ANZOLA AL TEMPO DELLE TERRAMARE
Testimonianze e storia di un villaggio di 3300 anni fa sulle sponde della Ghironda
nuova sede espositiva e mostra
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Comunicato stampa

Anzola al tempo delle Terramare

dal 17 dicembre 2011 (esposizione permanente)
orari: sabato 10-12 e domenica 16-18
ingresso gratuito – info 051.6871757

Museo Archeologico Ambientale
nuova sede di Anzola dell’Emilia
Via Emilia 87
info 051.6871757

Realizzare una Rete Museale per valorizzare e rendere fruibile al pubblico le diverse strutture culturali esistenti nei propri territori. E' questo uno degli obiettivi dell’Associazione Intercomunale di Terred’acqua costituita dai Comuni di Anzola dell’Emilia, Calderara di Reno, Crevalcore, San Giovanni in Persiceto, Sant’Agata Bolognese e Sala Bolognese, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna e l'IBC Regione Emilia-Romagna .
Dopo il Museo Archeologico Ambientale di San Giovanni in Persiceto, nato nel 2004 per raccogliere ed esporre materiali dall’età romana al periodo rinascimentale, e l'inaugurazione nel 2010 di quello di Sant’Agata Bolognese, che espone i materiali dell’età del Bronzo e illustra le più recenti ricerche su alcuni aspetti dei principali siti archeologici dell’area persicetana, ecco la nuova sede di Anzola dell’Emilia, dedicata ai materiali della locale terramara, un insediamento dell’età del Bronzo Recente databile nella prima metà del XIII secolo a.C. indagato a più riprese a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso.
Il nuovo polo espositivo di Anzola dell'Emilia del Museo Archeologico Ambientale è anche un tributo alla storia del territorio. Anzola dell’Emilia non possiede siti archeologici esposti, le scoperte effettuate dal XVI secolo ai giorni nostri sono state occasionali, dovute a lavori agricoli o interventi di urbanizzazione, e il materiale archeologico rinvenuto in antichità è andato in gran parte perduto o forse finito in mano a privati, fatto salvo quel poco conservato al Museo Civico Archeologico di Bologna.
L’unico scavo sistematico effettuato a tutt’oggi nella zona  è quello della Terramara. Uno scavo complesso, una serie di indagini e sondaggi realizzati dribblando edifici e infrastrutture, una mappatura a pelle di leopardo durata oltre 18 anni. Oggi sappiamo che il puzzle non sarà mai completato: tante parti dell’abitato sono sigillate sotto piani di cemento, difficile intercettare la necropoli (finora mai trovata) o disegnare l'esatto aspetto dell'antico villaggio dell'età del Bronzo Recente.
Ma i numerosi e interessanti dati emersi dalle indagini archeologiche e ambientali ci consentono non solo di avanzare ipotesi ma di ricostruire vicende e caratteristiche di un territorio occupato da un nucleo insediativo che 3300 anni fa aveva raggiunto una certa prosperità, grazie alla fertilità del suolo e a una nuova forma di organizzazione sociale ed economica che rappresenta una peculiarità di queste popolazioni.

Le Soprintendenze Archeologiche sono spesso accusate di ingessare il territorio e restare sorde alle sue esigenze. Ad Anzola dell'Emilia i nostri archeologi hanno optato per un atteggiamento non vincolistico, documentando ogni singolo scavo ma lasciando che le esigenze della comunità e del "mercato" avessero una risposta. Oggi sappiamo molto di questo abitato terramaricolo e gli abitanti di Anzola possono andar fieri del patrimonio sepolto nel proprio sottosuolo, senza pagarne un prezzo troppo alto. L'aver mediato tra opposte esigenze  ci ha consentito di esercitare il nostro ruolo di tutori del bene culturale, sfruttando al tempo stesso le risorse messe in campo da enti e privati per aumentare le nostre conoscenze e farne partecipe la popolazione locale. In fondo, abbiamo solo lasciato che le nostre tracce si sovrapponessero a quelle di chi ci ha preceduto, il che è legittimo a patto che le più antiche siano preservate per chi verrà dopo di noi.
La nuova sede museale di Anzola dell’Emilia e l'esposizione “Anzola al tempo delle Terramare” servono anche a questo.

La Terramara di Anzola dell'Emilia: storia di una scoperta
Nella primavera del 1992, l’avvio di importanti lavori edilizi al margine Ovest del moderno abitato di Anzola (BO) portò al rinvenimento di un sito archeologico dell’età del Bronzo fino ad allora sconosciuto: le condizioni del terreno e lo spessore della copertura sedimentaria non lo avevano infatti reso percepibile né all’osservazione diretta (ricognizione superficiale) né all’analisi aerofotogrammetrica.
In realtà, le verifiche d’archivio rivelarono che un precedente esisteva. Dieci anni prima, a poca distanza, gli scavi per le fondazioni di un edificio a nord di via XXV Aprile avevano incontrato prima un livello di età romana (a 1, 60 m di profondità) e sotto a questo (1, 80 e 2, 40 m di profondità) uno strato più antico, con reperti databili a un momento avanzato dell’età del Bronzo. Successivi interventi edilizi, forse perché effettuati a minore profondità, non avevano segnalato nulla che potesse allertare amministratori e progettisti.


Il termine Terramara deriva dal Terra marna, ovvero terra grassa, che indicava nell'800 terreni particolarmente organici che i contadini del Modenese-Reggiano utilizzavano per concimare i campi. Il ritrovamento di manufatti in questi terreni fece supporre che fossero aree di origine antropica, ipotesi che motivò le prime ricerche e la scoperta dei "Villaggi Terramaricoli"

La situazione andava a questo punto affrontata su di un duplice piano: quello della raccolta di elementi di conoscenza, per poter valutare la natura e le dimensioni del rinvenimento e quindi la compatibilità dei lavori programmati con le esigenze della tutela archeologica, e quello istituzionale, attivando i necessari contatti con gli enti e le società coinvolte nel progetto edilizio.
Nel corso dei mesi di giugno e luglio 1992 fu condotta in tutta l’estensione del comparto edificatorio una prima fase conoscitiva per verificare, mediante sondaggi e carotaggi, la presenza della stratificazione archeologica, valutarne la profondità e lo spessore e predisporre, sulla base di dati statisticamente attendibili, carte dei profili del “tetto” e del “letto” dello strato antropico. Venne così a delinearsi la morfologia sepolta di un insediamento dell’età del Bronzo particolarmente esteso, con uno spessore conservato dell’antropico tra i 35 e i 150 cm ca. e una profondità dal piano di campagna attuale compresa tra un minimo di 80 e un massimo di 230 cm circa. Come già emerso nel primo rinvenimento del 1982, era ben visibile l’incidenza, sulla parte superiore degli strati preistorici, della frequentazione di età romana, con interventi di natura per lo più agricola.
Nell’autunno 1992 fu emesso il Decreto Ministeriale di importante interesse ai sensi della legge 1089/1939 e la tutela del sito fu definitivamente sancita.
I lavori edilizi poterono tuttavia riprendere nella primavera 1993, grazie a una soluzione condivisa tra le varie parti interessate, che tenne conto delle caratteristiche morfologiche del sito sepolto e le incrociò con le verifiche tecnico-progettuali su possibili diverse modalità di fondazione degli edifici (a platea invece che a plinti): si definirono così gradi di tutela differenziati in base alla maggiore o minore consistenza archeologica. Soltanto per quattro dei lotti di prevista edificazione, che insistevano su di una stratificazione particolarmente ricca e complessa posta a una minore profondità di affioramento, la Soprintendenza prescrisse l’obbligo di eseguire lo scavo archeologico preventivo. Per gli altri l’edificazione fu consentita purché le escavazioni avvenissero sotto controllo archeologico e si accertasse, a mezzo di una serie di carotaggi, che la distanza della platea di fondazione dal tetto della stratificazione antropica, fosse sempre superiore ai 25 cm; a protezione del terreno dalle percolazioni del cemento si sarebbero dovuti posare uno strato di tessuto non tessuto e uno di telo nylon. Identiche precauzioni avrebbero dovuto essere prese nei percorsi delle reti tecnologiche di servizio agli edifici e le aree a verde sarebbero state soggette a prescrizioni rapportate alle diverse esigenze di tutela, graduando tra aree a vegetazione completamente erbacea e quelle con vegetazione arborea con apparato radicale superficiale ed escludendo le essenze a radice profonda.
Dal 1993 in poi i lavori edilizi e di urbanizzazione sono proseguiti, sempre sotto il controllo degli archeologi e via via raccogliendo una messe di informazioni, che hanno contribuito alla migliore definizione della paleomorfologia e stratigrafia del sito (struttura dell’abitato, presenza di eventuali elementi di perimetrazione o di partizione interna, grado di conservazione, ecc.). In alcuni casi gli stessi proprietari hanno deciso di dare corso a regolari campagne di scavo, che si sono rivelate indispensabili per tarare il significato dei dati puntuali offerti dai sondaggi e per integrare le conoscenze anche sul piano crono-culturale, paleoambientale, e paleoeconomico.
Va dato atto e merito all’Amministrazione Comunale di Anzola dell’Emilia, sin dall’inizio di questa vicenda e già dai primi convulsi momenti del confronto sviluppatosi sul destino del Comparto residenziale, di avere dimostrato una grande sensibilità e consapevolezza dei termini culturali della questione. Impulso importante è venuto anche dal felice incontro con il volontariato locale e con gli istituti scolastici.
L’avere accettato e, anzi, perseguito una mediazione tra le esigenze della tutela e quelle della comunità e del “mercato” ha consentito alla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna di non abdicare al ruolo di tutela del bene culturale e contemporaneamente di potersi avvalere delle risorse messe in campo da enti e da privati per ampliare le conoscenze e farne attivamente partecipe la popolazione locale.

Il villaggio terramaricolo
Una serie di trincee, carotaggi meccanici e scavi archeologici condotti negli ultimi 18 anni ha consentito di ricostruire le dimensioni e la forma dell’antico abitato di Anzola dell’Emilia, sepolto sotto una coltre di spessore compreso fra 1,5 ed 2 m circa.
Le indagini hanno individuato e circoscritto un’area insediativa di forma quadrangolare di circa 13,5 ettari di estensione (450 m in senso NordOvest-SudEst e 300 m NordEst-SudOvest), posta su un alto morfologico e circondata da un fossato profondo fino a 2,5 m e largo mediamente da 4 a 6 m.
Per struttura, dimensioni e caratteristiche, gli archeologi ipotizzano che questo fossato non sia stato realizzato a scopo difensivo bensì di collettore perimetrale per il drenaggio delle acque superficiali. L’area circoscritta dal fossato era attraversata trasversalmente in senso Nord/Sud da un corso torrentizio, probabilmente l’antico torrente Martignone, che alimentava sia il fossato perimetrale sia un altro fossato interno al villaggio.
Tale fossato interno circoscriveva un’area di circa 2,5 ettari (180 m Nord Ovest -Sud Est e 130 m Sud Ovest-Nord Est), il cui margine orientale era costituito dal corso d’acqua naturale ed il margine meridionale coincideva con il perimetro esterno dell’abitato. Lungo la sponda interna di questo fossato si sono trovate tracce di una palizzata, interpretata come struttura difensiva. All’interno dell’area circoscritta dal fossato sono state rinvenute tracce di strutture di diversa natura e tipologia come buche di palo (circa 500), pozzi per l’emungimento idrico canalette per il drenaggio e la distribuzione dell’acqua, buche di discarica. Le aree indagate sono caratterizzate da numerose concentrazioni di manufatti, prevalentemente ceramici ma anche bronzei, nonché da resti tipici della frequentazione ed attività antropica, come carboni, concotto, frammenti ossei e ciottoli utilizzati come inzeppatura per pali o come strumenti (ad esempio macine e macinelli).

Ipotesi ricostruttiva della Terramara di Anzola

Il suolo che anticamente costituiva il “piano di calpestio” della Terramara, prima di essere coperto dai terreni alluvionali, venne profondamente alterato sia dai processi naturali che dalle attività umane, in particolar modo dalle arature, che interessarono l’area fino a tutta l’epoca romana.
Nonostante le alterazioni, è stato possibile riconoscere alcuni resti interpretabili come strutture abitative a terra. Nella parte nord-occidentale del villaggio queste abitazioni risultano in linea con l’orientamento del villaggio, mentre nell’area compresa fra il fossato interno e il torrente Martignone non hanno un orientamento concorde né fra loro né rispetto agli assi di simmetria generali del villaggio.
Come in molti altri siti terramaricoli, anche ad Anzola dell’Emilia la presenza di alzati di strutture murarie è attestata dal rinvenimento di numerosi frammenti di graticcio (argilla con incannucciato interno), mentre consistenti resti di piani in argilla cotta documentano la presenza di focolari
Non si ha invece alcun dato sulla sua necropoli, che doveva consistere in tombe a cremazione in vasi biconici o olle, i cui resti andranno comunque cercati al di fuori del perimetro del suo abitato, in un raggio anche di qualche centinaio di metri.

Le indagini archeologiche hanno recuperato materiali riferibili a diverse attività artigianali, quali produzioni ceramiche e metallurgiche (bronzi), lavorazioni di pasta vitrea, osso, corno e conchiglie, nonché ad attività di filatura e tessitura. Gli scambi commerciali sono testimoniati dal rinvenimento di ceramica realizzata su modelli mutuati da quelli che caratterizzano la confinante cultura appenninica, diffusa dalla Romagna all’Italia peninsulare, vaghi d’ambra di provenienza baltica e reperti lapidei provenienti dall’Appennino
Tazza ansata a corna di lumaca (in ceramica fine) rinvenuta nella Terramara di Anzola dell'Emilia
L’attività artigianale più diffusa all’interno del sito risulta essere quella della produzione ceramica. Oltre alla straordinaria presenza di vasi pressoché integri sono stati rinvenuti numerosi frammenti ceramici di medie e grandi dimensioni che si caratterizzano per una buona conservazione. Contenitori di grande dimensione solitamente utilizzati per la conservazione delle derrate alimentari, e contenitori di dimensioni più piccole, come gli orcioli, destinati alla cottura dei cibi o alla lavorazione dei derivati dell’agricoltura e dell’allevamento.
Sono stati rinvenuti diversi oggetti in bronzo della stessa tipologia dei contesti dell’età del Bronzo in area padana. Alcuni strumenti, tra cui un falcetto che presenta ancora tracce delle fibre residue del fodero in cui era conservato (il che sottolinea la notevole importanza che l’attività agricola aveva all’interno dell’economia del sito), punte di lesina e punteruoli utilizzati per lavori di precisione come l’intarsio del legno. Tra gli oggetti si segnalano quattro pugnali, mentre tra gli oggetti ornamentali ci sono quattro spilloni di diversa tipologia.
Se non è raro il ritrovamento di perle di pasta vitrea (e due vaghi sono stati recuperati anche nella Terramara di Anzola dell’Emilia), appare invece eccezionale quello di un manufatto legato alla lavorazione del vetro che rappresenta la prima documentazione della lavorazione della pasta vitrea in ambito terramaricolo.
Manico di lesina in corno di cervo, con decorazione a cerchielli (foto Roberto Macrì, 2004)La lavorazione del corno, insieme a quella dell’osso, è una delle industrie maggiormente caratterizzanti della cultura terramaricola, che trovava nei palchi di cervo il materiale ideale per realizzare sia strumenti che oggetti di ornamento. Se pochi sono i manufatti in corno di cervo rinvenuti nello scavo della Terramara di Anzola dell’Emilia, l’analisi dei resti faunistici ha appurato l’assenza delle stesse ossa di cervo, un dato che conferma come questa specie animale non caratterizzasse il sito, in coerenza con il quadro di un’economia incentrata in massima parte sull’allevamento di ovicaprini e suini, piuttosto che su agricoltura e caccia. Possiamo pertanto ipotizzare che i palchi di cervo costituissero merce di importazione, in seguito lavorata sul posto. Fra questi oggetti spicca in particolare il manico di lesina del tipo a testa circolare e corpo a losanga solo sommariamente rifinito, evidentemente spezzatosi nella parte distale mentre era in corso di realizzazione.
Sono stati trovati molluschi fossili con superfici abrase allo scopo di ottenere fori passanti per poterli utilizzare come vaghi per collane.
Si hanno solo testimonianze indirette dell’artigianato tessile, cui sono riconducibili con evidenza alcune fusaiole e pesi realizzati in argilla. C'è da dire che colpisce lo scarso numero di fusaiole e pesi da telaio rinvenuti, a fronte della gran quantità di ceramica vascolare restituita dagli scavi nell’insediamento. Questo dato (pur considerando la parzialità dell’area scavata) induce ad ipotizzare che filatura e tessitura fossero attività artigianali scarsamente praticate in loco, a differenza di quanto riscontrato nella generalità dei siti dell’età del Bronzo. Questa ipotesi appare peraltro in contraddizione anche con i risultati delle analisi paleofaunistiche, che hanno accertato una massiccia presenza nella Terramara di ovicaprini, naturalmente collegati alle attività di lavorazione della lana. Sebbene dunque la parzialità dei dati non possa escludere che altri settori della Terramara non ancora indagati conservino maggiori attestazioni di artigianato tessile, si può verosimilmente ipotizzare che la lana fosse anche (e forse soprattutto) preziosa merce di scambio.
Le campagne di scavo hanno restituito a tutt’oggi cinque vaghi in ambra. Marcatore per eccellenza di commerci ad ampio raggio, l’ambra sembra caratterizzare i luoghi di scambio particolarmente recettivi e vivaci soprattutto per quanto riguarda il Bronzo Medio e Recente. Se infatti sul volgere del Bronzo Recente i ritrovamenti di ambra nelle terramare si infittiscono sia in senso distributivo che quantitativo, nella fase immediatamente precedente sono ancora piuttosto rari. La presenza di ambra in contesti insediativi di fine Bronzo Medio ma anche delle fasi iniziali di Bronzo Recente sembra denunciare l’esistenza, all’interno di tali insediamenti, di individui di alto rango, socialmente dominanti, ai quali il bagliore dorato dell’esotica ambra doveva conferire particolare prestigio. Specifiche analisi hanno accertato che l’ambra di Anzola dell’Emilia è di provenienza baltica: la presenza nella Terramara anzolese di questo fossile guida dei commerci con il Nord, consente di inserire a pieno titolo il sito nel novero dei centri terramaricoli ad alto tenore di scambi

Il paesaggio vegetale e l’agricoltura
Gli studi archeobotanici condotti negli scavi archeologici di Anzola dell’Emilia costituiscono un importante tassello nell’evoluzione del paesaggio vegetale e dell’ambiente nell’area compresa fra Reno e Samoggia nell’età del Bronzo. Le analisi hanno fornito importanti dati sull’economia dell’area, sulle attività di trasformazione dei prodotti agricoli e sulla dieta alimentare.
Nel complesso, il paesaggio vegetale nell’età del Bronzo risulta mediamente aperto, gli alberi rimangono infatti sempre sullo sfondo e abbastanza distanti dall’area indagata, anche se è probabile la presenza di alberi singoli o in gruppo nella prima fase dell’insediamento nella zona del torrente Ghironda.
Il quadro vegetazionale sembra confermare l’ipotesi che gli insediamenti terramaricoli fossero circondati da un’ampia area deforestata destinata a pascoli e coltivazioni; considerato il rilevante numero di abitati ipotizzati con studi recenti è perciò pensabile che buona parte della Pianura Padana risultasse fortemente segnata da tutte le modifiche poste in essere dall’uomo per rendere l’ambiente naturale più consono ai propri fini
La componente arborea è costituita prevalentemente da Querce caducifoglie accompagnate da Carpini (fra cui Carpino comune e Carpino nero-Carpino orientale), Frassini con Frassino comune e Orniello, Olmo, Nocciolo, ecc. Scarsa la presenza di Conifere e Pini mentre è discretamente attestata la presenza di piante tipiche delle aree umide, un dato che conferma la presenza nel sito di un canale e di un corso d’acqua, come risulta anche dalle rilevanze archeologiche.
L’attività antropica è già documentata nei livelli precedenti l’insediamento: con la costruzione dell’abitato si verifica un forte aumento delle attività connesse alla presenza dell’uomo e, in particolare, si ha un incremento delle aree coltivate a cereali (grano, spelta, orzo e panico)
Questo dato suggerisce che oltre alla coltivazione in loco avvenivano anche processi di accumulo inerenti operazioni di lavorazione/immagazzinamento delle cariossidi o dei sottoprodotti dei cereali.
Fra le leguminose è stata rinvenuta la fava, certamente coltivata nell’abitato nel Bronzo Recente, mentre tra le specie tessili sono documentate la canapa e il lino. La canapa è segnalata in numerosi siti del Bronzo, come Montale, Noceto, Poviglio, Crocetta e Canàr, mentre il lino è stato rinvenuto solo a Noceto.
Fra le specie da frutto sono presenti Noce, Gelso e Vite. Il rinvenimento della Vite è molto importante perché si fa risalire a questo periodo la sua domesticazione. Straordinario invece il ritrovamento di polline di Gelso, mai testimoniato in precedenza in Emilia-Romagna nell’Età del Bronzo.
La presenza di numerose piante che producono frutti spontanei ci permette di dire che nell’economia dell’abitato la raccolta di questo tipo di frutti (nocciole, ghiande, frutti del Sambuco, ecc.) aveva una certa rilevanza. Il rinvenimento di alcuni granuli pollinici di bietola, cicoria, lattuga, angelica e pastinaca potrebbe indicare la presenza nell’area dell’abitato di piccoli orti in cui venivano coltivati ortaggi, che andavano ad integrare la dieta alimentare degli abitanti della Terramara.
Possiamo quindi affermare che in questo periodo la dieta alimentare era abbondante e diversificata. Diversi tipi di cereali, abbinati a legumi, venivano probabilmente impiegati per produrre sfarinati per focacce o nutrienti zuppe alle quali si aggiungevano verdure o frutti spontanei. Sono inoltre documentate varie piante che accompagnano da sempre le attività dell’uomo, fra cui alcune specie spontanee come ortiche, cicorie e graminacee spontanee che abbinate a Leguminose e altre piante testimoniano l’esistenza nelle vicinanze dell’abitato di vaste aree estese lasciate a prato e destinate probabilmente al pascolo/allevamento del bestiame. Un dato in accordo con l’abbondante presenza di animali da pascolo testimoniato dalle analisi archeozoologiche che suggerisce un probabile sfruttamento non intensivo dei coltivi che venivano periodicamente abbandonati e lasciati incolti

La fauna
Foto Roberto Macrì, SBAER 2004)Lo studio delle ossa animali è stato eseguito su circa 5.000 frammenti, provenienti sia da scavi che da saggi.
La composizione generale della fauna è del tutto simile a quella degli altri siti del Bronzo Recente della Pianura Padana, in cui sono presenti in grande maggioranza animali domestici e pochi animali selvatici. Anche le razze sono le stesse che si ritrovano negli altri insediamenti.
I bovini sono bassi e con corna abbastanza corte (come nel Bronzo Medio), le pecore sono prive di corna mentre le capre hanno corna dritte falcate
I suini non sono particolarmente robusti e si distinguono bene dai cinghiali. Venivano macellati di solito attorno al secondo anno di vita, quando avevano superato i 130 kg, ma anche in età ben più giovane allo scopo di portare sulla mensa carne tenera e succulenta.
La maggior parte dei cani presenta un raccorciamento del muso, dovuta forse a reincroci locali fra consanguinei.
I cavalli, che incominciano a comparire proprio in questo periodo, sono alti in media cm 133 al garrese; le analisi sui denti li ricollegano al gruppo dei cavalli tedeschi occidentali, ponendoli sulla stessa linea di sangue di quelli che saranno allevati poi dai Veneti.
Seguendo l'evoluzione della composizione della fauna attraverso l’arco di vita del sito si possono ricostruire sia l'utilizzo delle risorse che l'ambiente immediatamente circostante. Subito dopo l'occupazione del territorio la grande quantità di ovini, con le pecore presenti in numero triplo rispetto alle capre, segnala come attività principale la pastorizia volta ad ottenere in particolare la lana.
Il ritrovamento di un oggetto votivo identificabile come una pecora per il musetto allungato ben caratterizzato, appare a tutt’oggi un unicum e sottolinea certamente in modo emblematico l’importanza attribuita agli ovini nell’insediamento.
La presenza di castrati tra i bovini è da collegarsi al loro utilizzo per l'agricoltura ma anche a un loro allevamento a scopo alimentare visto che il 50% veniva ucciso prima dei tre anni.
Lo studio della resa in carne degli animali consumati nella struttura abitativa vede i bovini al primo posto (con più del 60%), seguiti dai suini (circa il 25%) e dagli ovini (poco più del 10%). Solo in questa fase sono presenti grossi mammiferi selvatici come il cinghiale, il cervo e il capriolo a dimostrazione che l'ambiente circostante è ancora, almeno in parte, forestato.
Sono presenti anche zone acquitrinose ove è possibile catturare le anatre. Si riscontra successivamente un cambiamento sia nella quantità che nella composizione delle greggi con le pecore in numero pari alle capre, indice del peggioramento della qualità dei pascoli. Scompaiono i grandi mammiferi selvatici sostituiti dalla lepre e dalla tartaruga. Questo fatto, unito alla presenza della faina, che abita luoghi aperti, è legato ad una estesa deforestazione.
Il momento dell’abbandono del sito appare caratterizzato dalla presenza della sola capra, probabile conseguenza di un ulteriore peggioramento della qualità dei pascoli, mentre cessa qualsiasi attività di caccia tranne che per la faina, forse perché la sua pelliccia può rappresentare una merce di scambio. Un'ulteriore conferma della drastica riduzione delle risorse viene data dall'età di morte dei cavalli. Infatti, mentre in precedenza venivano abbattuti circa attorno l'età di otto anni, nel periodo in questione gli esemplari rinvenuti presentano i denti consunti fino alla radice a riprova della mancanza di disponibilità economica ad acquistarne dei nuovi. Questi dati possono contribuire a comprendere meglio l’ultima fase di vita della Terramara specie se associati, al periodo di siccità, attestato anche dai dati archeobotanici.


 

A scuola di terramare
Il Comune di Anzola dell’Emilia opera dal 2004, in convenzione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, l’Istituto Comprensivo «E. De Amicis» e il Centro Culturale Anzolese, per introdurre la didattica dell’archeologia nei programmi della scuola primaria. L’obiettivo è guidare i bambini alla conoscenza dei meccanismi con cui si ottengono dati storicamente significativi tramite la ricerca archeologica. Questo li aiuta a comprendere, anzitutto, il più lontano passato, anche in relazione ai rinvenimenti locali, e scoprire così le proprie radici rinsaldando il legame con il territorio.
Questo percorso li esorta anche a ragionare sui meccanismi con cui il dato storico viene definito e scritto sui loro libri di scuola, a partire dallo studio delle fonti. I percorsi che svolgono le classi terze, quarte e quinte della scuola primaria non sono lezioni di storia ma attività laboratoriali incentrate sull’analisi delle fonti -archeologiche ma anche iconografiche e scritte- e delle metodologie con cui queste discipline sono studiate. Questo permette ai bambini di sviluppare capacità critica e di imparare a valutare la storia dell’uomo come un processo sempre sottoposto a nuove e più approfondite analisi capaci di mostrarne aspetti sconosciuti o poco evidenti o, addirittura, di riscrivere gli accadimenti.
I percorsi sono impostati e organizzati dal Comune, condotti da specialisti del settore, ognuno con specifiche competenze, e da volontari del Centro Culturale Anzolese. Un ulteriore obiettivo che il progetto intende raggiungere è quello di far crescere nei bambini, cittadini di domani, il rispetto e l’attenzione per il proprio territorio. Un territorio fatto non solo di terra e strade su cui essi camminano e giocano, ma anche di un passato, di una storia quotidiana e nascosta, origine della sua forma attuale. Il territorio, in sintesi, come prodotto dell’azione umana che l’archeologia testimonia. Gesti quotidiani passati che parlano di vita vissuta - di strategie economiche, di tecniche di sopravvivenza - e generano affetto per la terra su cui i bambini vivono, e che l’archeologia svela ai loro occhi. Le strutture didattiche e le esperienze maturate in questo lavoro saranno inserite, a partire dal 2012, nell’offerta didattica del Museo Archeologico Ambientale disponibili così per tutte le scuole della Regione.

Testi tratti dal volume "Anzola al tempo delle Terremare" a cura di Paola Desantis, Marco Marchesini, Silvia Marvelli, Centro Stampa della Regione Emilia Romagna, 2011 Bologna, in vendita presso le tre sedi del Museo Archeologico Ambientale e presso la libreria Volumina, Via Arienti n. 2 a Bologna
I contributi sono di Giuliana Steffè (scoperta), Fabrizio Finotelli (villaggio), Paola Desantis e Tiziana Caironi (materiali, scambi e attività),  Marco Marchesini  e  Silvia Marvelli (paesaggio vegetale), Patrizia Farello (fauna), Lucia Urbinati (geografia storica) e Paolo Toccarelli (didattica)

Foto di Roberto Macrì (2004 © Archivio SBAER)

Sabato 17 dicembre 2011

Presentazione della mostra e della nuova sede espositiva (foto Roberto Macrì)ore 15, presentazione della nuova sede espositiva nella Sala del Consiglio Comunale in Via Grimandi 1 ad Anzola dell'Emilia (BO)

Loris Ropa, Sindaco del Comune di Anzola dell’Emilia
Giulio Santagada, Assessore alla Cultura, Comune di Anzola dell’Emilia
Filippo Maria Gambari, Soprintendente Archeologo, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna
Paola Desantis, Funzionario responsabile di zona, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
Alessandro Zucchini, Direttore IBC Regione Emilia-Romagna
Fiamma Lenzi, Servizio Musei, IBC Regione Emilia-Romagna
Giuliano Barigazzi, Assessore alla Cultura, Provincia di Bologna
Rita Guazzaloca, Dirigente Istituto Comprensivo De Amicis, Anzola Emilia
Silvia Marvelli, Direttore del Museo Archeologico Ambientale di San Giovanni in Persiceto

Presentazione del viaggio virtuale nella Terramara di Anzola dell’Emilia
a cura di Veronica Scandellari, Valerio Innocenti Sedili, Piero Calzolari

17 dicembre 2011: taglio del nastro per il museo e la mostra di Anzola dell'Emilia (foto Roberto Macrì)ore 16, inaugurazione della nuova sede espositiva e della mostra "Anzola al tempo delle Terramare" nel Museo Archeologico Ambientale in Via Emilia 87 ad Anzola dell'Emilia (BO)

Progetto scientifico di
Paola Desantis, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna
Silvia Marvelli, Fabio Lambertini, Museo Archeologico Ambientale di San Giovanni in Persiceto
Fabrizio Finotelli, Wunderkammer snc
Tiziana Caironi,  Collaboratore della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna

Nell’occasione sarà distribuita la guida all’esposizione - Segue aperitivo

Promosso da:

Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, Regione Emilia-Romagna, Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali, Comune di Anzola dell’Emilia, Museo Archeologico Ambientale di San Giovanni in Persiceto e Provincia di Bologna in collaborazione con Associazione Centro Agricoltura Ambiente. Si ringrazia G.D per il generoso contributo e Cogei Costruzioni s.p.a.

Città: Anzola dell'Emilia
Quando: da sabato 17 dicembre 2011 (esposizione permanente)
Orari: sabato 10-12 e domenica 16-18
Luogo: Museo Archeologico Ambientale (nuova sede espositiva di Anzola dell’Emilia)
Indirizzo: Via Emilia 87
Provincia: Bologna
Regione: Emilia-Romagna
Telefono: 051.6871757
Info: Segreteria del Museo Archeologico Ambientale di San Giovanni in Persiceto
Tel. 051-6871757 - Fax 051-823305
e-mail: maa@caa.it 
www.museoarcheologicoambientale.it
   

editing Carla Conti