IL VETRO DI PIETRA
IL LAPIS SPECULARIS NEL MONDO ROMANO: DALL'ESTRAZIONE ALL'USO
Mostra
archeologica
dal 27 settembre al 15 gennaio 2014 (prorogata)
Centro “M. Guaducci” di Zattaglia
Via Provinciale, località Zattaglia
Brisighella (RA)
solo domenica dalle 14.30 alle 18.30
Tutti gli altri giorni su prenotazione 0546.015154
Ingresso gratuito
Il lapis specularis è un minerale brillante la cui caratteristica
principale è quella di sfogliarsi in strati sufficientemente sottili da fare
passare la luce, presentando quindi le medesime caratteristiche del vetro.
I Romani ne facevano ampio uso, destinando alla sua estrazione persino i
bambini, gli unici a potersi infilare anche nelle cavità più strette. Lo usavano principalmente per chiudere le finestre di edifici
pubblici o privati, ma anche per altri utilizzi come serre, alveari o lettighe.
Plinio, nella Naturalis Historia (XXXVI, 160-161) indica le principali cave di
lapis nel bacino del Mediterraneo: Turchia, Tunisia, Cipro, Spagna e Italia, in
Sicilia ed in prossimità della città di Bologna.
A seguito delle scoperte più recenti condotte nella
Grotta della Lucerna situata
nel Parco della Vena del Gesso, che hanno permesso di identificarla coma una
cava di lapis, la Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna e
il Parco della Vena del Gesso Romagnola hanno sentito l’esigenza di condividere
e discutere con la comunità scientifica i risultati preliminari di questa
ricerca nell’ambito di un convegno internazionale che si è tenuto a Faenza il 26
e 27 settembre.
La mostra "Il vetro di pietra. Il lapis specularis nel
mondo romano: dall’estrazione all’uso" è il naturale completamento del
convegno di Faenza. Allestita fino al 15
gennaio 2014
nel Centro “M. Guaducci” di Zattaglia (Via Provinciale, località Zattaglia, Brisighella, RA),
a poca distanza dal Monte Mauro dov’è stata individuata la Grotta della Lucerna,
offre l’occasione per vedere per la prima volta i materiali archeologici che,
con i segni scolpiti sulla roccia, hanno consentito di identificare la prima
cava di lapis specularis italiana.
Tra i reperti esposti spiccano quelli rinvenuti nella Grotta della Lucerna:
frammenti di brocche e piccoli contenitori ma soprattutto un notevole numero di
lucerne, alcune delle quali integre o parzialmente frammentate, che si datano
dalla prima età imperiale alla tarda antichità. Accanto a queste è stata
rinvenuta una moneta dell’imperatore Antonino Pio (138- 161 d.C.).
Un altro gruppo di materiali si riferisce alla scoperta presso Cà Carnè di un
edificio di età romana ( I sec. d.C) realizzato in legno e argilla. La sua
insolita posizione, in un'area non votata all'insediamento, e i numerosi
materiali archeologici rinvenuti al suo interno, anche di una certa qualità,
permettono di ipotizzarne un utilizzo legato allo sfruttamento delle cave di
lapis specularis. La mostra espone gli oggetti rinvenuti all’interno
della struttura crollata dopo un incendio: olle, coppe e bicchieri in ceramica,
una zappa in ferro, un dado in pietra e un frammento di lamina in bronzo
argentato, raffigurante forse una divinità.
Completano l'esposizione una selezione di materiali rinvenuti nel territorio del
Parco, tra cui segnaliamo un bollo laterizio molto raro e una selezione dei
materiali rinvenuti all’interno della Grotta dei Banditi, dall’età protostorica
al Medioevo.
La mostra è integrata da una nutrita serie di materiali ricostruttivi che sono
stati donati per l’occasione alla Soprintendenza dagli archeologi spagnoli dell’Equipo Lapis
Specularis intervenuti al convegno di Faenza: si tratta di alcuni indumenti
propri dei cavatori, realizzati in sparto, una fibra tenace che tuttora cresce
nella Meseta spagnola, di riproduzioni di lastre in lapis, di ceramiche e altri
oggetti utilizzati nella vita della cava e dei cesti che servivano per il
trasporto del materiale estratto.
Accanto a queste riproduzioni troviamo anche quelle realizzate dal Gruppo Speleo
Gam Mezzano, oltre ai calchi delle pareti e delle nicchie della cava della
Lucerna.
Corredano la mostra anche i due filmati presentati al
Convegno: quello realizzato dall’Asociasion Lapis specularis, intitolato "Mineria
en Hispania", che illustra le cave di lapis spagnole, e il filmato evocativo "Lapis
specularis: la luminosa trasparenza del gesso", curato da Danilo De Maria,
Elisa Tinti e Francesco Grazioli.
L’esposizione illustra come l'intera Vena del Gesso fosse un distretto
minerario della Roma Imperiale, circostanza attestata anche da Plinio il Vecchio
che nella sua Historia Naturalis indica nella “Bononiensi Italiae parte breves”
uno dei pochi luoghi di estrazione insieme a Cipro, Turchia, Tunisia, Sicilia e
soprattutto la Spagna Citerior, cioè l'area attorno alla città di Segobriga.
Nella Grotta della Lucerna sono perfettamente visibili le “tracce” del lavoro
dei cavatori (minatori): nicchie per lucerne, ancoraggi per funi e carrucole,
alloggiamenti per pali, sostegni dove posare le ceste o appoggiarsi poter
scavare più comodamente, scivoli, gradini, sistemi di movimentazione del
materiale estratto e di trasporto in superficie.
Nell'inverno 2005, a poca distanza dalla cava, in località Ca`Carnè, è stato poi
scoperto un piccolo edificio di età romana, di circa 81mq. La sua insolita
posizione, in un'area non votata all'insediamento, suggerì indagini
archeologiche più approfondite che appurarono come l’edificio era stato
costruito nel I secolo d.C. e abitato per circa un secolo, subendo anche una
consistente ristrutturazione che ne aveva ampliato l'estensione. L'edificio
utilizzava come fondazioni il banco di gesso, aveva il tetto in tegole e coppi,
e la struttura realizzata con pareti in mattoni di argilla cruda e pali portanti
in legno. L’ubicazione e i numerosi materiali archeologici rinvenuti al suo
interno, anche di una certa qualità, fanno ora ipotizzare un suo utilizzo legato
allo sfruttamento delle cave di lapis specularis.
La Vena è costituita da un lungo affioramento gessoso che si estende in
direzione nordovest–sudest, dall’imolese fino a Brisighella, per circa 25
chilometri nel quale sono state esplorate fino ad oggi oltre 200 grotte per uno
sviluppo complessivo che supera i 40 chilometri. Non tutto l’affioramento può
essere utilizzato per estrarre lapis specularis: requisiti fondamentali
ricercati dai romani per ottenere lastrine ad imitazione del vetro erano la
dimensione dei cristalli (almeno alcuni decimetri) e una perfetta trasparenza.
Dal 15 dicembre al 15 gennaio la mostra è aperta solo
domenica dalle 14.30 alle 18.30
Tutti
gli altri giorni su prenotazione 0546.015154
Organizzata da Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e Parco della Vena del Gesso Romagnola
vai alla pagina dedicata al convegno e al comunicato stampa
Parco della Vena del Gesso Romagnola. Affioramento in superficie di lapis specularis
Le ragioni di una mostra
Numerose fonti scritte parlano del lapis specularis
nell’antichità. La maggior parte dei documenti risale al I-II secolo d.C., epoca
in cui questo minerale inizia ad essere impiegato su larga scala.
Oltre a Plinio il Vecchio, ne parlano Isidoro di Siviglia e alcuni passi di
Filone, Seneca, Columella, Petronio, Marziale, Giovenale, Plinio il Giovane e
Ulpiano. In epoca tardo antica l’uso è testimoniato da Lattanzio, Girolamo e
Basilio di Cesarea e da alcuni documenti epigrafici, tra cui l’Edictum de
pretiis di Diocleziano.
Nella Historia Naturalis, Plinio, elenca chiaramente i differenti luoghi
d’estrazione del lapis specularis: “…Et hi quidem sectiles sunt, specularis
vero….Hispania hunc tantum citerioe olim dabat…et Cipros et Cappadocia et
Sicilia et numper inventum Africa..et in Bononiensi Italiae parte breves…” (
Plinio, Nat. Hist., XXXVI, 45, 1 – 9)
Dunque Cipro, Turchia, Tunisia, Italia -vicino a Bologna e in Sicilia- e
soprattutto Spagna, in particolare la Spagna Citerior, nell'area attorno alla
città di Segobriga.
Due tipi di indicatori archeologici hanno permesso di identificare con
certezza la Grotta della Lucerna come una cava di lapis specularis: i segni
estrattivi e i materiali archeologici.
Per quanto riguarda i segni estrattivi, sono evidenti le tracce lasciate
dall'estrazione sia nella grotta che sui manufatti; si pensi ad esempio a
scivoli e gradini che agevolavano il lavoro nella cava e trovano confronto in
situazioni meglio conosciute come quelle spagnole.
I materiali archeologici finora rinvenuti all'interno della cava (ricordiamo che
le indagini sono ancora in corso) indicano un excursus cronologico piuttosto
ampio che inizia nella piena età imperiale per arrivare sino alla tarda
antichità: si tratta in particolare di alcuni esemplari di lucerne, di cui una
integra che ha dato il nome alla cava, frammenti di vasellame di varia natura e
di una moneta di Antonino Pio.
Nel 2005 alcuni lavori realizzati nell'area di Cà Carnè, all'interno del
Parco della Vena del Gesso Romagnola, hanno portato alla casuale scoperta di un
edificio rustico di età romana. La struttura era stata costruita nel corso del I
secolo d.C. e fu abitata per circa un secolo, subendo anche una consistente
ristrutturazione che ne ampliò l'estensione. L'edificio ha utilizzato come
fondazioni il banco di gesso e presenta tutta la struttura realizzata con pareti
in mattoni di argilla cruda e pali portanti in legno. Il tetto era in tegole e
coppi.
La sua insolita posizione, in un'area non votata all'insediamento, e i numerosi
materiali archeologici rinvenuti al suo interno, anche di una certa qualità,
permettono di ipotizzarne un utilizzo legato allo sfruttamento delle cave di
lapis specularis.
La Vena del Gesso Romagnola è costituita da un lungo affioramento gessoso
che si estende per circa 25 chilometri in direzione nordovest–sudest,
dall’imolese a Brisighella: fino ad oggi sono state esplorate oltre 200 grotte,
per uno sviluppo complessivo che supera i 40 chilometri. Non tutti questi
affioramenti possono essere utilizzati per estrarre lapis specularis: i
requisiti fondamentali ricercati dai romani per ottenere lastrine a imitazione
del vetro erano la dimensione dei cristalli (almeno alcuni decimetri) e la
perfetta trasparenza.
Se da un lato la presenza della vena del gesso ha agito come fattore limitante
per l’agricoltura o il pascolo, dall'altro ha favorito lo sfruttamento minerario
di lungo periodo, dall’età romana ad oggi, tradizionalmente legato in primis
all’uso della selenite come materiale da costruzione e, una volta cotta e
macinata, come legante o intonaco.
Le cave e le fornaci da gesso, presenza abituale nel paesaggio locale, hanno
avuto sino alla metà circa del XX secolo un impatto ambientale tutto sommato
ridotto sui quadri paesistici, salvo poi diventare negli ultimi decenni,
complice la meccanizzazione e l’aumento vertiginoso dei volumi estratti, uno dei
principali problemi per la salvaguardia dei gessi romagnoli.
Ma il binomio gesso-comunità residente non si è esaurito solo sul piano
economico-produttivo. L’estrazione del gesso nella Vena, radicata secolarmente,
ha infatti avuto sino al recente passato importanti riflessi sociali (i mestieri
tradizionali del “gessarolo” e del fornaciaio, ma anche i birocciai
specializzati nel trasporto del minerale), fino a divenire parte integrante
dell’identità locale e un fatto culturale, sia immateriale che materiale: basti
pensare alla particolare venerazione attestata a Brisighella per San Marino,
patrono dei cavatori, oppure al cospicuo patrimonio archeologico industriale
dell’area (cave e fornaci ottocentesche e novecentesche).
Oggi, chiusa la maggior parte dei siti estrattivi della Vena del Gesso, il
profondo legame tra la comunità locale e l’attività estrattiva è ormai declinato
al passato e rischia di indebolirsi. Una delle sfide dei prossimi decenni sarà
proprio il mantenimento di tale memoria e il recupero, la musealizzazione e la
divulgazione delle emergenze culturali connesse al gesso: in questo contesto, il
Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola assumerà necessariamente un ruolo
centrale.