genetico si sia conservato fino a oggi.
L'obiettivo comune di Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, Università di Bologna, Università di Modena, Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, Ufficio Diocesano Arte Sacra di Modena, Comune di Pievepelago, Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna, Musei Civici di Modena e altri istituti di studio e ricerca è interpretare quanto è emerso dagli scavi e offrirlo al pubblico sotto forma di "narrazione storica". Per fare ciò si è messo a punto un approccio pluridisciplinare che incrocerà gli aspetti archeologici, antropologici e storici con un'attenta valutazione delle esigenze di esposizione e conservazione di reperti altamente deperibili quali i resti umani e i corredi tessili. La valorizzazione di questo straordinario rinvenimento si avvarrà anche delle più moderne tecnologie digitali a cominciare dalla ricostruzione 3D delle sepolture più significative e dalla creazione virtuale di interventi di restauro e modelli di mummie

La Chiesa della Conversione di San Paolo Apostolo, a Roccapelago, sorge su uno sperone roccioso elevato, con una sola via d’accesso, che fu sfruttato tra il 1370 e il 1400 per insediarvi una fortezza presidiata da Obizzo da Montegarullo, uno dei più potenti signori del Frignano, che alla fine del XIV secolo si ribellò al dominio agli Estensi.
Sul finire del Cinquecento, quando ormai il complesso militare era in disuso, una parte della rocca fu riadattata per realizzare una chiesa parrocchiale che raggiunse la massima giurisdizione territoriale nel XVII secolo.
Dal 2008, il complesso ecclesiastico è oggetto di un importante lavoro di restauro architettonico, teso a consolidare le strutture murarie, il tetto e la pavimentazione interna. Data l’importanza storica e culturale dell’edificio, i lavori di restauro sono stati preceduti da controlli archeologici condotti sul campo dall’archeologa Barbara Vernia (coadiuvata dagli antropologi Vania Milani e Mirko Taversari), sotto la direzione scientifica degli archeologi Luca Mercuri e Donato Labate della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna.
Oltre al recupero di due vani del castello medievale e di sette tombe con sepolture multiple, gli scavi archeologici hanno indagato un ambiente voltato interrato che in origine era pertinente alla rocca ma che dopo la costruzione della chiesa fu trasformato prima in cripta cimiteriale (con sepoltura nel sottosuolo) e poi in fossa comune (con deposizioni multiple sopraterra). Questa fossa è stata probabilmente chiusa alla metà dell’Ottocento, sigillando per sempre una miniera di informazioni sulla piccola comunità di Roccapelago.
L’ambiente ha restituito complessivamente circa 300 inumati fra infanti, bambini e adulti, gran parte dei quali mummificati (o più correttamente parzialmente scheletrizzati). Si tratta di mummie naturali che presentano ancora pelle, capelli e vestiti.
Il ritrovamento di questi resti umani è di enorme interesse scientifico, sia per la ricostruzione della storia antropologica e bioculturale della piccola comunità che viveva in questa località, sia per lo studio dei processi microevolutivi delle popolazioni umane e del loro rapporto con l’ambiente e le risorse. Mummie di questo genere forniscono infatti molte informazioni sulle vicende umane di individui vissuti nel passato, consentendo di ricostruirne ad esempio l’aspetto somatico, il sesso, l’età di morte, fino all’identità genetica attraverso l’esame del DNA estratto dai resti.
Allo stesso tempo lo studio degli scheletri dà indicazioni sulla dieta e su altri fattori riconducibili a malattie, stati carenziali, attività fisica svolta o eventi traumatici che hanno colpito il soggetto nel corso della sua esistenza.
Le prime osservazioni sui materiali osteoarcheologici di Roccapelago preannunciano risultati di grande interesse, anche in riferimento alle particolari condizioni ambientali, di vita, sussistenza e isolamento geografico e bioculturale in cui è vissuta per secoli questa piccola comunità
Si aprono dunque straordinarie possibilità di studio per archeologi e scienziati che potranno ricostruire vita, attività e cause di morte di un’intera comunità tra il XVI e il XVIII secolo.
A tal fine la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna sta definendo con l’antropologo Giorgio Gruppioni, del Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Bologna, sede di Ravenna, un progetto di ricerca di respiro europeo per studiare le mummie e la loro vita.
A questo progetto, avviato in accordo con l’Ufficio Diocesano Arte Sacra di Modena, la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e il Comune di Pievepelago, collaborano anche l’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna, per lo studio dei tessuti, i Musei Civici di Modena, per la valorizzazione degli oggetti rinvenuti, e diversi atenei nazionali e non.
Al momento, nulla resta nella Chiesa di San Paolo di Roccapelago: un paio di mummie e i reperti d’interesse archeologico sono momentaneamente conservati presso i depositi del Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena mentre tutti gli altri resti sono stati trasportati al Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna grazie alla generosa sponsorizzazione dell’Agenzia Onoranze Funebri Gianni Gibellini di Modena
Al termine degli studi, alcuni resti mummificati saranno probabilmente esposti direttamente nel luogo del rinvenimento, cioè nella cripta della chiesa. La maggior parte delle salme troverà invece degna sepoltura nel cimitero di Roccapelago.

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