Producevano
mattoni, tegole, coppi e vari tipi di laterizi per pavimenti. Succedeva
2200 anni fa ma le strutture sono così intatte che, con un minimo di restauro,
potrebbero funzionare anche oggi. Le fornaci romane scoperte vicino a
Cesena non solo sono le più integre mai rinvenute in Emilia-Romagna, e
forse in tutta l’Italia Settentrionale, ma consentiranno di ricostruire
una modalità di utilizzo che finora avevamo solo ipotizzato.
Assolutamente eccezionali per l’alta datazione e lo stato di
conservazione, rappresentano un tassello fondamentale per approfondire
la conoscenza delle varie fasi della romanizzazione in questo
territorio.
Il ritrovamento è avvenuto due mesi fa in località Borgo di Ronta
durante i lavori per la realizzazione di una condotta delle acque del
Canale Emiliano Romagnolo nel comprensorio di Cesena ovest. I resti
dell’imponente complesso di epoca romana repubblicana, comprendente fra
l’altro due fornaci e una pavimentazione a mattoncini, sono talmente
importanti che si è deciso di deviare il tracciato locale della condotta
per salvaguardare i manufatti.
Le indagini archeologiche sono state condotte dalla
società La Fenice Archeologia e Restauro di Bologna, sotto la direzione
scientifica dell’archeologa Maria Grazia Maioli di questa Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna.
Attualmente sono visibili due fornaci rettangolari di grandi dimensioni
destinate alla cottura di laterizi (in particolare tegole e coppi), una
pavimentazione in mattoncini riferibile ad una vasca di lavorazione, un
grande vaso in terracotta (dolio) completamente interrato e resti di
strutture murarie che mostrano, ben riconoscibili, le basi dei pilastri
di un portico.
La fornace maggiore (A)
Nel mondo romano la lavorazione dell’argilla per la fabbricazione dei
laterizi prevedeva varie fasi. L’argilla estratta dalle cave veniva
prima fatta riposare e fermentare per diverso tempo (spesso anni),
quindi era impastata, lavorata e sagomata mediante forme e infine fatta
seccare in ambienti aerati e riparati, di solito tettoie. Una volta
cotti i laterizi venivano immagazzinati per la successiva vendita e
utilizzo.
La fornace tipo era costituita da un prefurnio, una camera da fuoco e
una camera di cottura. Il prefurnio serviva a preparare le braci che da
qui venivano spinte nella camera da fuoco, di norma interrata per
conservare meglio il calore. La camera da fuoco era dotata di supporti
che reggevano o un piano forato (per fare passare il calore) in
materiale refrattario di diverso tipo, su cui erano posati i pezzi da
cuocere, oppure elementi, di solito archetti, che in ogni caso potessero
sostenere i vasi o i mattoni da cuocere. Sopra questa camera da fuoco si
trovava la camera di cottura in cui era posto il materiale da cuocere:
era dotata di una copertura che, smontata per estrarre i pezzi cotti e
raffreddati, veniva di solito rifatta dopo ogni cottura.
Le camere da fuoco delle fornaci di Ronta mostrano entrambe queste
tipologie. La fornace più grande (A) misura m. 4,20 x 5 e ha il piano
forato che presenta, al centro, una lacuna da cui si intravede la camera
da fuoco sottostante, con pilastrini alti circa 2 metri che reggono il
piano. Lo straordinario stato di conservazione di questa fornace
consente di vedere sia le pareti della camera di cottura (con la parte
inferiore ricavata direttamente dal terreno e concottata) che il
prefurnio, posto sul lato corto e dotato di condotto per l’immissione
del fuoco.
La fornace A: si vedono il muro
parzialmente in alzato della camera di cottura, le colonnine d'appoggio
del piano forato e i fori del piano stesso che consentivano il passaggio
del calore
L’analisi del piano forato ha poi evidenziato non solo la presenza di
zone successive con fori di tipologia diversa -il che lascia supporre
almeno tre allungamenti progressivi della fornace stessa, dovuti ad
ampliamenti dell’impianto- ma anche l’utilizzo di tecniche di
costruzione diverse, essendo formato sia da mattoni in argilla cruda,
che da mattoni di impasto diverso variamente sagomati, che da frammenti
di anfora legati con argilla.
La seconda fornace (B), di m. 3,80 x 3, è caratterizzata da una camera
da fuoco costruita con una successione di archetti e muretti su cui
venivano posati i pezzi da cuocere, in questo caso necessariamente di
grandi dimensioni, probabilmente tegole. Anche questa fornace presenta,
sul lato corto, un prefurnio e, sul lato opposto, un camino per il
tiraggio. Al momento non conosciamo la profondità della camera da fuoco
perchè la si sta ancora svuotando dal materiale caduto all’interno;
sappiamo però che le sue pareti sono costituite da mattoni in argilla
cruda , poi cotti dal calore.
La fornace minore (B) durante lo scavo:
si vedono gli archetti su cui poggiava il materiale da cuocere
Generalmente, in un impianto quasi industriale di questo tipo, le
fornaci erano almeno tre in modo da essere usate in batteria e
contemporaneamente (quando una veniva caricata, l’altra era in cottura e
l’ultima veniva svuotata). È dunque possibile che l’area di scavo
riservi nuove sorprese.
Un altro elemento di grande interesse è la vasca di lavorazione, formata
da due piani collegati da un tratto in pendenza che consentiva al
materiale lavorato di scivolare dall’una all’altra.
Particolare dello scivolo di collegamento
delle vasche
Il pavimento, composto da mattoncini ricavati tagliando pezzi più grandi (ad es. tegole), mostra chiaramente l’impronta -in incrostazione calcarea bianca- di uno strumento circolare a dinamica rotante. Trovandoci di un complesso di fornaci laterizie, è possibile che si trattasse di una ventola per impastare l’argilla anche se impronte analoghe sono spesso riferibili a macchinari circolari utilizzati per la lavorazione delle olive (mole) o del vino (presse). Solo la continuazione dello scavo e il recupero delle strutture in cui doveva colare il materiale lavorato permetterà di capire la natura del materiale e di conseguenza la funzione della macchina.
La vasca di lavorazione con pavimento in
mattoncini: si vedono le impronte circolari della macchina
Straordinario poi il recupero di un dolio in laterizio perfettamente
intero: completamente interrato, è coperto da una tegola ed è pressoché
vuoto. Si tratta di un tipo di vaso generico, solitamente usato nei
magazzini degli impianti rustici per conservare semi e cereali. In
questo caso non possiamo ancora definirne l’uso: data la sua vicinanza
alla vasca di lavorazione e rimanendo nell’ipotesi che vi si impastasse
l’argilla, è possibile che contenesse semplice acqua per rendere più
fluido l’impasto. La risposta verrà dall’analisi chimica dei residui
rinvenuti sul fondo del dolio.
Le fornaci producevano certamente tegole e coppi ma sono stati trovati
anche due tipi di mattoncini utilizzati per i pavimenti, uno a
esagonetta e l’altro, molto sottile e rettangolare, che posato a spina
di pesce serviva per l’opus spicatum. Siamo dunque in presenza di
fornaci che avevano una produzione variata e differenziata anche se le
anfore rinvenute nelle strutture, spesso come materiale di riutilizzo,
non sono scarti di cottura ed è quindi probabile che fossero prodotte
altrove.
Le ceramiche recuperate ci consentono di datare le fornaci all’epoca
romano repubblicana, probabilmente attorno alla fine del II sec. a. C.,
anche se il loro periodo di attività fu abbastanza lungo.
Un sondaggio di controllo in profondità ha appurato che le strutture
poggiano su altre più antiche, riferibili ad un impianto che per il
momento non è stato possibile indagare: si tratterebbe in ogni caso
delle fornaci più antiche della Romagna, seconde solo a quella di Cà
Turci di Cesenatico che è stata datata, nel suo primo impianto, alla
fine del III sec. a.C. e dunque alla fase più antica di occupazione
romana della zona. Le fornaci di Ronta si riferiscono invece ad un
periodo in cui l’occupazione romana era già ben consolidata e pertanto
necessitava di impianti produttivi di notevoli dimensioni per far fronte
alla richiesta di materiale edilizio di abitanti e coloni.
Le dimensioni delle fornaci e di tutto l’impianto rendono improponibile
un loro spostamento anche perché il sollevamento delle fornaci, sia in
blocco che segate, non solo sarebbe estremamente oneroso ma di certo
danneggerebbe i reperti. In accordo con il C.E.R., si è deciso di
spostare il tracciato della condotta in modo da non intaccare i resti
archeologici e sono in corso sondaggi per individuare la nuova area.
I materiali e le strutture rinvenute dovrebbero entrare a far parte del
settore espositivo del Museo della Centuriazione Romana, la cui futura
sede è in corso di acquisizione da parte del Comune di Cesena nella zona
di Bagnile. Trattandosi però di strutture estremamente delicate, di
difficile manutenzione e complesso restauro, si è deciso per ora, una
volta completato lo studio e lo scavo, di procedere al loro interramento
con modalità idonee a garantirne la conservazione: in questo modo le
strutture resterebbero conservate in attesa di un progetto definitivo e
dei relativi finanziamenti.
Lo scavo per il Canale Emiliano Romagnolo continua ad
essere un felice esempio di sinergia pubblico-privato, teso a cogliere
una grande opportunità di studio e di ricerca.
Dai primi interventi degli anni ’70 a tutt’oggi, i lavori per la
realizzazione della condotta principale hanno messo in luce numerose
zone archeologiche e reperti diversi. Nel Cesenate l’attraversamento
della centuriazione ha portato a individuare strade e case coloniche
antiche, non solo di epoca romana. Ad esempio nella zona di S. Mauro, in
prossimità di Villa Torlonia, sono stati scavati negli ultimi anni una
fornace ed un pozzo con anfore: la fornace, molto interessante e di
dimensioni relativamente piccole, è stata rimossa e rimontata in un
annesso collegato a Villa Torlonia, in modo da essere fruibile da
specialisti e grande pubblico.
Attualmente si stanno scavando alcune diramazioni per diffondere le
acque del canale anche in zone non interessate dalla condotta
principale. In tutti questi casi la collaborazione fra la Soprintendenza
per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna ed il C.E.R. ha consentito
di mantenere le tecniche di intervento già da tempo concordate, quali la
sorveglianza degli Scavi/Valorizzazione d’opera da parte di personale
specializzato in scavi archeologici e, nel caso di zone a rischio
archeologico, controlli preventivi.
Articolo di Carla Conti, informazioni scientifiche di Maria Grazia Maioli, dati CER Ing. Piero Mattarelli
Leggi l'invito alla conferenza stampa del 2 dicembre 2005, organizzata dall'ufficio stampa del CER, la relazione tecnica del Direttore Generale CER Ing. Piero Mattarelli e il comunicato stampa della Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna