Mi
si rivela pari agli dei
costui, che di fronte a te
siede vicino e la dolce tua voce
ascolta,
e lieto il sorriso, a me veramente
il cuore mi squassa il petto,
lo sguardo di un attimo
m’allenta la voce,
e la lingua si spezza, sottile.
Ma immediato un fuoco scorre nelle membra,
non più vista agli occhi, sibilano
le orecchie,
su di me scorre sudore, un tremito
mi possiede, e di un pallore verdastro
sono, la morte poco manca
che mi appaia…
Ma bisogna che tutto sopporti
Il mio dolore che stilla
Goccia a goccia
…
(Saffo, I sintomi dell'amore)
Il
Museo Archeologico Nazionale di Ferrara festeggia San Valentino inaugurando la
mostra didattica "Amori e strani amori dai vasi attici di Spina", singolare
itinerario tra le tante forme dell’amore raffigurate sulle ceramiche spinetiche.
La piccola esposizione, curata dall’archeologa Caterina Cornelio, concentra in
una sala una quindicina di vasi a figure rosse, di solito conservati nei
depositi, corredati da un puntuale apparato didattico; lungo il normale percorso
museale un piccolo erotino (amorino) segnala ai visitatori altri oggetti ed
immagini legati al tema della mostra.
La
“lettura” dei vasi di Spina consente di percorrere una sorta di itinerario
attraverso le forme dell’amore vissute dalle divinità dell’Olimpo che, prese da
umane passioni, arrivavano a compiere le più strane azioni nel perseguimento del
desiderio amoroso.
Affiancano gli amori “regolari”, omologati nel rito del matrimonio -talora
preceduti da vivaci antefatti, sovente rappresentati dall’inseguimento amoroso e
dal rapimento dell’amata o dell’amato- altri amori, le passioni
impossibili,omosessuali, extra coniugali.
Accanto alla coppia divina per eccellenza, Zeus ed Era, uniti nel vincolo del
matrimonio nonché da un rapporto di consanguineità e impegnati a combattere
fianco a fianco contro i Giganti, assistiamo alle nozze di Peleo e Teti
–incoronati rispettivamente da Afrodite ed Eros, alla presenza di Ermes ed
Apollo- e alla hierogamia di Dioniso e Arianna, raffigurata sul coperchio di una
lekane, affollato da gruppi di personaggi (la nutrice Inò, forse Demetra e
Afrodite, oltre all’immancabile Eros, più volte raffigurato), impegnati in scene
probabilmente evocative dell’adolescenza del dio.
Alcuni oggetti sono strettamente correlati “a quel momento fondamentale della
vita della donna rappresentato dal matrimonio nei suoi vari aspetti e momenti “
che ne precedono e seguono la celebrazione. Tra questi la lekanìs (o lekane) e
il lebete nuziale.
La lekane se decorata da figure femminili e maschili, da scene di gineceo e da
eroti -che in certe espressioni figurative tarde sostituiscono le ancelle- evoca
il giorno successivo alle nozze (epaulia), in cui gli sposi ricevevano i doni
recati dalle ancelle.
Il lebete nuziale, per alcuni forse connesso anche al mondo dell’Oltretomba
(presenza delle Nikai nel lato B del lebete dalla tomba 1166 di Valle Trebba),
rappresentò il dono tipico alla sposa greca, sia che venisse utilizzato per la
raccolta dell’acqua primaverile, destinata alle abluzioni prenuziali, sia che
fosse usato per preparare il pasto degli sposi.
L’inseguimento amoroso –retaggio culturale del combattimento eroico tra
duellanti– e il rapimento rappresentano una sorta di rito. Inseguitore e
fuggitivo, ancorché apparentemente contrapposti tra loro, perseguono in realtà
lo stesso scopo, quello del legame amoroso.
Frequenti le raffigurazioni che ritraggono indifferentemente, a seconda dei
casi, inseguitori e inseguitrici alla conquista dell’amato bene.
Dal magniloquente ratto delle Leucippidi Febe ed Ilaria ad opera dei Dioscuri
Castore e Polluce, “benedetto” da Eros, a quello di Ganimede da parte di Zeus
(sala II), o di Teti, prodromico alle nozze che generarono Achille.
A questi si possono aggiungere i rapimenti compiuti da Eos (l’Aurora), sorella
di Selene e di Elios, la dea che, per punizione di Afrodite, fu condannata a
vivere amori infelici con giovani mortali, tra i quali Kephalos -regolarmente
sposato ma ciononostante rapito dalla dea da cui, dopo la nascita di Fetonte,
Kephalos fuggì per tornare dalla moglie- e Tithonos. Per lui, in cambio di
Ganimede sottrattole dal padre degli dei, Eos ottenne da Zeus l’immortalità,
dimenticando tuttavia di chiederne anche la giovinezza. Tale omissione fece sì
che Tithonos sopravvivesse, diventando ogni giorno più vecchio e bisognoso di
cure.
Ben
note sono le scappatelle di Zeus -non sempre e non solo indirizzate a donne ma
anche a giovani avvenenti, quale ad esempio Ganimede- e le sembianze da lui
assunte per conseguire la conquista amorosa, come nel caso di Europa e Danae.
Pur se accomunate dalla passione di Zeus -che per possederle assunse sembianze
diverse- le due donne ebbero differenti vicende familiari.
Europa, figlia di Agenore, re dei Fenici, fu a lungo cercata dai propri fratelli
dopo che fu rapita da Zeus, con la complicità di Ermes. Il padre degli dei,
colpito dalla sua avvenenza, si trasformò in un toro candido e mansueto e la
condusse in volo a Creta, dove per vincere le sue resistenze si trasformò in
aquila. Dall’unione di Europa e Zeus nacquero tre figli: Minosse e Radamante,
poi adottati dal re cretese Asterione, e Sarpedonte che, schieratosi con i
Troiani, perse la vita nel duello con Achille.
Diversa fu la sorte di Danae. La giovane venne dapprima rinchiusa dal padre
Acrisio, re di Argo, affinché non potesse avverarsi la profezia secondo la quale
avrebbe perduto la vita proprio per mano del figlio di sua figlia. Quindi,
avendo Danae generato un figlio, Perseo, con Zeus penetrato nella sua prigione
sotto forma di pioggia d’oro, Acrisio abbandonò alle onde del mare madre e
figlio. Questi, salvatisi grazie all’intervento di Posidone, sollecitato da
Zeus, approdarono sull’isola di Serifo, dove furono accolti da Polidette.
Perseo, poi, dopo l’impresa di Medusa e di Andromeda, si recò a Larissa, dove,
partecipando ai giochi indetti nella città, colpì in modo del tutto casuale il
nonno Acrisio, consentendo così l’avverarsi della profezia.
La propensione per amori omosessuali non fu peraltro prerogativa del solo Zeus.
Altri personaggi del mito greco indulsero a questa forma di amore che talora
degenerò in tragedia. E’ il caso di Zephiro e di Giacinto. L’attrazione di
Zefiro nei confronti di Giacinto, trasformatasi in gelosia per il legame amoroso
che univa il giovanetto ad Apollo, provocò la morte dell’amato, che colpito a
morte da un giavellotto deviato da Zefiro, venne da Apollo trasformato nel fiore
che tutti conosciamo.