Rocca
Malatestiana
Montefiore Conca (RN)
da venerdì 22 maggio 2009 a domenica 22 maggio 2011
info 0541.980035 (Comune) 0541.980179 (Castello)
A poca distanza dalla riapertura, dopo lunghi restauri, la
Rocca Malatestiana di Montefiore Conca, nell'entroterra riminese, ospita la sua
prima mostra dal titolo “I colori di Montefiore. Testimonianze archeologiche
dagli scavi nella Rocca”, dedicata agli esiti delle indagini archeologiche che
si sono svolte dal 2006 al 2008. Sette vetrine all'ultimo piano espongono 12
reperti ceramici di notevole fattura, recentemente restaurati e corredati da
scheda tecnica; l'allestimento consente anche la visita dell'area di scavo vera e propria,
lasciata a vista per il pubblico. Dal 18 maggio al 23 giugno 2009, inoltre, Montefiore
è stata sede di un cantiere-scuola di restauro ceramico al termine del quale i 12
corsisti consegneranno altri 40 reperti disponibili per l'esposizione.
Pur inserendosi nell'ormai consolidato filone degli studi sulla produzione
ceramica di età malatestiana, questa esposizione presenta due elementi di
novità. Il primo è la possibilità di trasformare la mostra da temporanea in
permanente; il secondo è la sua ambientazione nei locali del Castello, da poco
riaperti al pubblico e il cui recente restauro è stato occasione dei
ritrovamenti che la mostra stessa documenta. La lettura dei dati di scavo e
l’analisi dei reperti (ad oggi sono oltre 300 le ceramiche, i metalli e i vetri
già inventariati), stanno consentendo di ricostruire un pezzo di storia di
Montefiore mai prima d’ora indagato e solo sommariamente delineato dalle fonti
scritte. Le ceramiche recuperate rappresentano frammenti di una vita quotidiana
che si dipana sui tre secoli di occupazione della rocca da parte dei Malatesta,
dagli inizi del ‘300 alla fine del ‘500.
L'aver ritrovato questi reperti sta consentendo di ricomporre uno spaccato di
vita fatto di attività artigiane, scambi culturali, abitudini alimentari e di
banchetti, politica, dame e guerrieri.
L'inaugurazione della mostra è stata l'occasione per presentare
i
restauri degli affreschi quattrocenteschi nell’Oratorio della Beata Vergine,
effettuati da Laboratorio di Restauro di Ravenna, e il volume “La rocca e il
sigillo ritrovato. Ultimi restauri e scoperte a Montefiore” a cura di Cetty
Muscolino e Valter Piazza, funzionari della Soprintendenza per i Beni
Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna, con interventi di archeologi,
storici dell’arte e restauratori.
MONTEFIORE: LA MAIOLICA ATTRAVERSO I SECOLI
Il nucleo più consistente di materiale ritrovato negli scavi è riferibile
alle ceramiche da mensa prodotte dalla fine del ‘300 alla seconda metà del '500.
Abbiamo anche rinvenimenti di minor consistenza, relativi alle ultime fasi d’
uso della Rocca e databili al corso del ‘600, ma si tratta di reperti quasi
esclusivamente connessi all’utilizzo occasionale dei locali.
Di particolare interesse è la differenza quantitativa fra i tipi collocabili tra
la metà del Quattrocento e il secolo successivo, largamente prevalenti, rispetto
alle produzioni arcaiche trecentesche. Questo dato trova un quadro di
riferimento specifico in quelle che sono le aree di produzione delle varie
tipologie ceramiche attestate: se le maioliche più antiche sono perlopiù
assimilabili alle produzioni locali, quelle successive si caratterizzano per un
aumento degli oggetti d’importazione dall’Alta Marca, dall’area faentina o dal
territorio ferrarese, con prolungamenti nel corso del Seicento al Veneto. Si
tratta di elementi che trovano una prima spiegazione in quella che è la
logistica stessa della Rocca di Montefiore, costruita a difesa dei territori
Malatestiani confinanti con il Montefeltro e a breve distanza dalla costa, e
quindi, nei decenni di passaggio fra l’età medievale e il primo Rinascimento,
pienamente coinvolta in quelli che erano i traffici economici e culturali tra i
principali centri delle Marche settentrionali e del Veneto.
Fine del Trecento
Fra
le produzioni più antiche, numerosi frammenti appartengono alle maioliche
arcaiche. Sono attestate quasi esclusivamente forme chiuse, decorate con motivi
geometrici, ritratti, ornati epigrafici, fitomorfi, zoomorfi o araldici, in
verde ramina e bruno manganese su fondo bianco smaltato. Queste ceramiche sono
in prevalenza produzioni romagnole e riminesi legate alla prima epoca
malatestiana, cui si affianca anche qualche esemplare di fattura marchigiana.
A sinistra: Boccale biconico in maiolica arcaica (metà-terzo venticinquennio del
XIV secolo), ricomposto da 10 frammenti. Decorazione costituita dallo stemma
della Famiglia Malatesta con bande trasversali a scacchiera entro scudetto in
verde ramina e violetto-bruno manganese sormontato dalla lettera “G” a
terminazioni zoomorfe (testa di drago?). Boccali con la “G” e abbreviazione
palegografiche che richiamano i codici miniati sono normalmente attribuiti a
Galeotto Malatesta (1299-1385)
A destra: Boccale biconico in maiolica arcaica (seconda metà del XIV secolo).
Decorazione centrale con profilo di uomo barbuto con cappello, in verde ramina e
bruno manganese.
Oltre a queste ceramiche troviamo anche produzioni molto meno costose e
realizzate in un gran numero di pezzi, le cosiddette ceramiche comuni. Si tratta
di forme funzionali la cui struttura era dettata esclusivamente dall’esigenze
d’uso. Queste ceramiche erano prodotte in argilla depurata quando, ad esempio,
dovevano servire come contenitori per l’acqua o il vino, o in un impasto più
rozzo, ricco di inclusi che lo rendevano quasi refrattario al calore, per
pentole, tegami, coperchi, teglie ed olle.
Contemporaneamente veniva prodotto anche un vasellame in argilla in un impasto
di colore rosso, le cosiddette “ceramiche invetriate”, cioè rivestite da una
vetrina trasparente o verdastra, a base di ossidi di piombo, che proteggeva
l’interno dei recipienti per le ceramiche da fuoco o poteva ricoprirli anche
interamente nel caso delle ceramiche da mensa. Fra le ceramiche ritrovate
durante gli scavi sono attestate pentole, tegami, coperchi, con produzioni che
vanno dalla fine del XIV secolo al XVII. Numerosi anche i micro vasetti
recuperati, cioè piccoli contenitori che non superano di solito i 6-7 cm di
altezza, utilizzati normalmente in cucina come portaspezie.
Fra la fine del Trecento e gli inizi del Quattrocento si datano anche alcune fra
le prime produzioni di ceramiche ingobbiate, ritrovate nei depositi
stratigrafici interni alle discariche insieme alle maioliche arcaiche e ai
boccali in “zaffera a rilievo”. La ceramica ingobbiata era ottenuta immergendo
in una terra bianca diluita (ingobbio) I'oggetto di argilla, che veniva quindi
ricoperto con la vetrina piombifera e infornato per la seconda cottura
(ceramiche ingobbiate monocrome) oppure decorato (ceramiche ingobbiate dipinte).
In questo caso sul biscotto (cioè sull’oggetto cotto una sola volta, sul quale
era poi realizzata la decorazione e quindi ricotto, da cui il termine biscotto)
veniva realizzato un disegno in bicromia verde rame e giallo ferraccia,
costituito, nel caso delle ceramiche di Montefiore, da decori
geometrico-vegetali con filetti a croce centrali e campiture riempiete a
graticcio. Sono oggetti che, al pari delle ceramiche comuni o di quelle
invetriate, troveranno un’ ampia diffusione soprattutto nel corso del
Quattrocento e del Cinquecento, grazie in particolare alle caratteristiche della
tecnica decorativa, che si prestava molto facilmente ad adattarsi a possibili
varianti esecutive.
Catino biansato in maiolica arcaica. Fine XIV - inizi XV secolo. Ricomposto
quasi integralmente da 13 frammenti, presenta una decorazione in verde ramina e
bruno manganese costituita da giglio centrale (stemma degli Angiò) e graticcio in verde sulla parete
interna, delimitato da una doppia filettatura sul fondo e da una bordatura in
bruno lungo il margine interno superiore
Al gruppo delle ceramiche ingobbiate appartengono anche le cosiddette
ceramiche graffite policrome. Attestate da pochi frammenti datati a partire
dall’ultimo ventennio del Trecento, si distinguevano dalle forme precedenti per
l’uso di una punta acuminata che il ceramista usava dopo l’ingobbiatura per
incidere il rivestimento, seguendo un disegno o un’ispirazione. Il pezzo passava
così alla prima cottura, quindi veniva decorato con colori a base di ossidi
metalli e ricoperto dalla vetrina piombifera ed Infine rinfornato per la seconda
definitiva cottura.
Il Quattrocento
Agli inizi del Quattrocento, contemporaneamente alla decadenza della
produzione di maioliche arcaiche, fanno la loro comparsa, nei servizi da tavola,
le ceramiche in “zaffera a rilievo”, nome che deriva dalla parola araba
“al-safra” con cui si indicava il colore blu di cobalto. Oggi invece con il
termine zaffera si fa riferimento a uno specifico tipo di decorazione,
caratteristica dell’età medievale, contraddistinta dall’uso di un colore blu
molto scuro e denso dato in associazione al bruno manganese. I reperti di
Montefiore che appartengono a questa famiglia sono esclusivamente forme chiuse,
come i boccali di produzione romagnola contraddistinti da motivi epigrafici
(ricorrenti la “N” o la “M”gotiche) all’interno di un medaglione centrale
formato da un doppio serto di bacche.
Solo dalla metà del XV secolo si assisterà ad una vera e propria “rivoluzione
estetica” sulle tavole, con l’introduzione della “famiglia gotico-floreale”. Si
tratta di produzioni le cui decorazioni, oltre ad assumere i temi delle
ceramiche italo-moresche, impiegavano, riadattandoli, elementi della cultura
tardo gotica e della miniatura di fine Trecento. La qualità dello smalto e la
brillantezza dei colori diventano un tratto distintivo di queste produzioni: la
tavolozza del ceramista “si fa calda” con l’uso dell’arancio, dei viola, dei
verdi, del blu o dell’azzurro turchino. I decori cambiano e si arricchiscono
grazie alla diffusione dei nuovi canoni estetici rinascimentali. Si assiste ad
un moltiplicarsi di fiori, animali, stemmi, simboli religiosi (come il trigramma
“IHS” di san Bernardino da Siena o la croce terminante a monticelli), contornati
da palmette a ventaglio, aureole di fiammelle o monticelli in alternanza
cromatica.
A sinistra: Piatto con decorazione in stile “gotico floreale” a tavolozza calda.
Seconda metà XV secolo. Ricomposto quasi integralmente da 4 frammenti,
decorato nei colori blu, verde, terra di Siena bruciata, giallo, con cartiglio
centrale e scritta LAVS-DO.
A destra: Ciotola in stile “gotico floreale”. Seconda metà XV secolo. Decorata
nei colori blu, arancio e verde ramina; al centro IHS (monogramma di San
Bernardino), sulla fascia motivi a ali ricorrenti a colori alterni e entro
filetti in bicromia
Fra le ceramiche rinvenute a Montefiore non mancano anche alcune ceramiche
appartenenti al tipo “a tavolozza fredda”, diversificato dal precedente
dall’utilizzo di colori come il blu-grigio zaffera, il giallo cedrino e il bruno
manganese.
Fine del Quattrocento
Alla fine del XV secolo sono attribuibili un numero discreto, anche se non
abbondante, di frammenti ceramici che hanno in comune decorazioni molto ricche
nell’uso dei colori e delle composizioni (i c.d. “tipi rinascimentali”). Accanto
ai motivi già tipici del “gotico-floreale”, come gli archetti e i cartigli,
queste ceramiche propongono nuove decorazioni di carattere simbolico o puramente
decorativo, come il grande boccale ornato da un medaglione centrale con due mani
che si stringono accompagnate dalla scritta FIDES, quale augurio d’amore e
fedeltà secondo la simbologia amorosa rinascimentale.
Un ultimo gruppo di materiali ritrovati all’interno delle discariche della
Rocca, e prodotti a partire dalla seconda metà del Quattrocento, sono le
ceramiche ingobbiate graffite policrome rinascimentali. Si tratta di oggetti
realizzati nelle stesse officine delle ceramiche ingobbiate comuni, dalle quali
si differenziavano quasi esclusivamente per i soggetti rappresentati.
Molto diffuse sono le ciotole con busti di profilo, animali (lepri, uccelli) o
stemmi centrali associati a siepi o elementi geometrico-vegetali lungo il
cavetto interno, in corrispondenza dell’orlo.
Il Cinquecento e il Seicento
La ceramica alla porcellana. Sono ceramiche ad imitazione delle porcellane
cinesi Ming (1368-1644) prodotte a partire dalla fine del Quattrocento. Si
tratta di ceramiche di largo consumo, realizzate a costi contenuti e di
conseguenza più facilmente commerciabili rispetto, ad esempio, ai contemporanei
esemplari istoriati dello “stile bello”, che, oltre a non avere destinazione
d’uso se non quella di oggetto da esposizione o d’arredo, rimanevano un articolo
riservato a pochissime persone. Fra le ceramiche alla porcellana di Montefiore
sono stare recuperate numerose scodelle, coppette e piatti decorati da un
medaglione centrale con composizioni vegetali, animali (anatre, colibrì ecc.) o
paesaggi stilizzati con conchiglie, delimitati sui bordi o sulla tesa da motivi
a tralci o a ciuffetti di foglie.
Fra i “tipi rinascimentali” attestati a Montefiore, le produzioni più tardive di
fine Cinquecento-inizi Seicento sono riferibili alle ceramiche c.d. berrettine e
alla maioliche in stile compendiario. Delle prime fanno parte alcune ciotole con
decorazioni policrome a festoni, frutta e fiori realizzate sullo smalto
azzurrino di fondo, e diversi frammenti di piatti caratterizzati da uno smalto
blu più o meno intenso, con pennellate di bianco e con soggetto “a paesi”,
abitualmente assegnati alle produzioni veneziane ma ben testimoniati anche tra i
reperti pesaresi della metà del Seicento.
Per quanto riguarda le maioliche in stile compendiario è stato ritrovato solo
qualche fondino di coppetta. Il termine, utilizzato dagli archeologi per
indicare un tipo di pittura romana sviluppatasi verso la fine del I sec. d.C. e
contraddistinta dall’uso di pennellate rapide, venne ripreso dal ceramologo
faentino Gaetano Ballardini nel secolo scorso, per riferirsi ad un tipo di
produzione ceramica caratterizzato dall’uso di tratti veloci ed essenziali di
giallo, arancio o turchino sul fondo bianco smaltato dell’oggetto.
Caratteristici di questa produzione sono gli amorini o gli stemmi di famiglia .
GLI SCAVI ARCHEOLOGICI
Sulla base delle fonti scritte, gli storici hanno collocato la costruzione
del castello fra agli anni 1337 e 1347. Gli scavi archeologici hanno confermato
in linea di massima questi dati, attestando tuttavia un precedente periodo di
frequentazione, databile al tardo XIII secolo. La Rocca oggi visibile è però il
risultato di trasformazioni avvenute nel suo II e III periodo di vita,
costituiti da diverse fasi architettoniche, la più antica delle quali risale
alla metà del XIV secolo, mentre la più recente al pieno XV secolo. Il corpo più
antico è quello di sud-ovest, formato dalle stanze C e D con gli annessi e il
vano scale, mentre le altre sale del piano di corte furono costruite solo
successivamente. Questi ambienti al pianterreno erano destinati a diversi
utilizzi, principalmente di servizio, mentre gli spazi di abitazione veri e
propri, compresi quelli di rappresentanza, erano ai piani superiori. La fase
malatestiana più antica è presente in una serie di strutture e ambienti di
servizio, la cui costruzione ha comportato l’incisione della roccia di base, con
scassi e buche di palo da ponteggio, il cui uso è molto probabilmente da
collegare alla costruzione della rocca stessa. La struttura più importante
venuta alla luce nella stanza A è la grande cisterna-pozzo per la raccolta
dell’acqua, collocata al centro della stanza.
Veduta della stanza A con la cisterna di raccolta per l’acqua (XIV secolo)
Si tratta di una struttura quadrangolare, scavata in parte nella roccia di base. Le pareti sono rivestite da uno spesso strato di argilla pura con funzione impermeabilizzante; al centro è costruito un pozzo con camicia in mattoni, tenuti volutamente slegati. Tutto lo spazio fra le pareti e il pozzo è riempito da sabbia, con funzione ed effetto filtrante. L’acqua raggiungeva la cisterna attraverso un sistema di canne vuote, interne alle murature, che partivano dal tetto e portavano direttamente l’acqua piovana alla vasca di raccolta, dove veniva filtrata dalla sabbia e quindi raccolta nel pozzo, dove poteva poi essere attinta senza problemi. L’aspetto più interessante di questa fase è dato, però, dalla presenza di gruppi distinti di fosse da butto in muratura (una nel vano A e tre nel vano B), inserite nella roccia di base, costruite praticamente in batteria e rimaste in uso fino alle ultime fasi del castello, agli inizi del ‘600. Sono costruite da semplici strutture a volta a pianta rettangolare, realizzate in mattoni, con una o due caditoie con chiusino a botola.
Particolare della stanza B a fine scavo: in primo piano si intravede la
controvolta esterna di una delle tre camere interrate utilizzate come discarica,
sullo sfondo le caditoie in cui venivano buttati i materiali di rifiuto
Queste discariche erano usate in successione e quando una era riempita, la botola veniva chiusa e saldata, in modo che non si spargessero effluvi spiacevoli. Al livello alto, in corrispondenza dell’ambiente maggiore delle fosse, appariva solo un muro con allineamento di stanzette quadrate con porta dotata di soglia, entro le quali era la botola da cui venivano fatti cadere i rifiuti.
L’interno di una delle discariche: notate, sulla destra, la lastra di pietra che
fungeva da chiusura della caditoia (chiusino)
Lo scavo di queste discariche ha permesso il recupero di una quantità
impressionante di maioliche, alcune già restaurate e la maggior parte in corso
di ricomposizione. Sono presenti in pratica tutte le fasi delle produzioni di
maiolica: dai tipi arcaici testimoniati da numerosi boccali, alcuni dei quali
con lo stemma dei Malatesta con scudo a bande trasversali a scacchiera, alla
“zaffera a rilievo”. Dalle coppe e piatti in stile “gotico floreale” o “alla
porcellana”, con motivi decorativi o simbolici, come il grande piatto da
esposizione dei Montefeltro con l’aquila a testa cornata, alle meno numerose le
graffite rinascimentali di produzione ferrarese o le maioliche istoriate
rinascimentali cinquecentesche, fino ad arrivare ai compendiari faentini dei
primi del ‘600.
Eclatante è stato il restauro del tetto antico -trasformato in terrazza da un
innalzamento- che ha portato i nostri tecnici ad effettuare uno scavo
archeologico sulla massima sommità della struttura della rocca. Lo svuotamento
controllato ha messo in luce i coppi e gli scarichi per l’acqua originari, e ha
permesso anche di recuperare, oltre ad altro materiale, molte punte di frecce da
balestra delle esercitazioni degli arcieri, evidentemente cadute e lasciate nel
terreno del Campo degli Arcieri e dei piani della grillanda, zone da cui era
stato preso il terreno del riempimento.
La copertura originaria del XIV secolo della camera detta “dell’Imperatore”,
riportata in luce dagli scavi archeologici: notate i due camini, sui lati lunghi
La rocca è strutturata su tre piani: i lavori eseguiti negli anni ’50 del
secolo scorso dal Genio Civile, pur ridando alla rocca la sua imponenza, ne
avevano completamente falsato le strutture, modificando piani d’uso, quote e
pavimenti.
In alcuni punti, come nei locali C e D, il terreno era stato asportato fin quasi
alla roccia, mentre nei locali A e B era stato livellato fino alla quota delle
nuove soglie della corte interna. I terreni usati per i riempimenti e per
rialzare i pavimenti erano quelli ricavati da altri lavori di scasso e
fondazione, pieni quindi di frammenti ceramici e di oggetti.
Noi abbiamo eseguito gli svuotamenti dei locali sopra indicati, recuperando i
materiali; i lavori di scavo archeologico vero e proprio -esclusi gli
svuotamenti- hanno interessato esclusivamente gli ambienti del piano di
corte. Alla fine, sono state lasciate in vista e musealizzate le strutture
rinvenute all’interno degli ambienti A e B, mentre quelle negli altri ambienti,
dopo essere state rilevate, sono state protette, ricoperte e chiuse sotto i
nuovi pavimenti.
GLI
AFFRESCHI ALL'ULTIMO PIANO DELLA ROCCA
Nell’ampio salone all’ultimo piano della rocca ci sono ampi affreschi
risalenti alla seconda metà del Trecento che testimoniano la dignità e
spettacolarità che questo luogo doveva avere nei tempi lontani del suo
splendore.
Gli affreschi furono realizzati sotto il mandato del Malatesta detto l’Ungaro
perché nel 1348 aveva ricevuto un’onorificenza dal re d’Ungheria. Di quello che
in origine doveva essere un ciclo di grande respiro rimangono in questa sala
trapezoidale, con copertura a volta ogivale, definita nei documenti del
Quattrocento “camera dicta vulgariter dell’Imperatore”, ampi brani
pittorici sui lati brevi. Sulla parete occidentale, all’interno di un grandioso
baldacchino, campeggia la maestosa figura di un uomo armato, probabilmente
l’Imperator delle cronache, che reca lo scettro nella mano destra e la spada
nella sinistra; la lunetta soprastante è decorata con un’animata battaglia di
fanti con armamento leggero. Per l’identificazione del monumentale personaggio
sono state avanzate alcune ipotesi: potrebbe essere Tarcone, figlio di
Laomedonte re di Troia, cugino di Ettore e di Enea e, sulla base di una leggenda
divulgata nella seconda metà del Trecento, presunto capostipite della famiglia;
o potrebbe trattarsi di Ettore o di Enea o di Scipione l’Africano che per
Sigismondo Pandolfo Malatesta acquisterà un ruolo determinante, come attestano i
superbi rilievi quattrocenteschi realizzati nel Tempio di Rimini da Agostino di
Duccio.
Sulla parete orientale doveva in origine figurare la fase conclusiva di un
combattimento equestre: cavalieri in fuga inseguiti da altri cavalieri.
La decorazione doveva poi proseguire lungo la volta ogivale con una duplice
serie di grandi medaglioni quadrilobati (tipo quelli realizzati da Giotto nella
Cappella degli Scrovegni a Padova) entro cui si disponevano a mezzo busto figure
di personaggi dell’antichità, individuabili grazie all’iscrizione declaratoria.
Il ciclo pittorico è stato attribuito al bolognese Jacopo Avanzi, pittore
forgiatosi sulle esperienze grottesche padovane e collaboratore di Altichiero
negli affreschi della Cappella di San Giacomo a Padova realizzati nella seconda
metà del Trecento. Gli affreschi della rocca furono realizzati probabilmente nel
decennio compreso fra il 1362 e il 1372.
Per le notizie sugli affreschi: Cetty Muscolino, “A proposito di un importante ciclo pittorico”, in Montefiore Conca. Passato e futuro della rocca malatestiana, pagg. 85-94, Maggioli Editore, 2003 Forlì
vedi anche
Approfondimento sul Cantiere-Scuola
Approfondimento sugli scavi archeologici