VIVERE A FORUM LIVI. LO SCAVO DI VIA CURTE
a Forlì dal 9 novembre 2013 al 12 gennaio 2014
mostra
Home - Mostre e appuntamenti - Archivio mostre  - Mostra domus Curte

comunicato stampa

Uno stargate sulla vita a Forlì in età romana. La mostra prende spunto da uno scavo effettuato nel 2004 in via Curte che ha evidenziato una continuità abitativa dall'età repubblicana (fine II a.C.) all'età tardoantica (VI d.C.). L'indagine archeologica ha messo in luce una prima area artigianale con due piccole fornaci (in seguito abbandonate), su cui è poi stata costruita attorno alla fine del I secolo a. C. una domus abitata senza soluzione di continuità fino al IV d.C.

Palazzo del Monte di Pietà
Corso Garibaldi 37
Forlì (FC)
ingresso gratuito

Vivere a Forum Livi. Lo scavo di via Curte

locandina mostradal 9 novembre 2013 al 12 gennaio 2014

9 novembre - 23 dicembre:
martedì-venerdì 9-12, sabato-domenica 10-13 e 16-19

24 dicembre - 12 gennaio:
martedì-venerdì 16-19, sabato-domenica 10-13 e 16-19

chiusura: 25 dicembre, 1 e 6 gennaio

La mostra permette di analizzare come si viveva a Forlì in età romana partendo dai risultati e dai materiali emersi dallo scavo di via Curte. Sarà possibile vedere gli elementi costruttivi, gli arredi, l’illuminazione e i diversi aspetti della vita quotidiana che si svolgeva all’interno della domus: particolarmente significativo il mosaico del triclinio allestito per l'occasione con copie di letti tricliniari.

www.vivereaforumlivii.it

La scoperta archeologica
Lo scavo della domus di via Curte è iniziato come tanti altri interventi di archeologia preventiva che si svolgono nel centro urbano di Forlì. Con questo termine indichiamo i sondaggi preliminari che la Soprintendenza per i Beni Archeologici richiede ai proprietari di aree destinate ad opere edilizie che potrebbero intercettare, o peggio intaccare, antichi resti sepolti.
L’area oggetto dei lavori, ubicata in via Curte 66, nella parte nordoccidentale di Forlì, era un cortile scoperto pertinente a un complesso di caseggiati artigianali da scavare integralmente, fino a una profondità di oltre 4 metri, per costruire un’autorimessa sotterranea multipla.
I sondaggi preliminari sono iniziati nel novembre 2003 ma, vista l’importanza di quanto stava emergendo, sono presto diventati scavo archeologico estensivo vero e proprio, durato fino al maggio 2004. I lavori sono stati spesso estremamente difficili, sia per le profondità raggiunte che per la posizione del sito, in lieve pendio e con la necessità di sottofondare le pareti di confine.
Alla fine però lo scavo di via Curte si è rivelato uno dei più importanti mai realizzati in città. Alle iniziali finalità di tutela del patrimonio archeologico sepolto, si sono aggiunte caratteristiche che lo hanno reso unico, consentendo di raggiungere estensivamente i livelli di età romana con metodi stratigrafici. Lo scavo ha messo in luce un complesso archeologico di estremo interesse e, nonostante i danni causati dagli interventi operati in tempi diversi, ha permesso di ricostruire i principali livelli abitativi dell’area, dal momento della sua prima occupazione fino all’età altomedievale, restituendo un significativo spaccato di vita urbana in età romana.

 

gruppo di contenitori ceramici
Contenitori ceramici per la conservazione e preparazione dei cibi

Lo scavo di Via Curte
La prima abitazione e l’impianto produttivo (metà del I sec. a.C.)
L’area interessata dall’indagine archeologica era inizialmente usata come immondezzaio.
Attorno alla metà del I sec. a.C. inizia un'intensa attività edilizia con la costruzione di un edificio a carattere residenziale (nei settori settentrionale e centrale di scavo) e l'impianto di varie attività artigianali (nel settore sud-orientale).
Nel settore nord, viene costruito un edificio a pianta rettangolare, con un ambiente pavimentato da un acciottolato e una corte scoperta pavimentata in ciottoli di fiume.
I settori meridionale e orientale sono invece occupati da un’area artigianale, in particolare da un piccolo impianto produttivo per la cottura del vasellame in terracotta, con strutture di servizio. La fornace, costruita parzialmente interrata, ha una pianta rettangolare (lunghezza m. 2 e larghezza m. 1) con fondo absidato. La volta della fornace era realizzata con tubuli conformati ad olla, impiegati per alleggerirne il peso e condurre meglio il calore. Attorno al forno si disponeva un piccolo cortile di sevizio con pavimento in piccoli ciottoli, su cui si affacciava un edificio porticato con colonne in blocchi di pietra locale (spungone) e pavimento in mattonelle a spina di pesce (opus spicatum), probabilmente destinato al ciclo produttivo dei manufatti in terracotta.
La nuova grande domus (fine I sec. a.C. - inizi I sec. d.C.)
Tra la fine del I sec. a.C. e l'inizio del I sec. d.C., le strutture sono integralmente risistemate e l'intera area assume una connotazione esclusivamente residenziale: la fornace cessa l'attività e viene demolita, i muri dell'edificio porticato sono smontati e il terreno livellato, e tutti i materiali di risulta vengono riutilizzati per costruire le fondazioni di quella che si configura come un’altra ala dell’edificio residenziale settentrionale.
Il corpo centrale del nuovo edificio è riorganizzato secondo una nuova e più complessa articolazione degli spazi interni, che in parte sono progettati sul disegno della vecchia struttura e in parte la ampliano. In seguito a questi lavori l'asse centrale dell'edificio è ridisegnato da un ambiente quadrangolare pavimentato con un elegante cocciopesto decorato con inserti marmorei policromi. Questa stanza -interpretabile come triclinio, vista la presenza dell’elemento marmoreo rotondo al centro del pavimento- è affiancata ad ovest da un vano quadrangolare di dimensioni più contenute (circa 3,5 x 3,5 m) pavimentato in cocciopesto.
Un ulteriore piano pavimentale in cocciopesto viene steso nel vano rettangolare subito a nord del triclinio che ha la funzione di collegare il triclinio all'atrio centrale scoperto. Anche quest’ultimo viene ristrutturato: tutta l’area è pavimentata con mattonelle posate a spina pesce e al centro viene costruito un pozzo.
Le ultime ristrutturazioni della domus e il suo abbandono (dal II secolo alla fine del V)
La sistemazione di età alto-imperiale dell’edificio sembra durare a lungo: l’ultima variazione planimetrica del complesso è datata al II sec. d.C. quando il preesistente triclinio è sostituito da uno più ampio, decorato a mosaico, che in base ai registri decorativi doveva avere una superficie di metri 6 x 6.
Non parrebbe che questi lavori di ristrutturazione abbiano interessato altre parti dell’edifico, né la corte con il pozzo, né il settore sud-orientale del complesso.
Dopo questa ristrutturazione la domus continua ad essere abitata per un certo periodo, venendo poi abbandonata probabilmente attorno all'inizio IV secolo. Dopo l'abbandono, l’edifico subisce crolli e devastazioni e le murature vengono parzialmente spogliate.
In seguito l’area viene nuovamente occupata, senza alcun riguardo di quanto ancora si conservava: il piano del mosaico è forato per impiantare pali in legno per sostenere il nuovo tetto e viene anche creato un focolare che lascia tracce tuttora visibili sulla superficie del mosaico.
Con ogni probabilità l’area viene definitivamente abbandonata attorno alla fine del V secolo

Forlì in età romana
Forlì nasce come luogo di concentrazione di merci e scambi (forum) situato all’incrocio tra una via pedemontana e i fiumi che scendevano a valle. La città non fu quindi fondata ex novo come altri centri posti lungo la via Emilia -tracciata nel 187 a.C.- ma fu in qualche modo adattata alla forma urbanistica tipica dell’età romana che prevedeva l’incrocio tra due direttrici principali N-S ed E-W (cardo e decumano), un piazza in posizione centrale (il foro) attorno alla quale sorgevano gli edifici pubblici e templi e gli spazi  restanti riservati all’urbanistica privata.
La mancanza di scavi stratigrafici che indagassero i livelli di età romana e la scarsezza di dati relativi a quest’epoca non consentono di proporre una ricostruzione convincente dell’aspetto di Forlì in età romana ma solo di proporre delle ipotesi che potranno essere confermate o smentite dai futuri rinvenimenti. Non è del tutto chiara nemmeno la complessa idrografia dell’area in cui sorse la città, un elemento che certamente ne influenzò la forma, sia nell'aspetto generale che nella distribuzione degli spazi urbani.
I confini della città rimangono pertanto abbastanza indefiniti, a parte il limite orientale segnato dai corsi Mazzini e Diaz e dal lato occidentale di piazza Saffi. Oltre questo limite i rinvenimenti si riferiscono solamente a sepolture o ad impianti produttivi. Forse il margine occidentale urbano passava nell'area limitrofa a Porta Schiavonia.
Forlì era certamente solcata da corsi d’acqua: a testimonianza di ciò rimane il ponte detto dei “Cavalieri”, di età romana, a due arcate a tutto sesto, lungo circa 23 metri. Il decumano massimo (la principale strada E-W) era costituito dalla via Emilia che aveva un percorso quasi parallelo all’attuale corso Garibaldi, mentre il cardine massimo provenendo da Malmissole arrivava a piazza Melozzo per seguire le vie Lazzarini e Battuti Verdi. Rimane tuttora irrisolto il problema dell'ubicazione del foro, nonostante le numerose ipotesi sulla sua posizione.
La città era sicuramente caratterizzata dalla presenza di numerose fornaci che le si distribuivano tutt'attorno e che ebbero una persistenza produttiva piuttosto lunga.
Forlì infine possedeva due importanti aree sepolcrali, una situata a sud (vie Zauli Saiani, Albicini e Palazzo Romagnoli) e utilizzata dal I al IV secolo, l'altra situata ad est nell'area di piazza Saffi e zone limitrofe.

frammento ceramico con mascherone
Frammento di coppa con decorazione a mascherone

Abitare a Forum Livi: le domus
La maggior parte dei rinvenimenti di età romana si concentra nell’attuale zona orientale della città, nell’area compresa tra il lato meridionale di corso Garibaldi, le vie Battuti Verdi e Lazzarini e l’attuale argine del Montone, a margine del quale nel XV secolo furono trovate strutture riferibili a domus.
La maggior parte dei rinvenimenti che hanno portato in luce resti di abitazioni di età romana furono realizzati tra la fine dell’Ottocento da Antonio Santarelli e gli anni '30 del Novecento da Pietro Reggiani, epoche in cui veniva posta minore attenzione a dati archeologici che non fossero considerati importanti, come pavimenti musivi, corredi funerari oppure oggetti di pregio. Pertanto dei rinvenimenti più importanti realizzati nei secolo scorsi non possediamo purtroppo alcun documento che possa fare luce sulle planimetrie di queste domus.
Alcune pavimentazioni furono prelevate e portate nell'allora Museo Archeologico, mentre le pavimentazioni considerate “minori” - come i cocciopesti semplici o decorati con inseriti di tessere - purtroppo non furono conservate. Tra i pavimenti a mosaico si ricordano quello di palazzo Morattini, scoperto nel 1882 e documentato dal Santarelli, appartenente con ogni probabilità ad un ambiente di rappresentanza, viste le dimensioni di oltre 28 metri quadri. Un altro rinvenimento di una certa importanza è quelle effettuato nel 1929 in corso Garibaldi nella casa Bedei, scoperta che può essere messa in relazione con quello dell'attigua casa Vallicelli: in questo caso vennero in luce svariate pavimentazioni a mosaico, databili al pieno I sec. d.C. ed appartenenti verosimilmente ad una medesima domus.
Purtroppo si tratta di dati quasi cristallizzati nel tempo, che non ci raccontano le fasi di vita delle singole domus venute in luce. Da alcune annotazioni che si leggono sui resoconti delle scoperte è possibile ipotizzare qualche evento come una ristrutturazione, intuibile dalla presenza di intonaci al di sotto del piano musivo, o le cause di un abbandono, dovuto ad un incendio che ha lasciato le sue tracce sul piano pavimentale.

Elementi costruttivi e arredi della domus di Via Curte
La tecnica costruttiva della domus di via Curte è del tutto simile a quella utilizzata nelle altre domus dell'Emilia-Romagna.
I muri hanno una fondazione di frammenti di mattoni e tegole, in genere poca profonda, legati con l’argilla. La zoccolatura è realizzata in mattoni mentre l’alzato –in questo caso purtroppo non conservatosi- è in genere in mattoni crudi o argilla spalmata su intelaiature lignee. La copertura del tetto è realizzata in tegole e coppi;  pozzi e canalette sono costruiti con laterizi appositi.
I pavimenti delle zone destinate al lavoro erano generalmente realizzati in semplici battuti di terreno, mentre le aree aperte erano pavimentate con esagonette in laterizio o con mattoncini posati a spina pesce (opus spicatum). Nelle prime fasi di vita della domus di via Curte i pavimenti erano realizzati con battuto di malta e frammenti laterizi (cocciopesto), in un caso decorato con scaglie di pietra colorata. Questa stanza, destinata a sala da pranzo, fu poi ripavimentata con un mosaico a decorazione geometrica, tecnica riservata agli ambienti padronali o alle stanze di rappresentanza, come appunto i triclinia.

Ricostruzione grafica del mosaico della stanza triclinare della domus di Via Curte
Ricostruzione grafica del mosaico della stanza triclinare della domus di Via Curte

L’indagine archeologica ha restituito anche un notevole numero di lastrine di marmi sia bianchi che policromi, molto probabilmente usati per decorare un pavimento in pietra (opus sectile) di cui non si è trovata traccia nello scavo: si tratta di marmi provenienti dal bacino del Mediterraneo, come il serpentino e il rosso antico, il cipollino (Grecia) o il giallo antico (Tunisia).
Lo scavo ha restituito anche numerosi frammenti di affreschi, realizzati stendendo i colori su un fondo umido di calce e sabbia che seccandosi fissa stabilmente il disegno. Tra i colori utilizzati negli affreschi di via Curte vi è anche il cinabro, materiale prezioso e costoso al punto che essere fornito in quantità limitate.
La casa era dotata anche di vetri per finestre che permettevano un riparo ottimale dalle intemperie.
L’arredo romano era costituito da pochi mobili: armadi, cassettiere, tavoli di diverse misure, sedie e letti che erano utilizzati sia nei triclinia che nelle stanze da letto (cubicula). L’illuminazione era assicurata dalle lucerne appoggiate su sostegni posati a terra o sulla tavola, realizzati in bronzo o pietra.

Il triclinio
La planimetria delle case private romane era molto varia e la grandezza degli appartamenti si differenziava a seconda del ceto sociale dei cittadini molto più di quanto avvenga oggi.
Nelle abitazioni di media ampiezza era costante la presenza di alcune stanze legate a una funzione simbolica ben precisa: il triclinio in particolare era utilizzato come sala da pranzo di rappresentanza. Il suo nome deriva dal triplice letto sul quale, secondo una moda greca, si sdraiavano i convitati, seguendo una precisa gerarchia. Questo ambiente si ritrova nelle domus romane a partire dal I sec.a.C. In precedenza era in uso mangiare nell'atrio, ambiente principale della domus; il dominus mangiava sdraiato, mentre i figli stavano seduti.
Il triclinio era solitamente situato nella parte interna della casa e si affacciava sul cortile porticato (peristilio) o sul giardino, facendone in questo modo godere la vista ai convitati. In epoca più antica i letti erano in muratura, disposti ad U e attaccati alle pareti. Verso la seconda metà del I sec. a.C. vennero sostituiti da esemplari in legno o in metallo, rimanendo in uso solo nelle stanze tricliniari all'aperto.
Gli esemplari più sontuosi di letto, del tutto simili a quelli utilizzati per dormire, avevano decorazioni in bronzo o argento, applicate sul fianco rivolto al centro della stanza dove era situato il piano d'appoggio per le vivande; quest'ultimo, realizzato in un primo tempo in muratura, fu poi sostituito da tavolini rotondi, a tre gambe, in legno o in metallo.
Nei rinvenimenti riferibili ad ambienti di una domus, il triclinio in genere si riconosce dalle caratteristiche del pavimento: la parte centrale, decorata, corrisponde allo spazio della mensa mentre le zone laterali, coperte dai letti, sono quasi sempre prive di decorazioni, come si può vedere nel mosaico del triclinio di via Curte.

La vita quotidiana
I numerosi oggetti rinvenuti nello scavo di via Curte aprono una finestra sulle abitudini e sugli aspetti della vita quotidiana in una domus di età romana.
pesi da telaioI pesi da telaio si legano strettamente al mondo femminile. Realizzati in terracotta, di forma troncopiramidale a base rettangolare, presentano un foro nella parte superiore dov'era alloggiato un anello o un’asticella di bronzo entro cui venivano fissati i fili dell’ordito. In età romana il telaio, almeno fino alla metà del II secolo d.C., era infatti verticale. Sono connessi all’attività del cucito anche due frammenti di aghi in bronzo, di cui uno ancora dotato del foro passante per il filo.
Di particolare interesse è il rinvenimento di tre frammenti di fondi di bottiglia a base quadrata, due delle quali recano i bolli dei fabbricanti Caius Salvius Gratus e Lucius Aemilius Blastius. Sono contenitori dalle pareti molto spesse, probabilmente utilizzati frequentemente in cucina: studi recenti in materia ipotizzano il loro uso come strumenti per la misurazione dei liquidi.
Sono legati al mondo della scrittura tre stili frammentari in osso usati per incidere la cera stesa sulle apposite tavolette. Una volta finita la funzione, si “buttava il foglio” semplicemente stendendo nuovamente la cera sulla superficie. Si poteva anche utilizzare un altro supporto, come i rotoli di papiro, detti volumina. Su questi si scriveva con l’aiuto di un calamo, una sorta di pennino che poteva essere in metallo oppure in canna tagliata a punta da un lato.
Il padrone di casa passava giocando le ore di ozio: lo testimoniano due piccole pedine in pasta vitrea utilizzate sulla tabula lusoria, una sorta di scacchiera che consentiva di fare diversi giochi .
Molto scarsi i documenti relativi all’ornamento: rimangono due perle in pasta vitrea appartenute a una collana e un castone, anch’esso in pasta vitrea blu. Questo genere di oggetti potevano essere montati su anelli in ferro o più raramente in oro. Costituiscono l’imitazione di monili più preziosi realizzati in oro e pietre dure; le raffigurazioni incise sulla superficie variavano tra i soggetti mitologici, raffigurazioni simboliche o magiche.
L’utilizzo quotidiano del denaro è testimoniato da quattro esemplari di monete scelte tra le numerose rinvenute nello scavo, che coprono uno spazio temporale che va dalla fine del III sec.a.C. al V d.C.

Suppellettile da cucina, da dispensa e da lavoro
Ogni casa romana, ricca o povera che fosse, aveva una cucina. Nelle case dei ricchi le cucine con i loro annessi potevano occupare anche un intero quartiere, mentre nelle case più povere si riducevano a focolari di meno di un metro di lato, appena sollevati dal pavimento, attorno ai quali si cucinava accucciati sul pavimento, come ancora succede in molti paesi mediorientali.
Qualunque fosse la grandezza, questi antichi fornelli erano praticissimi e tutto lo spazio del piano era utilizzabile.
Al momento di iniziare a cucinare si copriva il piano di cottura con uno strato di braci: se si voleva friggere o arrostire si mantenevano ben vive le braci sotto le padelle e le griglie; se invece si stava preparando un sugo o un cibo che poteva attaccare al fondo si adagiavano le pentole su di uno spesso strato di cenere, che diffondeva uniformemente il calore e consentiva una cottura a fuoco lento. Lo scavo di via Curte ha restituito un notevole numero di contenitori utilizzati per la cottura dei cibi: si tratta soprattutto di olle e tegami, costruiti in ceramica resistente al fuoco.
tappi di terracotta per anforeAltri contenitori erano invece destinati alla conservazione dei cibi, dai grandi dolia per liquidi o granaglie, ai contenitori più piccoli di svariata forma e misura. Molte derrate -come il vino e l’olio, olive, frutta, oltre alla famosa salsa di pesce, il garum– erano oggetto di commercio marittimo e fluviale: per il loro trasporto si usavano le anfore con il fondo a puntale, perfette per un migliore stivaggio. Tra le numerose anfore rinvenute nello scavo di via Curte si segnala anche la presenza di un esemplare proveniente da Rodi. Questi contenitori erano sigillati con tappi di sughero o terracotta. Una volta arrivati a destinazione il contenuto veniva travasato in altri contenitori di terracotta o di vetro.
La trasformazione dei prodotti in vista della preparazione dei cibi era una delle attività più importanti nella casa. Molti cereali dovevano essere ripuliti dall’involucro del seme, prima di essere macinati, una preparazione che avveniva in mortai, in genere di pietra.

La tavola e gli alimenti
La tavola era apparecchiata con il servizio da mensa, il ministerium, composto da coppe, bicchieri, piatti realizzati in ceramica e vetro o più raramente in metallo.
Il vasellame in ceramica è quello che forse rispecchia più chiaramente il susseguirsi delle mode e dei gusti. Lo scavo di via Curte, che attraversa circa quattro secoli di vita, ben rappresenta questo variare di forme e tipologie. Si inizia con le ceramiche a vernice nera, tipiche dell’età repubblicana, che cominciano ad essere sostituite sul finire della Repubblica (fine I a.C.) con le ceramiche a vernice rossa, o terra sigillata. Accanto a queste tipologie, che comprendevano coppe e piatti di diversa forma e misura ed alcune forme chiuse, erano presenti anche ceramiche a pareti sottili (così chiamate proprio per la sottigliezza degli spessori) utilizzate come vasi per bere. Il vasellame da mensa era completato da oggetti in vetro come bottiglie, coppe e piattelli. E per chi se lo poteva permettere, esistevano interi servizi in metalli preziosi da ostentare durante i banchetti.
Ma cosa mangiavano i Romani a tavola? Ovviamente l'alimentazione variava dalle possibilità economiche della famiglia. Un pilastro dell'alimentazione era il pane non lievitato seguito dalle polente, realizzate con i cereali dell'epoca come la spelta (grano duro) e il farro.
Numerose le varietà di vino tra cui il rinomato Falerno prodotto in Campania. Il vino non veniva mai bevuto puro ma diversamente diluito con acqua calda d'inverno e fredda d'estate. Molto usate erano le spezie, reperibili con facilità e provenienti da ogni angolo dell'Impero; a queste si associavano gli “odori” nostrani.
Il piatto forte di ogni banchetto era la carne, il cui consumo andò aumentando nel tempo. Anche il pesce era apprezzato: murene, anguille, branzini, triglie, rombi,orate accanto a tutti i molluschi. Tra i formaggi si ricordano quelli freschi, teneri e non stagionati, fatti con latte di pecora o di mucca.
Dopo tutti questi piatti arrivava il dessert, costituito essenzialmente da frutta fresca o secca come datteri, fichi, nocciole, mandorle, pinoli, noci.
Due parole sul garum, la salsa a base di pesce (acciughe, sgombri, ecc..) e spezie, il cui sapore ricordava l'acciuga salata disciolta. La sua cattiva fama di salsa realizzata con pesce in putrefazione viene direttamente da Plinio, che però aveva idee discordanti in merito: lui stesso cita le numerose varianti di questa salsa, tra cui una “dal sapore talmente buono che si può addirittura bere….”.

Alveare e cinturone: due rinvenimenti insoliti
placca da cinturone militare
Lo scavo ha restituito due oggetti molto particolari proposti in mostra.
Il primo, datato alla seconda metà IV sec. d. C., è una parte di un cinturone militare che serviva per portare le armi, ornato da decorazioni in bronzo. Si tratta nello specifico della placca dove si inseriva la fibbia, andata perduta. Questi elementi del vestiario militare sono caratteristici dell’etnia germanica che in età tardoantica occupava molti settori dell’apparato militare. Queste cinture sono diffuse soprattutto lungo i confini dell’Impero ma ne sono state trovate anche in alcuni centri italiani con ruolo strategico in età tardoimperiale come Luni, Aquileia, Cividale e Ravenna.
Il secondo oggetto è di più difficile interpretazione anche se è stato riconosciuto, pur con qualche dubbio, come un’arnia. L’identificazione è basata sul confronto con altre arnie rinvenute in scavi greci. Anche in quel caso si trattava di contenitori di forma quasi cilindrica, dotati di un coperchio per ispezionare l’alveare. Il nostro oggetto non sembra recare traccia d’uso all’interno: è dotato di due aperture e tre piccoli buchini che permettevano di appenderlo. Questo oggetto è stato trovato nei livelli d’abbandono della domus e risulta pertanto assai difficile datarlo con precisione.

singolare oggetto troncoconico identificato come un'arnia            alveare usato come sepoltura
A sinistra, l'insolito oggetto rinvenuto in via Curte identificato, seppure con molte perplessità, come un'arnia in virtù del confronto con un reperto simile (a destra)

Le lucerne
Le lucerne in terracotta sono la suppellettile da illuminazione più diffusa nel mondo romano: ampiamente impiegate per rischiarare gli ambienti delle abitazioni, erano utilizzate anche nelle cerimonie religiose e nei rituali funerari.
Le lucerne cominciano ad essere utilizzate nel II sec. a.C. Inizialmente sono fatte al tornio, con il becco applicato manualmente, ma nel corso del I sec. a.C. viene introdotta la realizzazione a matrice, ideata in ambito ellenistico, che rivoluziona il mercato delle lucerne perché rende più rapida ed efficiente la produzione, permettendo di realizzare facilmente anche decorazioni elaborate.
Le lucerne romane sono caratterizzate da un ampio disco superiore, spesso riccamente decorato con scene tratte dal repertorio mitologico o dalla vita quotidiana. Prodotte spesso in grandi ateliers, in molti casi recano sul fondo il marchio di fabbrica, garanzia di qualità.
Le lucerne rinvenute in via Curte rispecchiano le fasi dello sviluppo del sito e le scelte di gusto di chi vi abitava: i livelli più antichi hanno restituito oggetti molto vicini al gusto ellenistico, quelli successivi mostrano tutte le fasi di sviluppo delle forme tipicamente romane. Vi sono lucerne di provenienze diverse, sia prodotte localmente che importate da altre regioni dell’Impero, testimonianza delle vivaci attività produttive e commerciali che caratterizzavano l’area romagnola in età romana.

 
Due lucerne integre recuperate negli scavi in Via Curte

La fauna e la flora
Molto spesso uno scavo archeologico restituisce scarti di ossa animali e resti botanici il cui studio aiuta gli archeologi a meglio comprendere le abitudini alimentari, i livelli di vita e l’ambiente vegetale in cui vivevano gli uomini antichi.
L’archeobotanica studia i reperti vegetali in relazione ai siti archeologici. Questi studi comprendono ricostruzioni vegetazionali/ambientali realizzate sulla base dei resti inclusi negli strati e campionati nel corso degli scavi. Fra i microresti fondamentali per le ricostruzioni ambientali ci sono i pollini, morfologicamente diversi per i vari taxa vegetali e quindi identificabili, e soprattutto quasi eterni perché poco degradabili.
Le analisi polliniche eseguite sui campioni prelevati in due strati contigui sottostanti il mosaico del triclinio, ci suggeriscono la presenza di uno spazio aperto con poche piante, alcune tipiche degli spazi a verde ornamentale del periodo romano come il mirto, il bosso, l'edera e il viburno, oltre all’erbaceo acanto. Il campione prelevato più all’esterno abbonda invece di pollini di cereali, un effetto dovuto al probabile trasporto, lavorazione e accumulo di granaglie in un vicino vano non residenziale;  i numerosi ammassi di pollini di erbacee, di solito connessi alla deposizione di escrementi, attesterebbero invece la frequentazione di erbivori domestici.
L’intervento archeologico ha portato in luce una notevole quantità di reperti ossei animali. Il loro studio ha permesso di identificare le specie animali che erano allevate a scopo alimentare o sfruttate per i cosiddetti prodotti secondari (latte, pelli o come forza lavoro).
Gli animali domestici rinvenuti nello scavo di via Curte sono bovini, suini, caprovini ed equini (cavallo e asino); individuate anche ossa di uccelli come il pollo e il fagiano. Sono stati trovati anche murici, conchiglie sfruttate fin dall’antichità per la produzione del pigmento porpora.
Molte ossa recano segni riferibili alla macellazione e alla lavorazione artigianale: allora come oggi, l’osso rappresentava infatti la materia prima ideale per la creazione di strumenti come pettini, spilloni, aghi, stili, dadi, pedine, e altro.

Prima di Natale sarà disponibile la pubblicazione scientifica dello scavo con il volume "Vivere a Forum Livi. Lo scavo di di via Curte" a cura di Chiara Guarnieri, edito da Ante Quem della collana DEA, Documenti ed Evidenze di Archeologia


Inaugurazione venerdì 8 novembre ore 17
con intervento di :
John Patrick Leech Assessore alla Cultura Comune di Forlì
Filippo Maria Gambari Soprintendente per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
Chiara Guarnieri Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
Elsa Signorino Presidente Fondazione RavennAntica
Roberto Pinza Presidente Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì

inaugurazione (foto Sabatini)
Un momento della cerimonia di inaugurazione (Fotogiornale Sabatini)

 
Promosso da:

Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna, Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì,  Fondazione RavennAntica,  Ante Quem, Comune di Forlì, Ravenna 2019 città candidata capitale europea della cultura, con il sostegno di Assicoop Romagna Futura, Unipol Assicurazioni, Coop Adriatica e Gruppo Hera
Curatore della mostra Chiara Guarnieri

Quando: da sabato 9 novembre 2013 a domenica 12 gennaio 2014
inaugurazione venerdì 8 novembre 2013, ore 17
Orari: 9 novembre - 23 dicembre: martedì-venerdì 9-12, sabato-domenica 10-13 e 16-19
24 dicembre - 12 gennaio: martedì-venerdì 16-19, sabato-domenica 10-13 e 16-19
chiuso: 25 dicembre, 1 e 6 gennaio
Ingresso: gratuito
Città: Forlì
Dove: Palazzo del Monte di Pietà, Corso Garibaldi 37
Provincia: Forlì-Cesena
Regione: Emilia-Romagna
Info: www.vivereaforumlivii.it
Ideazione e progetto:
Progetto grafico:
Chiara Guarnieri
Antequem
Testi pannelli: Marta Bandini Mazzanti, Giovanna Bosi, Claudio Calastri, Valentina Caselli, Chiara Guarnieri, Paola Torri, Maria Luisa Grassi
Allestimento: Chiara Guarnieri, Marco Destro, RavennAntica
Restauro materiali: Enrico Bertazzoli (SBAER) per vetro, ceramica, metalli, intonaci
Paola Perpignani (RavennAntica) per il mosaico
Un ringraziamento a Mauro Ricci e Monica Zanardi (restauratori SBAER)