Anzola al tempo delle Terramare
dal 17 dicembre 2011 (esposizione permanente)
orari: sabato 10-12 e domenica 16-18
ingresso gratuito – info 051.6871757
Museo Archeologico Ambientale
nuova sede di Anzola dell’Emilia
Via Emilia 87
info 051.6871757
Realizzare una Rete Museale per valorizzare e rendere fruibile al pubblico le
diverse strutture culturali esistenti nei propri territori. E' questo uno degli
obiettivi dell’Associazione Intercomunale di Terred’acqua costituita dai Comuni
di Anzola dell’Emilia, Calderara di Reno, Crevalcore, San Giovanni in Persiceto,
Sant’Agata Bolognese e Sala Bolognese, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna e l'IBC Regione Emilia-Romagna .
Dopo il Museo Archeologico Ambientale di San Giovanni in Persiceto, nato nel
2004 per raccogliere ed esporre materiali dall’età romana al periodo
rinascimentale, e l'inaugurazione nel 2010 di quello di Sant’Agata Bolognese,
che espone i materiali dell’età del Bronzo e illustra le più recenti ricerche su
alcuni aspetti dei principali siti archeologici dell’area
persicetana, ecco la nuova sede di Anzola dell’Emilia, dedicata ai materiali
della locale terramara, un insediamento dell’età del Bronzo Recente databile
nella prima metà del XIII secolo a.C. indagato a più riprese a partire dagli anni
Ottanta del
secolo scorso.
Il nuovo polo espositivo di Anzola dell'Emilia del Museo Archeologico Ambientale è anche
un
tributo alla storia del territorio. Anzola dell’Emilia non possiede siti
archeologici esposti, le scoperte effettuate dal XVI secolo ai giorni nostri
sono state occasionali, dovute a lavori agricoli o interventi di urbanizzazione,
e il materiale archeologico rinvenuto in antichità è andato in gran parte
perduto o forse finito in mano a privati, fatto salvo quel poco conservato al
Museo Civico Archeologico di Bologna.
L’unico scavo sistematico effettuato a tutt’oggi nella zona è quello della
Terramara. Uno scavo complesso, una serie di indagini e sondaggi realizzati
dribblando edifici e infrastrutture, una mappatura a pelle di leopardo durata
oltre 18 anni. Oggi sappiamo che il puzzle non sarà mai completato: tante parti
dell’abitato sono sigillate sotto piani di cemento, difficile intercettare la
necropoli (finora mai trovata) o disegnare l'esatto aspetto dell'antico
villaggio dell'età del Bronzo Recente.
Ma i numerosi e interessanti dati emersi dalle indagini archeologiche e
ambientali ci consentono non solo di avanzare ipotesi ma di ricostruire vicende
e caratteristiche di un territorio occupato da un nucleo insediativo che 3300
anni fa aveva raggiunto una certa prosperità, grazie alla fertilità del suolo e
a una nuova forma di organizzazione sociale ed economica che rappresenta una
peculiarità di queste popolazioni.
Le Soprintendenze Archeologiche sono spesso accusate di ingessare il territorio
e restare sorde alle sue esigenze. Ad Anzola dell'Emilia i nostri archeologi
hanno optato per un atteggiamento non
vincolistico, documentando ogni singolo scavo ma lasciando che le esigenze della
comunità e del "mercato" avessero una risposta. Oggi sappiamo molto di questo
abitato terramaricolo e gli abitanti di Anzola possono andar fieri del
patrimonio sepolto nel proprio sottosuolo, senza pagarne un prezzo troppo alto.
L'aver mediato tra opposte esigenze ci ha consentito di esercitare il
nostro ruolo di tutori del bene culturale, sfruttando al tempo stesso le risorse
messe in campo da enti e privati per aumentare le nostre conoscenze e farne
partecipe la popolazione locale. In fondo, abbiamo solo lasciato che le nostre
tracce si sovrapponessero a quelle di chi ci ha preceduto, il che è legittimo a
patto che le più antiche siano preservate per chi verrà dopo di noi.
La nuova
sede museale di Anzola dell’Emilia e l'esposizione “Anzola al tempo delle
Terramare” servono anche a questo.
La Terramara di Anzola dell'Emilia: storia di una scoperta
Nella primavera del 1992, l’avvio di importanti lavori edilizi al margine
Ovest del moderno abitato di Anzola (BO) portò al rinvenimento di un sito
archeologico dell’età del Bronzo fino ad allora sconosciuto: le condizioni del
terreno e lo spessore della copertura sedimentaria non lo avevano infatti reso
percepibile né all’osservazione diretta (ricognizione superficiale) né
all’analisi aerofotogrammetrica.
In realtà, le verifiche d’archivio rivelarono che un precedente esisteva. Dieci
anni prima, a poca distanza, gli scavi per le fondazioni di un edificio a nord
di via XXV Aprile avevano incontrato prima un livello di età romana (a 1, 60 m
di profondità) e sotto a questo (1, 80 e 2, 40 m di profondità) uno strato più
antico, con reperti databili a un momento avanzato dell’età del Bronzo.
Successivi interventi edilizi, forse perché effettuati a minore profondità, non
avevano segnalato nulla che potesse allertare amministratori e progettisti.
Il termine Terramara deriva dal Terra marna, ovvero terra grassa, che indicava
nell'800 terreni particolarmente organici che i contadini del Modenese-Reggiano
utilizzavano per concimare i campi. Il ritrovamento di manufatti in questi
terreni fece supporre che fossero aree di origine antropica, ipotesi che motivò
le prime ricerche e la scoperta dei "Villaggi Terramaricoli"
La situazione andava a questo punto affrontata su di un duplice piano: quello
della raccolta di elementi di conoscenza, per poter valutare la natura e le
dimensioni del rinvenimento e quindi la compatibilità dei lavori programmati con
le esigenze della tutela archeologica, e quello istituzionale, attivando i
necessari contatti con gli enti e le società coinvolte nel progetto edilizio.
Nel corso dei mesi di giugno e luglio 1992 fu condotta in tutta l’estensione del
comparto edificatorio una prima fase conoscitiva per verificare, mediante
sondaggi e carotaggi, la presenza della stratificazione archeologica, valutarne
la profondità e lo spessore e predisporre, sulla base di dati statisticamente
attendibili, carte dei profili del “tetto” e del “letto” dello strato antropico.
Venne così a delinearsi la morfologia sepolta di un insediamento dell’età del
Bronzo particolarmente esteso, con uno spessore conservato dell’antropico tra i
35 e i 150 cm ca. e una profondità dal piano di campagna attuale compresa tra un
minimo di 80 e un massimo di 230 cm circa. Come già emerso nel primo
rinvenimento del 1982, era ben visibile l’incidenza, sulla parte superiore degli
strati preistorici, della frequentazione di età romana, con interventi di natura
per lo più agricola.
Nell’autunno 1992 fu emesso il Decreto Ministeriale di importante interesse ai
sensi della legge 1089/1939 e la tutela del sito fu definitivamente sancita.
I lavori edilizi poterono tuttavia riprendere nella primavera 1993, grazie a una
soluzione condivisa tra le varie parti interessate, che tenne conto delle
caratteristiche morfologiche del sito sepolto e le incrociò con le verifiche
tecnico-progettuali su possibili diverse modalità di fondazione degli edifici (a
platea invece che a plinti): si definirono così gradi di tutela differenziati in
base alla maggiore o minore consistenza archeologica. Soltanto per quattro dei
lotti di prevista edificazione, che insistevano su di una stratificazione
particolarmente ricca e complessa posta a una minore profondità di affioramento,
la Soprintendenza prescrisse l’obbligo di eseguire lo scavo archeologico
preventivo. Per gli altri l’edificazione fu consentita purché le escavazioni
avvenissero sotto controllo archeologico e si accertasse, a mezzo di una serie
di carotaggi, che la distanza della platea di fondazione dal tetto della
stratificazione antropica, fosse sempre superiore ai 25 cm; a protezione del
terreno dalle percolazioni del cemento si sarebbero dovuti posare uno strato di
tessuto non tessuto e uno di telo nylon. Identiche precauzioni avrebbero dovuto
essere prese nei percorsi delle reti tecnologiche di servizio agli edifici e le
aree a verde sarebbero state soggette a prescrizioni rapportate alle diverse
esigenze di tutela, graduando tra aree a vegetazione completamente erbacea e
quelle con vegetazione arborea con apparato radicale superficiale ed escludendo
le essenze a radice profonda.
Dal 1993 in poi i lavori edilizi e di urbanizzazione sono proseguiti, sempre
sotto il controllo degli archeologi e via via raccogliendo una messe di
informazioni, che hanno contribuito alla migliore definizione della
paleomorfologia e stratigrafia del sito (struttura dell’abitato, presenza di
eventuali elementi di perimetrazione o di partizione interna, grado di
conservazione, ecc.). In alcuni casi gli stessi proprietari hanno deciso di dare
corso a regolari campagne di scavo, che si sono rivelate indispensabili per
tarare il significato dei dati puntuali offerti dai sondaggi e per integrare le
conoscenze anche sul piano crono-culturale, paleoambientale, e paleoeconomico.
Va dato atto e merito all’Amministrazione Comunale di Anzola dell’Emilia, sin
dall’inizio di questa vicenda e già dai primi convulsi momenti del confronto
sviluppatosi sul destino del Comparto residenziale, di avere dimostrato una
grande sensibilità e consapevolezza dei termini culturali della questione.
Impulso importante è venuto anche dal felice incontro con il volontariato locale
e con gli istituti scolastici.
L’avere accettato e, anzi, perseguito una mediazione tra le esigenze della
tutela e quelle della comunità e del “mercato” ha consentito alla Soprintendenza
per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna di non abdicare al ruolo di tutela
del bene culturale e contemporaneamente di potersi avvalere delle risorse messe
in campo da enti e da privati per ampliare le conoscenze e farne attivamente
partecipe la popolazione locale.
Il villaggio terramaricolo
Una serie di trincee, carotaggi meccanici e scavi archeologici condotti
negli ultimi 18 anni ha consentito di ricostruire le dimensioni e la forma
dell’antico abitato di Anzola dell’Emilia, sepolto sotto una coltre di spessore
compreso fra 1,5 ed 2 m circa.
Le indagini hanno individuato e circoscritto un’area insediativa di forma
quadrangolare di circa 13,5 ettari di estensione (450 m in senso
NordOvest-SudEst e 300 m NordEst-SudOvest), posta su un alto morfologico e
circondata da un fossato profondo fino a 2,5 m e largo mediamente da 4 a 6 m.
Per struttura, dimensioni e caratteristiche, gli archeologi ipotizzano che
questo fossato non sia stato realizzato a scopo difensivo bensì di collettore
perimetrale per il drenaggio delle acque superficiali. L’area circoscritta dal
fossato era attraversata trasversalmente in senso Nord/Sud da un corso
torrentizio, probabilmente l’antico torrente Martignone, che alimentava sia il
fossato perimetrale sia un altro fossato interno al villaggio.
Tale fossato interno circoscriveva un’area di circa 2,5 ettari (180 m Nord Ovest
-Sud Est e 130 m Sud Ovest-Nord Est), il cui margine orientale era costituito
dal corso d’acqua naturale ed il margine meridionale coincideva con il perimetro
esterno dell’abitato. Lungo la sponda interna di questo fossato si sono trovate
tracce di una palizzata, interpretata come struttura difensiva. All’interno
dell’area circoscritta dal fossato sono state rinvenute tracce di strutture di
diversa natura e tipologia come buche di palo (circa 500), pozzi per
l’emungimento idrico canalette per il drenaggio e la distribuzione dell’acqua,
buche di discarica. Le aree indagate sono caratterizzate da numerose
concentrazioni di manufatti, prevalentemente ceramici ma anche bronzei, nonché
da resti tipici della frequentazione ed attività antropica, come carboni,
concotto, frammenti ossei e ciottoli utilizzati come inzeppatura per pali o come
strumenti (ad esempio macine e macinelli).
Il suolo che anticamente costituiva il “piano di calpestio” della Terramara,
prima di essere coperto dai terreni alluvionali, venne profondamente alterato
sia dai processi naturali che dalle attività umane, in particolar modo dalle
arature, che interessarono l’area fino a tutta l’epoca romana.
Nonostante le alterazioni, è stato possibile riconoscere alcuni resti
interpretabili come strutture abitative a terra. Nella parte nord-occidentale
del villaggio queste abitazioni risultano in linea con l’orientamento del
villaggio, mentre nell’area compresa fra il fossato interno e il torrente Martignone
non hanno un orientamento concorde né fra loro né rispetto agli assi di
simmetria generali del villaggio.
Come in molti altri siti terramaricoli, anche ad Anzola dell’Emilia la presenza
di alzati di strutture murarie è attestata dal rinvenimento di numerosi
frammenti di graticcio (argilla con incannucciato interno), mentre consistenti
resti di piani in argilla cotta documentano la presenza di focolari
Non si ha invece alcun dato sulla sua necropoli, che doveva consistere in tombe
a cremazione in vasi biconici o olle, i cui resti andranno comunque cercati al
di fuori del perimetro del suo abitato, in un raggio anche di qualche centinaio
di metri.
Le indagini archeologiche hanno recuperato materiali riferibili a diverse
attività artigianali, quali produzioni ceramiche e metallurgiche (bronzi),
lavorazioni di pasta vitrea, osso, corno e conchiglie, nonché ad attività di
filatura e tessitura. Gli scambi commerciali sono testimoniati dal rinvenimento
di ceramica realizzata su modelli mutuati da quelli che caratterizzano la
confinante cultura appenninica, diffusa dalla Romagna all’Italia peninsulare, vaghi d’ambra
di provenienza baltica e reperti lapidei provenienti
dall’Appennino
L’attività artigianale più diffusa all’interno del sito risulta essere
quella della produzione ceramica. Oltre alla straordinaria presenza di
vasi pressoché integri sono stati rinvenuti numerosi frammenti ceramici di medie
e grandi dimensioni che si caratterizzano per una buona conservazione.
Contenitori di grande dimensione solitamente utilizzati per la conservazione
delle derrate alimentari, e contenitori di dimensioni più piccole, come gli
orcioli, destinati alla cottura dei cibi o alla lavorazione dei derivati
dell’agricoltura e dell’allevamento.
Sono stati rinvenuti diversi oggetti in bronzo della stessa tipologia dei
contesti dell’età del Bronzo in area padana. Alcuni strumenti, tra cui un
falcetto che presenta ancora tracce delle fibre residue del fodero in cui era
conservato (il che sottolinea la notevole importanza che l’attività agricola
aveva all’interno dell’economia del sito), punte di lesina e punteruoli
utilizzati per lavori di precisione come l’intarsio del legno. Tra gli oggetti
si segnalano quattro pugnali, mentre tra gli oggetti ornamentali ci sono quattro
spilloni di diversa tipologia.
Se non è raro il ritrovamento di perle di pasta vitrea (e due vaghi sono
stati recuperati anche nella Terramara di Anzola dell’Emilia), appare invece
eccezionale quello di un manufatto legato alla lavorazione del vetro che
rappresenta la prima documentazione della lavorazione della pasta vitrea in
ambito terramaricolo.
La lavorazione del corno, insieme a quella dell’osso, è una delle
industrie maggiormente caratterizzanti della cultura terramaricola, che trovava
nei palchi di cervo il materiale ideale per realizzare sia strumenti che oggetti
di ornamento. Se pochi sono i manufatti in corno di cervo rinvenuti nello scavo
della Terramara di Anzola dell’Emilia, l’analisi dei resti faunistici ha
appurato l’assenza delle stesse ossa di cervo, un dato che conferma come questa
specie animale non caratterizzasse il sito, in coerenza con il quadro di
un’economia incentrata in massima parte sull’allevamento di ovicaprini e suini,
piuttosto che su agricoltura e caccia. Possiamo pertanto ipotizzare che i palchi
di cervo costituissero merce di importazione, in seguito lavorata sul posto. Fra
questi oggetti spicca in particolare il manico di lesina del tipo a testa
circolare e corpo a losanga solo sommariamente rifinito, evidentemente
spezzatosi nella parte distale mentre era in corso di realizzazione.
Sono stati trovati molluschi fossili con superfici abrase allo scopo di
ottenere fori passanti per poterli utilizzare come vaghi per collane.
Si hanno solo testimonianze indirette dell’artigianato tessile, cui sono
riconducibili con evidenza alcune fusaiole e pesi realizzati in argilla. C'è da
dire che colpisce lo scarso numero di fusaiole e pesi da telaio rinvenuti, a
fronte della gran quantità di ceramica vascolare restituita dagli scavi
nell’insediamento.
Questo dato (pur considerando la parzialità dell’area scavata) induce ad
ipotizzare che filatura e tessitura fossero attività artigianali scarsamente
praticate in loco, a differenza di quanto riscontrato nella generalità dei siti
dell’età del Bronzo. Questa ipotesi appare peraltro in contraddizione anche con
i risultati delle analisi paleofaunistiche, che hanno accertato una massiccia
presenza nella Terramara di ovicaprini, naturalmente collegati alle attività di
lavorazione della lana. Sebbene dunque la parzialità dei dati non possa
escludere che altri settori della Terramara non ancora indagati conservino
maggiori attestazioni di artigianato tessile, si può verosimilmente ipotizzare
che la lana fosse anche (e forse soprattutto) preziosa merce di scambio.
Le campagne di scavo hanno restituito a tutt’oggi cinque vaghi in ambra.
Marcatore per eccellenza di commerci ad ampio raggio, l’ambra sembra
caratterizzare i luoghi di scambio particolarmente recettivi e vivaci
soprattutto per quanto riguarda il Bronzo Medio e Recente. Se infatti sul
volgere del Bronzo Recente i ritrovamenti di ambra nelle terramare si
infittiscono sia in senso distributivo che quantitativo, nella fase
immediatamente precedente sono ancora piuttosto rari. La presenza di ambra in
contesti insediativi di fine Bronzo Medio ma anche delle fasi iniziali di Bronzo
Recente sembra denunciare l’esistenza, all’interno di tali insediamenti, di
individui di alto rango, socialmente dominanti, ai quali il bagliore dorato
dell’esotica ambra doveva conferire particolare prestigio. Specifiche analisi
hanno accertato che l’ambra di Anzola dell’Emilia è di provenienza baltica: la
presenza nella Terramara anzolese di questo fossile guida dei commerci con il
Nord, consente di inserire a pieno titolo il sito nel novero dei centri
terramaricoli ad alto tenore di scambi
Il paesaggio vegetale e l’agricoltura
Gli studi archeobotanici condotti negli scavi archeologici di Anzola
dell’Emilia costituiscono un importante tassello nell’evoluzione del paesaggio
vegetale e dell’ambiente nell’area compresa fra Reno e Samoggia nell’età del
Bronzo. Le analisi hanno fornito importanti dati sull’economia dell’area, sulle
attività di trasformazione dei prodotti agricoli e sulla dieta alimentare.
Nel complesso, il paesaggio vegetale nell’età del Bronzo risulta mediamente
aperto, gli alberi rimangono infatti sempre sullo sfondo e abbastanza distanti
dall’area indagata, anche se è probabile la presenza di alberi singoli o in
gruppo nella prima fase dell’insediamento nella zona del torrente Ghironda.
Il quadro vegetazionale sembra confermare l’ipotesi che gli insediamenti
terramaricoli fossero circondati da un’ampia area deforestata destinata a
pascoli e coltivazioni; considerato il rilevante numero di abitati ipotizzati
con studi recenti è perciò pensabile che buona parte della Pianura Padana
risultasse fortemente segnata da tutte le modifiche poste in essere dall’uomo
per rendere l’ambiente naturale più consono ai propri fini
La componente arborea è costituita prevalentemente da Querce caducifoglie
accompagnate da Carpini (fra cui Carpino comune e Carpino nero-Carpino
orientale), Frassini con Frassino comune e Orniello, Olmo, Nocciolo, ecc. Scarsa
la presenza di Conifere e Pini mentre è discretamente attestata la presenza di
piante tipiche delle aree umide, un dato che conferma la presenza nel sito di un
canale e di un corso d’acqua, come risulta anche dalle rilevanze archeologiche.
L’attività antropica è già documentata nei livelli precedenti l’insediamento:
con la costruzione dell’abitato si verifica un forte aumento delle attività
connesse alla presenza dell’uomo e, in particolare, si ha un incremento delle
aree coltivate a cereali (grano, spelta, orzo e panico)
Questo dato suggerisce che oltre alla coltivazione in loco avvenivano anche
processi di accumulo inerenti operazioni di lavorazione/immagazzinamento delle
cariossidi o dei sottoprodotti dei cereali.
Fra le leguminose è stata rinvenuta la fava, certamente coltivata nell’abitato
nel Bronzo Recente, mentre tra le specie tessili sono documentate la canapa e il
lino. La canapa è segnalata in numerosi siti del Bronzo, come Montale, Noceto,
Poviglio, Crocetta e Canàr, mentre il lino è stato rinvenuto solo a Noceto.
Fra le specie da frutto sono presenti Noce, Gelso e Vite. Il rinvenimento della
Vite è molto importante perché si fa risalire a questo periodo la sua
domesticazione. Straordinario invece il ritrovamento di polline di Gelso, mai
testimoniato in precedenza in Emilia-Romagna nell’Età del Bronzo.
La presenza di numerose piante che producono frutti spontanei ci permette di
dire che nell’economia dell’abitato la raccolta di questo tipo di frutti
(nocciole, ghiande, frutti del Sambuco, ecc.) aveva una certa rilevanza. Il
rinvenimento di alcuni granuli pollinici di bietola, cicoria, lattuga, angelica
e pastinaca potrebbe indicare la presenza nell’area dell’abitato di piccoli orti
in cui venivano coltivati ortaggi, che andavano ad integrare la dieta alimentare
degli abitanti della Terramara.
Possiamo quindi affermare che in questo periodo la dieta alimentare era
abbondante e diversificata. Diversi tipi di cereali, abbinati a legumi, venivano
probabilmente impiegati per produrre sfarinati per focacce o nutrienti zuppe
alle quali si aggiungevano verdure o frutti spontanei. Sono inoltre documentate
varie piante che accompagnano da sempre le attività dell’uomo, fra cui alcune
specie spontanee come ortiche, cicorie e graminacee spontanee che abbinate a
Leguminose e altre piante testimoniano l’esistenza nelle vicinanze dell’abitato
di vaste aree estese lasciate a prato e destinate probabilmente al
pascolo/allevamento del bestiame. Un dato in accordo con l’abbondante presenza
di animali da pascolo testimoniato dalle analisi archeozoologiche che suggerisce
un probabile sfruttamento non intensivo dei coltivi che venivano periodicamente
abbandonati e lasciati incolti
La fauna
Lo studio delle ossa animali è stato eseguito su circa 5.000 frammenti,
provenienti sia da scavi che da saggi.
La composizione generale della fauna è del tutto simile a quella degli altri
siti del Bronzo Recente della Pianura Padana, in cui sono presenti in grande
maggioranza animali domestici e pochi animali selvatici. Anche le razze sono le
stesse che si ritrovano negli altri insediamenti.
I bovini sono bassi e con corna abbastanza corte (come nel Bronzo Medio), le
pecore sono prive di corna mentre le capre hanno corna dritte falcate
I suini non sono particolarmente robusti e si distinguono bene dai cinghiali.
Venivano macellati di solito attorno al secondo anno di vita, quando avevano
superato i 130 kg, ma anche in età ben più giovane allo scopo di portare sulla
mensa carne tenera e succulenta.
La maggior parte dei cani presenta un raccorciamento del muso, dovuta forse a reincroci locali fra consanguinei.
I cavalli, che incominciano a comparire proprio in questo periodo, sono alti in
media cm 133 al garrese; le analisi sui denti li ricollegano al gruppo dei
cavalli tedeschi occidentali, ponendoli sulla stessa linea di sangue di quelli
che saranno allevati poi dai Veneti.
Seguendo l'evoluzione della composizione della fauna attraverso l’arco di vita
del sito si possono ricostruire sia l'utilizzo delle risorse che l'ambiente
immediatamente circostante. Subito dopo l'occupazione del territorio la grande
quantità di ovini, con le pecore presenti in numero triplo rispetto alle
capre,
segnala come attività principale la pastorizia volta ad ottenere in particolare
la lana.
Il ritrovamento di un oggetto votivo identificabile come una pecora per il
musetto allungato ben caratterizzato, appare a tutt’oggi un unicum e sottolinea
certamente in modo emblematico l’importanza attribuita agli ovini
nell’insediamento.
La presenza di castrati tra i bovini è da collegarsi al loro utilizzo
per l'agricoltura ma anche a un loro allevamento a scopo alimentare visto che
il 50% veniva ucciso prima dei tre anni.
Lo studio della resa in carne degli animali consumati nella struttura abitativa
vede i bovini al primo posto (con più del 60%), seguiti dai suini (circa il 25%)
e dagli ovini (poco più del 10%). Solo in questa fase sono presenti grossi
mammiferi selvatici come il cinghiale, il cervo e il capriolo a dimostrazione
che l'ambiente circostante è ancora, almeno in parte, forestato.
Sono presenti anche zone acquitrinose ove è possibile catturare le anatre. Si
riscontra successivamente un cambiamento sia nella quantità che nella
composizione delle greggi con le pecore in numero pari alle capre, indice del
peggioramento della qualità dei pascoli. Scompaiono i grandi mammiferi selvatici
sostituiti dalla lepre e dalla tartaruga. Questo fatto, unito alla presenza
della faina, che abita luoghi aperti, è legato ad una estesa deforestazione.
Il momento dell’abbandono del sito appare caratterizzato dalla presenza della
sola capra, probabile conseguenza di un ulteriore peggioramento della qualità
dei pascoli, mentre cessa qualsiasi attività di caccia tranne che per la faina,
forse perché la sua pelliccia può rappresentare una merce di scambio.
Un'ulteriore conferma della drastica riduzione delle risorse viene data dall'età
di morte dei cavalli. Infatti, mentre in precedenza venivano abbattuti circa
attorno l'età di otto anni, nel periodo in questione gli esemplari rinvenuti
presentano i denti consunti fino alla radice a riprova della mancanza di
disponibilità economica ad acquistarne dei nuovi. Questi dati possono
contribuire a comprendere meglio l’ultima fase di vita della Terramara specie se
associati, al periodo di siccità, attestato anche dai dati archeobotanici.
A scuola di terramare
Il Comune di Anzola dell’Emilia opera dal 2004, in convenzione con la
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, l’Istituto
Comprensivo «E. De Amicis» e il Centro Culturale Anzolese, per introdurre la
didattica dell’archeologia nei programmi della scuola primaria. L’obiettivo è
guidare i bambini alla conoscenza dei meccanismi con cui si ottengono dati
storicamente significativi tramite la ricerca archeologica. Questo li aiuta a
comprendere, anzitutto, il più lontano passato, anche in relazione ai
rinvenimenti locali, e scoprire così le proprie radici rinsaldando il legame con
il territorio.
Questo percorso li esorta anche a ragionare sui meccanismi con cui il dato
storico viene definito e scritto sui loro libri di scuola, a partire dallo
studio delle fonti. I percorsi che svolgono le classi terze, quarte e quinte
della scuola primaria non sono lezioni di storia ma attività laboratoriali
incentrate sull’analisi delle fonti -archeologiche ma anche iconografiche e
scritte- e delle metodologie con cui queste discipline sono studiate. Questo
permette ai bambini di sviluppare capacità critica e di imparare a valutare la
storia dell’uomo come un processo sempre sottoposto a nuove e più approfondite
analisi capaci di mostrarne aspetti sconosciuti o poco evidenti o, addirittura,
di riscrivere gli accadimenti.
I percorsi sono impostati e organizzati dal Comune, condotti da specialisti del
settore, ognuno con specifiche competenze, e da volontari del Centro Culturale
Anzolese. Un ulteriore obiettivo che il progetto intende raggiungere è quello di
far crescere nei bambini, cittadini di domani, il rispetto e l’attenzione per il
proprio territorio. Un territorio fatto non solo di terra e strade su cui essi
camminano e giocano, ma anche di un passato, di una storia quotidiana e
nascosta, origine della sua forma attuale. Il territorio, in sintesi, come
prodotto dell’azione umana che l’archeologia testimonia. Gesti quotidiani
passati che parlano di vita vissuta - di strategie economiche, di tecniche di
sopravvivenza - e generano affetto per la terra su cui i bambini vivono, e che
l’archeologia svela ai loro occhi. Le strutture didattiche e le esperienze
maturate in questo lavoro saranno inserite, a partire dal 2012, nell’offerta
didattica del Museo Archeologico Ambientale disponibili così per tutte le scuole
della Regione.
Testi tratti dal volume "Anzola al tempo delle Terremare" a cura di Paola
Desantis, Marco Marchesini, Silvia Marvelli, Centro Stampa della Regione Emilia
Romagna, 2011 Bologna, in vendita presso le tre sedi del Museo Archeologico
Ambientale e presso la libreria Volumina, Via Arienti n. 2 a Bologna
I contributi sono di Giuliana
Steffè (scoperta), Fabrizio Finotelli (villaggio),
Paola Desantis e
Tiziana Caironi (materiali,
scambi e attività),
Marco Marchesini e Silvia Marvelli (paesaggio vegetale),
Patrizia Farello (fauna),
Lucia Urbinati (geografia storica) e Paolo Toccarelli (didattica)
Foto di Roberto Macrì (2004 © Archivio SBAER)
Sabato 17 dicembre 2011
ore 15, presentazione della nuova sede espositiva nella Sala del Consiglio Comunale in Via Grimandi 1 ad Anzola dell'Emilia (BO)
Loris Ropa, Sindaco del Comune di Anzola dell’Emilia
Giulio Santagada, Assessore alla Cultura, Comune di Anzola dell’Emilia
Filippo Maria Gambari, Soprintendente Archeologo, Soprintendenza per i
Beni Archeologici dell’Emilia Romagna
Paola Desantis, Funzionario responsabile di zona, Soprintendenza per i
Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
Alessandro Zucchini, Direttore IBC Regione Emilia-Romagna
Fiamma Lenzi, Servizio Musei, IBC Regione Emilia-Romagna
Giuliano Barigazzi, Assessore alla Cultura, Provincia di Bologna
Rita Guazzaloca, Dirigente Istituto Comprensivo De Amicis, Anzola Emilia
Silvia Marvelli, Direttore del Museo Archeologico Ambientale di San
Giovanni in Persiceto
Presentazione del viaggio virtuale nella Terramara
di Anzola dell’Emilia
a cura di Veronica Scandellari, Valerio Innocenti Sedili, Piero Calzolari
ore 16, inaugurazione della nuova sede espositiva e della mostra "Anzola al tempo delle Terramare" nel Museo Archeologico Ambientale in Via Emilia 87 ad Anzola dell'Emilia (BO)
Progetto scientifico di
Paola Desantis, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia
Romagna
Silvia Marvelli, Fabio Lambertini, Museo Archeologico Ambientale di San
Giovanni in Persiceto
Fabrizio Finotelli, Wunderkammer snc
Tiziana Caironi, Collaboratore della Soprintendenza per i Beni
Archeologici dell’Emilia Romagna
Nell’occasione sarà distribuita la guida all’esposizione - Segue aperitivo
Promosso da: |
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, Regione Emilia-Romagna, Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali, Comune di Anzola dell’Emilia, Museo Archeologico Ambientale di San Giovanni in Persiceto e Provincia di Bologna in collaborazione con Associazione Centro Agricoltura Ambiente. Si ringrazia G.D per il generoso contributo e Cogei Costruzioni s.p.a. |
Città: | Anzola dell'Emilia |
Quando: | da sabato 17 dicembre 2011 (esposizione permanente) |
Orari: | sabato 10-12 e domenica 16-18 |
Luogo: | Museo Archeologico Ambientale (nuova sede espositiva di Anzola dell’Emilia) |
Indirizzo: | Via Emilia 87 |
Provincia: | Bologna |
Regione: | Emilia-Romagna |
Telefono: | 051.6871757 |
Info: | Segreteria del Museo Archeologico Ambientale di San Giovanni in
Persiceto Tel. 051-6871757 - Fax 051-823305 e-mail: maa@caa.it www.museoarcheologicoambientale.it |
editing Carla Conti