“Quindi
mutando bestie e cavallari,
Arimino passò la sera ancora;
né in Montefiore aspetta il matutino
e quasi a par col sol giunge in Urbino ”
(Ludovico Ariosto, Olando furioso, XLIII)
Il progetto di valorizzazione del castello
di Montefiore Conca, nell’entroterra riminese, rappresenta una delle
pochissime esperienze di archeologia medievale e post-medievale della bassa
Valconca. Le ricerche, iniziate nell’estate del 2006, stanno portando in
luce importanti dati sulle antiche strutture del Rocca Malatestiana.
Si tratta di un deciso e importante avanzamento sulla conoscenza
dell’assetto edilizio-castrense di Montefiore. Le strutture dell’attuale
castello sono in massima parte contemporanee: risalgono in buona parte alle
ricostruzioni operate nel secondo dopoguerra, lavori che hanno interessato
le murature antiche con interventi spesso distruttivi, che le hanno
danneggiate o nascoste. L’operazione di scavo si è tradotta di conseguenza
in un intervento di fondamentale importanza per il recupero di tutta una
serie di informazioni sull’organizzazione e sullo sviluppo della rocca dalla
fine del Duecento agli inizi del XVII secolo.
Maestranze e direzioni locali hanno di fatto lavorato a questo complesso già
a partire dal XI secolo: nato con funzioni esclusivamente difensive, il
Castrum Montis Floris fu ampliato in funzione di residenza da Guastafamiglia
Malatesta intorno alla prima metà del ‘300 e successivamente ristrutturato e
abbellito da Sigismondo Pandolfo nei primi decenni del XV secolo.
Resta difficile poter stabilire come fossero organizzate le strutture che
formavano l’originario corpo di fabbrica. Non abbiamo traccia della
probabile distruzione o danneggiamento delle primitive strutture ossidionali
del castello, conseguente all’assedio e all’occupazione militare
malatestiana, né sono stati trovati resti di strutture difensive precedenti
il XIV secolo. A quest’ultima fase sono al momento riferibili solo alcune
buche-deposito e resti di focolare databili indicativamente fra l’XII e il
XIII secolo.
Meglio documentato è il successivo periodo di occupazione. Lo scavo
archeologico ha messo in evidenza le tracce di un processo di
incastellamento, già in fase avanzata fra la metà e la seconda metà del XIV
secolo, indiziato dalla costruzione di una serie di strutture di servizio
legate alle varie esigenze della vita quotidiana e alle attività lavorative
che si svolgevano all’interno della corte.
Al centro la vasca di raccolta e la cisterna circolare
Tra queste, una vasca di m 4,40 circa di
lato, riempita di sabbia sterile, scavata integralmente nel banco di
arenaria sottostante e rivestita da uno spesso strato di argilla plastica
con funzione impermeabilizzante. L’utilizzo di questa struttura è connesso
alla presenza (al centro della vasca) di una cisterna di forma cilindrica,
profonda circa m 2.50 realizzata in mattoni e argilla.
Databile alla fase del cantiere trecentesco, è probabile che si tratti di
una vasca per la raccolta dell’acqua piovana: questa, canalizzata attraverso
un sistema di filtri, veniva depurata dalla sabbia, per poi essere filtrata
entro la cisterna. Lo scavo parziale della struttura non permette tuttavia
al momento di confermare questa ipotesi.
Ugualmente databili al XIV secolo sono alcuni ambienti interrati
interpretabili come magazzini o depositi. Costruiti in muratura, erano
dotati di condotti di aerazione comunicanti con il piano superiore a cui si
risaliva attraverso una botola posta sulla sommità delle volte. Scoperti
fortuitamente, vennero riutilizzati già prima della fase di declino del
castello (primi decenni del XVI secolo) come discariche.
Le ceramiche recuperate a Montefiore -oltre trecento i reperti ricostruibili
integralmente-, costituiscono una testimonianza materiale di straordinario
valore. Gli scavi hanno restituito una quantità notevole di materiali
contestualizzabili all’interno di stratigrafie riferibili a fasi ben
precise, che coprono un arco temporale di circa due secoli, dalla metà del
XIV alla fine del XVII secolo.
Le più antiche maioliche smaltate dell’Italia centro-settentrionale, le
“maioliche arcaiche”, sono testimoniate da numerosi boccali, dipinti in
bruno (manganese) e verde (ramina), riportanti per lo più stemmi
appartenenti alle famiglie dei Malatesti. Fra queste un boccale in “maiolica
arcaica” con stemma araldico attribuibile a Galeotto Malatesta (1299-1385).
Presenti anche le maioliche “a zaffera a rilievo” rappresentate dai tipici
boccali col serto di bacche di ginepro, in manganese e blu di cobalto
databili agli inizi del Quattrocento.
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Numerose anche le maioliche graffite o
ingobbiate dipinte e quelle in” stile gotico-floreale”, collocabili fra la
metà del XV e gli inizi del secolo successivo, caratterizzate soprattutto
dalla decorazione di foglie a cartoccio, rosoni quadripetali e trigrammi di
S. Bernardino entro aureola di fiammelle.
Tipiche della produzione romagnola anche le ceramiche con decorazione in blu
“alla porcellana”, attestate a Montefiore dal recupero di numerosi piatti e
scodelle dipinte.
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Non mancano neppure le maioliche istoriate
con raffigurazioni di scene mitologiche e allegoriche, anche se testimoniate
solo da pochi esemplari di pregio. In ogni caso, la loro presenza è
rilevante: i ritrovamenti di queste ceramiche, costose e puramente
decorative, sono molto rari poiché venivano fabbricate in numero ridotto e
conservate con la massima cura.
Le indagini di Montefiore hanno recuperato anche molti anche vetri (per lo
più di importazione veneziana) e materiali metallici. Questi ultimi
rimandano sia all’ambito militare (cuspidi di freccia e parti di armatura)
che ad oggetti d’uso comune (cucchiai in lega di bronzo, ditali da cucito,
chiavi in ferro, roncole, piccozze ecc.). Da segnalare infine il
ritrovamento di un sigillo in bronzo, un reperto di particolare interesse
con incisione in gotico-latino appartenuto forse a un notaio o a un
mercante.
Le indagini archeologiche sono condotte dalla società TECNE S.r.l. di Bologna (coordinamento dott. Simone Biondi) sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna (Dott.ssa Maria Grazia Maioli) in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna.