Comunicato stampa presentazione catalogo (26/01/2010)
Bucefalo e Alessandro Magno, Incitatus e Caligola, Marengo e
Napoleone, Marsala e Garibaldi. I mitici Pegaso e Unicorno, i cavalli del sole
del carro di Apollo e la "cavallina storna" cantata dal Pascoli. Da sempre il
cavallo partecipa alla storia dell'umanità da autentico protagonista: non è un
caso che se ne sia usato uno, seppur di legno, per espugnare l’impenetrabile
Troia. Il rapporto tra il cavallo e il suo compagno di elezione, il cavaliere,
non è un rapporto tra mezzo e utilizzatore, è un binomio paritetico. Efficace
strumento in una serie di attività fondamentali, dalla circolazione al traino,
dal trasporto all’agricoltura, fedele compagno a caccia e in guerra, nobile
partner in manifestazioni ludiche o religiose, apprezzato per l’elevato valore
economico, da sempre il cavallo è un'icona di prestigio e di
potere, vero e proprio status symbol.
Già nel mondo antico il suo possesso è un tale segno di distinzione sociale da
far sì che agli inizi dell'età del Ferro cominci ad affermarsi, anche a livello
iconografico, un’aristocrazia che potremmo definire “equestre”. Man mano che
all’interno delle prime comunità protourbane iniziano a differenziarsi, per
rango, ricchezza e prestigio, i primi gruppi emergenti, le loro sepolture si
riempiono di morsi, finimenti e bardature equine, puntali e sonagli da carro,
fibule ed altri oggetti configurati a cavallino, a volte carri, a volte
addirittura cavalli (come nella necropoli di Via Belle Arti a Bologna o in
quella di Verucchio, nel riminese), ad indiziare la progressiva identificazione
di cavalleria e patriziato, e a ribadire, anche a livello funerario, il ruolo
eminente dei possessori di carri e cavalli.
La mostra "Cavalieri Etruschi dalle Valli al Po" illustra i più recenti studi
sulle testimonianze della prima età del Ferro ad ovest di Bologna, dati e
confronti da cui emerge una connotazione specifica –leggibile a livello di
testimonianze funerarie– legata all’uso e all’esibizione del cavallo e del carro
da parte di individui eminenti all’interno delle comunità dislocate nelle valli
del Samoggia, del Reno e del Panaro.
L'esposizione è curata da Rita Burgio e Sara Campagnari ed è promossa dal Museo Civico Archeologico “Arsenio Crespellani” di Bazzano (BO) e
dalla
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna. Partecipano alla
mostra, e relativo catalogo, gli Istituti
prestatori di una parte dei reperti, Museo Nazionale Etrusco "Pompeo Aria" di
Marzabotto, Museo Civico Archeologico di Bologna, Museo
Civico Archeologico Etnologico di Modena, Museo Civico di Castelfranco Emilia,
Museo Archeologico Ambientale di San Giovanni in Persiceto, Museo Civico di
Stellata di Bondeno e la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana.
Corredo ceramico dalla Tomba 2 (prima metà VII sec.a.C.), rinvenuta in via
Isonzo a Casalecchio di Reno - scavi 1975
Fulcro dell’esposizione è l’analisi del popolamento della Valle del Samoggia,
attestato probabilmente sin dagli inizi dell’VIII secolo a.C. e ben
ricostruibile nel VII sec.a.C., purtroppo quasi esclusivamente sulla base di
materiali rinvenuti in contesti tombali scavati nell’Ottocento. A tal fine sono stati analizzati
topograficamente i siti dell’area collinare, dell’alta, media e bassa valle.
Lo studio di queste testimonianze è stato il “pretesto” per addentrarsi in
tematiche di ben più ampia portata, illustrate attraverso il confronto con
alcuni dei reperti più significativi dalle valli del Reno e del Panaro, e
l’analisi dei rapporti tra esse e quel versante della Toscana costituito dalle
aree di Firenze, Prato e Pisa.
La mostra "Cavalieri Etruschi dalle valli al Po. Tra Reno e Panaro, la valle
del Samoggia nell’VIII e VII sec. a.C." espone più di 400 reperti archeologici provenienti da corredi tombali
dalle aree esaminate: ci sono parures di fibule ed altri oggetti di
ornamento in bronzo, osso, ambra e pasta vitrea, ceramiche, tutti oggetti deposti
nelle tombe con evidente valore simbolico collegato al rito, nonché
espressione del rango e del ruolo di individui appartenenti a quel ceto
aristocratico che a partire dalla metà dell’VIII secolo a.C. iniziò ad
affermarsi con forza sempre maggiore. Un esempio evidentissimo della presenza delle
aristocrazie rurali ad ovest di Bologna è poi costituito dalle stele protofelsinee e
dai segnacoli funerari con immagini antropomorfe esposti. Simbolo e star del
percorso espositivo è la ricostruzione a scala naturale della Tomba 2 di
Casalecchio di Reno, con stele protofelsinea e corredo originali.
La Tomba 2, rinvenuta a Casalecchio di Reno (Via Isonzo) nel 1975. La tomba sarà ricostruita
a scala naturale e con il corredo originale nella mostra di Bazzano
Prodotto naturale degli studi degli
anni passati, questa mostra offre l'occasione per presentare nella loro interezza,
talora per la prima volta, le testimonianze
della prima età del ferro provenienti dalla vallata del Samoggia.
Tra queste, l'esposizione integrale dei reperti bazzanesi, (attualmente conservati anche al Museo Civico
Archeologico Etnologico di Modena),
insieme a quelli della vallata, rappresenta per il visitatore un’occasione unica per una
visione esaustiva delle testimonianze attualmente provenienti dal territorio.
All'interno del percorso espositivo, un ruolo non secondario
è rivestito dall'analisi
della figura del cavallo e del cavaliere. Nelle tombe più
ricche di epoca villanoviana la figura del cavallo è una costante, sia (e soprattutto) attraverso la deposizione di oggetti connessi alla sua
bardatura o al carro, che sotto forma di raffigurazioni in ceramica.
È una figura che presenta due valenze
inscindibilmente legate, quella di indicatore sociale di personaggi di alto
rango e quella di simbolo del viaggio degli stessi nell’oltretomba.
Gli ultimi studi, di sintesi, sulle testimonianze della prima età del ferro ad
ovest di Bologna hanno fatto emergere una connotazione specifica –leggibile a
livello di testimonianze funerarie– legata all’uso e all’esibizione del cavallo
e del carro da parte di individui eminenti all’interno delle comunità dislocate
nelle valli del Samoggia, del Reno e del Panaro.
Numerose tombe restituiscono infatti morsi equini, oggetti legati alla bardatura
del cavallo nonché riferimenti più o meno espliciti al suo possesso, esibiti
all’interno di un complesso rituale funerario che prevede la deposizione di
offerte alimentari, di oggetti con funzioni squisitamente rituali,
caratterizzati da forme e decorazioni peculiari, e di oggetti sottratti alla
sfera dei vivi mediante defunzionalizzazione.
Particolarmente interessanti, infine, i risultati delle analisi archeobotaniche
effettuate in sezioni di scavo limitrofe alle tombe. Gli studi pollinici,
antracologici e carpologici dei campioni prelevati ai margini delle sepolture
villanoviane hanno reso possibile approfondire aspetti collegati non solo al
contesto rituale e funerario, ma anche alla vita quotidiana e alle attività che
si svolgevano nell'area circostante la zona del rinvenimento, consentendo di
ricostruire il quadro ambientale e vegetazionale che faceva da sfondo alle tombe
e, più in generale, alle aree dalle Valli al Po tra l'VIII e il VII sec. a.C.
L'esposizione è affiancata da un percorso didattico sugli Etruschi, per le
scuole,
relativo alle tematiche affrontate in mostra; sono inoltre disponibili audioguide e visite guidate per gruppi di adulti.
Contatti tra vallate e rapporti con l'Etruria settentrionale
Per ogni vallata sono state analizzate idrografia, popolamento (villaggi,
necropoli e tipologie tombali) e i contatti con Bologna e le altre valli.
La Valle del Samoggia, sostanzialmente “chiusa” in direzione dell’Appennino all’altezza di Savigno,
è tuttavia risultata collegata con itinerari transvallivi (oltre che con il
percorso pedemontano) con le due ben più importanti vallate/direttrici di
traffico del Reno (attraverso la valle della Venola) e del Panaro (attraverso il
rio Marzatore e il torrente Ghiaie), principali vie di contatto con l’Etruria
Settentrionale.
Sulla valle del Reno,
ad ovest di Felsina e posto su un’importante guado del fiume, l’insediamento di
Casalecchio (all’imbocco della strada verso la Toscana) ha restituito nella sua
interezza il ricco corredo della Tomba 2 –inizi del VII sec.a.C., con
stele protofelsinea- che verrà esposto contestualmente alla ricostruzione della
tomba e con una selezione di materiali dalla necropoli. Proseguendo verso sud è Pontecchio,
in località San Biagio, ad offrire le testimonianze della presenza di
gruppi che controllano la via del Reno, con la ricca Tomba 1, databile alla
prima metà del VII sec.a.C., ancora ben inserita nella temperie culturale
bolognese ma aperta probabilmente ad influssi dell’Etruria Settentrionale.
Dopo Marzabotto, che presenta tracce di frequentazione di fase villanoviana
nell’area della futura città etrusca, sul versante occidentale della vallata, si
apre la via della Venola (collegata al Samoggia), con importanti attestazioni
dalla piccola necropoli di cinque tombe, di cui una contraddistinta da una
stele con figura di defunta (esposta in mostra), della seconda metà dell’VIII –
inizi VII sec. a.C. L’analisi dei corredi ha consentito di precisare ulteriormente
l'eventuale presenza di influssi diversi da quello bolognese.
Oltre l’Appennino, il diretto referente della Valle del Reno è costituito dalle
comunità stanziate nella piana tra Firenze, Prato e Pistoia.
Qui, in fase villanoviana, si concentrano le testimonianze più significative, provenienti
principalmente da piccole necropoli che confermano, già a partire dalla metà
dell’VIII sec. a.C., la vivacità dei contatti con l’area padana, evidenti nella
composizione dei corredi funerari più che nel rituale o nell'architettura della
tomba.
Particolarmente interessante è il confronto tra le tombe del villanoviano
bolognese e quelle di Sesto Fiorentino, Val di Rose e Madonna del Piano, nonché
con
i corredi di Firenze e i materiali villanoviani di Fiesole.
Numerosi elementi di confronto con l’area bolognese offre infine la tomba a pozzo dal tumulo
B della necropoli di Prato Rosello di Artimino, che attesta la presenza di
individui eminenti alle soglie dell’Orientalizzante -in diretta continuità con
i loro discendenti che costruiranno i tumuli- nell’area alla confluenza tra
Arno e Ombrone, egualmente ben collegata con gli itinerari transappennici.
Il Panaro
costituisce un altro e non secondario collegamento per la valle del Samoggia, sia
attraverso gli itinerari transvallivi, sia soprattutto attraverso la via
pedemontana sulla quale si attesta l’importante nucleo di insediamenti facente
capo a Savignano sul Panaro. Se per l’alta valle del Panaro le tracce di insediamenti
nel Villanoviano sono particolarmente evanescenti, già all’altezza di Marano
alcuni materiali in bronzo, tra i quali una fibula con numerali incisi della
seconda metà del VII sec. a.C. attestano una notevole vitalità dell’area. Ma
sono soprattutto i sepolcreti savignanesi che, a partire dall’VIII e addirittura
dal IX sec.a.C (necropoli Cà Bianca e podere Fallona), testimoniano l’inserimento
del territorio nell’ambito dell’espansione bolognese, con modalità da precisare
ulteriormente alla luce delle testimonianze più antiche. Più a nord, in
corrispondenza del tracciato della futura via Emilia, Castelfranco ha restituito
un importante sepolcreto databile tra la metà dell’VIII e il VII sec. a.C.,
anch’esso ben riconducibile alla fase espansionistica di Felsina verso Ovest.
Morsi equini in bronzo con montanti “a pelta” (VIII sec. a.C.). Castelfranco
Emilia (MO), podere Pradella, scavi ottocenteschi
(Museo Civico Archeologico di Bologna)
La valle del Panaro a Nord, verso il Po è aperta invece ad influssi non solo
bolognesi, ma anche atestini, romagnoli e dell’Emilia occidentale, ben
evidenziati nei reperti dalla necropoli di Bondeno - Santa Maddalena dei Mosti,
databile al Villanoviano IV, nonché dai resti di abitato del Fondo Colletta, dal
Fondo Marchesa, Fondo Barchessa.
I contatti transappenninici tra la valle del Panaro e la Toscana nel
villanoviano appaiono, stando all’attuale documentazione archeologica, piuttosto
evanescenti. Probabilmente per l’epoca è possibile ipotizzare come già attivo il
percorso viario costituito dalla valle del Serchio che attraverso la valle del
Lima risulta collegata al Panaro.
Sul versante toscano l’attestazione più
settentrionale è costituita dalla fase di VIII sec. a.C. dell’abitato del
Chiarone di Capannori nella piana di Lucca, i cui materiali presentano contatti
con quelli bolognesi, ma anche volterrani, alla quale segue una fase di
ripiegamento e “chiusura” delle comunità locali nella fase orientalizzante. Un
altro importante referente per la valle del Panaro era probabilmente anche
l’insediamento di Pisa, attivo –secondo gli ultimi importanti rinvenimenti–
già a partire dalla fase villanoviana.
Spada ad antenne, in bronzo, tipo Weltenburg (770-720 a.C.) Rinvenuta in via di
Gaibola a Ronzano (BO), scavi 1848
(Museo Civico Archeologico di Bologna)
Cavallo e cavaliere: una storia millenaria
Difficilmente l'uomo contemporaneo percepisce l'importanza che gli animali
domestici rivestivano per le condizioni di vita dell'umanità, non solo dal punto
di vista alimentare ma per molte altre funzioni oggi risolte con l'uso di
“macchine”, dai movimenti ai trasporti, dalla
forza lavoro alla caccia, alla guerra.
Fino all'introduzione della macchina a vapore, il cavallo in particolare ha
rappresentato un compagno indispensabile dell'uomo in tutta una serie di
attività fondamentali, dalla circolazione veloce di persone montate, al traino
di vetture per viaggi più lunghi, al trasporto delle merci, agli usi secondari
in agricoltura (dove venivano preferiti buoi ed asini), all'utilizzazione in
battaglia e per gli inseguimenti della selvaggina. Per questo abbiamo tutta una
serie di autori antichi sia greci che latini che hanno dedicato trattati
specifici al cavallo, al suo allevamento e addestramento.
Tuttavia il possesso del cavallo, o di più cavalli, era considerato nel mondo
antico anche un segno di distinzione sociale, specie nel momento in cui agli
inizi dell'età del ferro si andavano differenziando all'interno delle prime
comunità protourbane gruppi emergenti dal punto di vista del rango, della
ricchezza e del prestigio. Le attenzioni e le cure da destinare all'allevamento
e all'addestramento dei cavalli, specie di quelli destinati a compiti
specialistici, come la guerra o la caccia, richiedevano possibilità economiche e
probabilmente la disponibilità di personale addetto a questi compiti.
Con l'età del Bronzo Finale (quando oltre al combattimento su carro comincia a
diffondersi quello da sella) e poi con la prima età del Ferro, l'ideologia di
un'aristocrazia che potremmo definire “equestre” si afferma pienamente e in modo
consapevole anche a livello iconografico, a partire proprio dal mondo greco.
Basterà ricordare il frequente comparire di immagini di cavalli, plastiche e
dipinte, sulla ceramica geometrica delle varie produzioni greche, o i bronzetti
votivi che li rappresentano. ma anche la definizione che veniva data delle
classi dominanti ad Atene (ippeis, tetrippotrophoi) come in Eubea (ippobotai) e
il rilievo sociale che in diverse città aveva la condizione di cavaliere o di
allevatore, anche in ragione dell'impiego militare del cavallo.
La documentazione archeologica del mondo greco conferma già da un' età molto
antica il ruolo eminente dei possessori di carri e di cavalli, che si estrinseca
anche a livello funerario.
Anche a Roma la più antica tradizione istituzionale prevedeva che tre centurie
di cavalieri (300 uomini) fossero fornite all'esercito dai ranghi delle tre
tribù (Ramnes, Titienses e Luceres); il legame del cavallo alla simbologia regia
è inoltre ben testimoniato da una serie di cerimonie religiose di origine
antichissima.
In ambito etrusco il quadro è più complesso, anche se l'impiego della cavalleria
a livello militare, come forza decisiva, è attestato in età arcaica almeno per
la battaglia di Cuma del 524 a.C.
Più significativi sembrano i riferimenti che collegano l'ordine equestre alla
monarchia etrusca a Roma. Le fonti sembrano indicare che almeno nella dinastia
etrusca di Roma, tra VII e VI secolo a.C., l'erede designato al trono, che sia o
meno figlio del sovrano in carica, comandi la cavalleria o, almeno, si legittimi
attraverso questo ruolo. Il carro parrebbe invece riservato al sovrano, almeno
nelle manifestazioni pubbliche (dagli Etruschi verrebbe a Roma l'uso del
Trionfo, in cui il condottiero vincitore sfila sulla quadriga insignito dei
simboli ereditati dai re etruschi e da Vetulonia).
Ricostruzione grafica di una bardatura equina di età villanoviana (disegno
Maria Agnese Mignani,
SBAER). In alto a sinistra, morsi di cavallo in bronzo dal Museo Archeologico Ambientale di San Giovanni in Persiceto (BO)
Il Museo Civico Archeologico “Arsenio Crespellani”
nella Rocca dei Bentivoglio di Bazzano
La nascita nel 1873 del Museo Civico di Bazzano rappresentò l’esito felice di
una stagione di scavi e scoperte nel territorio della Valle del Samoggia, ad
opera di illustri cittadini bazzanesi, ma anche di studiosi del calibro di
Arsenio Crespellani che per primi diedero un importante contributo alle ricerche
archeologiche di questo territorio.
Il nucleo principale dell’esposizione museale è costituito proprio dai reperti
provenienti dagli scavi dell’immediato periodo postunitario. Si tratta dei
materiali preistorici in selce e ftanite dai poderi Bellaria e Livello, i
reperti dell’età del Bronzo dagli scavi sull’altura della Rocca, parte dei
materiali della necropoli etrusca “Fornace Minelli”e i reperti provenienti dai
pozzi-deposito Casini e Sgolfo. Nel secolo scorso le acquisizioni principali del
Museo hanno riguardato l’età del bronzo, con i materiali dagli scavi di Ercole
Contu nell’area già interessata dalle ricerche ottocentesche, l’epoca romana,
con la raccolta di reperti sporadici sia dal territorio bazzanese, sia dalla
Valle del Samoggia e le epoche medievale e moderna, con i materiali rinvenuti
nell’area della Rocca.
I materiali del Museo sono stati oggetto di
pubblicazione ad opera di autorevoli studiosi, prima con un
catalogo (1986) curato dalla prof. Sara Santoro Bianchi, poi in altri studi, tra
i quali il catalogo della mostra Il tesoro nel pozzo del 1994 e i recenti
atti del convegno Archeologia nella Valle del Samoggia svoltosi a Bazzano
nel 2001. L'opera più recente è il catalogo "Il Museo Civico Archeologico
“Arsenio Crespellani” nella Rocca dei Bentivoglio di Bazzano", curato da Rita
Burgio e Sara Campagnari, realizzato in collaborazione con la Soprintendenza per
i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e presentato al pubblico il 31 maggio
2008.
Promosso da: |
Comune di Bazzano, Fondazione Rocca dei Bentivoglio e Museo Civico “Arsenio Crespellani”
in collaborazione con Soprintendenza per i Beni Archeologici
dell’Emilia-Romagna. |
Quando: |
da sabato 12 dicembre 2009 a lunedì 5 aprile 2010 |
Orari: |
martedì-venerdì 15-19 - sabato 9-12 e 15-19
- domenica 15-19 |
Ingresso: | € 5,00 comprensivo di guida cartacea o audioguida |
Città: | Bazzano |
Luogo: | Rocca dei Bentivoglio |
Indirizzo: | Via Contessa Matilde n. 10 |
Provincia: | Bologna |
Regione: | Emilia-Romagna |
Telefono: | 051.836442 - 051.836405 |
E-mail: | Museo Archeologico "A. Crespellani" |
Info utili: |
Possibilità di visite guidate per scolaresche e gruppi max 30 persone Prenotazioni e visite guidate 339.7612628 www.roccadeibentivoglio.it |
Catalogo della mostra (Edizioni Aspasia, Bologna) in vendita
dal 7 febbraio presso il bookshop
della Rocca dei
Bentivoglio (€ 25,00) |
Pagina a cura di
Carla Conti
informazioni scientifiche di Luigi
Malnati, Sara Campagnari e
Rita Burgio
analisi archeobotaniche di
Marco Marchesini