Modena, Via Ciro Menotti
Impianti produttivi di età romana e necropoli tardoantica-altomedievale
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Leggi il comunicato stampa del 24 giugno 2009
Leggi il comunicato stampa del 2 novembre 2011

Lo scavo di une delle tombe a cassa lateriazia di età tardoantica, rinvenute nello scavo di Viale Menotti a Modena (maggio 2009)In seguito ai lavori di scavo previsti nell'area per la costruzione di un nuovo edificio in Via Menotti a Modena, è stata compiuta un'indagine archeologica (le indagini sono state coordinate sul campo da Francesco Benassi e Francesca Guandalini, della Cooperativa ARES di Ravenna, sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, Donato Labate), che ha permesso di individuare la stratigrafia del sottosuolo, fino alla quota massima di circa sette metri e mezzo dall'attuale piano stradale, caratterizzata da una successione di livelli alluvionali riferibili ad un corso d'acqua di età romana.
Gli scavi hanno individuato parte di una necropoli tardoantica caratterizzata da due fasi di utilizzo  e un'area occupata dai resti di un edificio presumibilmente rustico, poi adibita a discarica in seguito alla destrutturazione dell'edificio. È stata anche trovata una calcara di età imperiale romana. Sul fondo dello scavo, a ridosso di via Menotti, sono stati rinvenuti alcuni lacerti di fondazioni murarie di età romana, che circoscrivono un'area rettangolare di circa 6x4,70 m. Si tratta probabilmente dei resti di un edificio rustico del primo suburbio di Mutina.
I resti si presentavano notevolmente intaccati da una buca di scarico, pertinente ad una successiva fase di utilizzo dell'area come discarica. Tra i materiali, databili tra il I e il II sec. d. C., figurano elementi architettonici in marmo (basi di colonne), resti di intonaco e rivestimento parietale, frammenti laterizi (tegole e mattoni), esagonette pavimentali, ceramica di varie classi (soprattutto anfore) e vetri. Questi materiali paiono riconducibili alla demolizione di una domus signorile della vicina città, il cui limite nord-orientale si trovava a poco più di 150 m di distanza dall'area in esame.
Alla medesima fase della discarica risulta collegabile l'impianto della calcara. Le indagini condotte consentono di ricostruire una struttura a pianta sub-circolare (del diametro esterno di circa m. 3,80), con pareti oblique concottate e quasi vetrificate per le alte temperature raggiunte dall'impianto produttivo. La calcara era provvista di un'unica imboccatura (posta a nord-ovest), con rampa obliqua, discendente fino al fondo della camera di combustione, attraverso la quale avveniva il continuo caricamento del carbone combustibile. La fossa della fornace risultava colmata da un consistente accumulo di ciottoli fluviali di piccole e medie dimensioni, frammenti di laterizi e grumi di concotto, interpretabili come scani riferibili alla fase di abbandono dell'impianto. Questi livelli antropici riferibili al II-III d.C. risultano coperti in parte da una successione di livelli limosi, intervallati da sottili lenti sabbiose, pertinenti alle esondazioni di un corso d'acqua il cui alveo è stato identificato nel settore orientale dello scavo.
Archeologi al lavoro nella necropoli di Via Menotti. Sono venute in luce 11 sepolture in fossa terragna di età tardoanticaTra la fine del V e gli inizi del VI sec. d.C., in seguito alla migrazione verso est del corso d'acqua, avvenuta progressivamente in epoca tardoantica, l'area idromorfologicamente stabilizzata è stata occupata da una necropoli con fosse ad inumazione, di cui non è possibile valutare esattamente l'estensione completa, dato che il sepolcreto doveva estendersi verso sud, oltre il limite dell'area indagata (sotto l'attuale via Bellini).
Le tombe risultano orientate in direzione Est-Ovest e dislocate su fasce parallele con andamento N-E/S-O. Si sono riconosciute due fasi di utilizzo, separate da uno strato alluvionale. Un livello inferiore di tombe, più antico, costituito da 11 sepolture a fossa terragna (tra cui spicca una suggestiva doppia sepoltura), quattro delle quali recano copertura “alla cappuccina” mentre due presentano una copertura cianica; e un livello superiore di tombe, caratterizzato da 7 cassoni in laterizi di recupero, con coperture talvolta costituite da lastre in pietra vicentina di reimpiego, probabilmente spogliate da monumenti di epoca imperiale.
Le tombe più recenti risultano vuote e non vennero mai utilizzate, probabilmente perché l'area venne sigillata in modo improvviso da una coltre di deposito alluvionale, che travolse e ricoprì le strutture, determinando l'abbandono definitivo del sepolcreto.
La mancanza di corredi funebri datanti non consente di distinguere cronologicamente con esattezza le due fasi di utilizzo della necropoli, ma è assai probabile che le due fasi siano separate da pochi decenni. La necropoli risulta coperta da depositi alluvionali costituiti da lenti limo-argillose e sabbiose, probabilmente formati a seguito di diversi e successivi apporti alluvionali, inquadratali in un lungo periodo di dissesto idro-geologico, verificatosi tra la seconda metà del VI sec. d.C. e la prima metà del VII sec. d.C., noto nelle fonti antiche come il Diluvio ricordato da Paolo Diacono nel 589 d.C.

Articolo di Francesco Benassi e Francesca Guandalini pubblicato in Atti e memorie, Deputazione di storia patria per le antiche province modenesi, serie XI, volume XXXIII, pagg 432-434 (maggio 2011)
Informazioni archeologiche: Donato Labate

Tomba a doppia sepoltura in fossa terragna (V-VI secolo). L'uomo e la donna presentano le mani intrecciateMemorie dal sottosuolo: endless love
Non sempre le parole sono all'altezza dei fatti ma certamente la doppia sepoltura in fossa terragna rinvenuta in Via Menotti dà un nuovo significato all'espressione "uniti per sempre". Le mani intrecciate, il capo di uno scheletro rivolto verso l'altro che ha la testa reclinata verso l'esterno della tomba. In realtà non è voluto: da una prima osservazione delle vertebre del collo, sembra rilevarsi una rotazione del capo post sepoltura tanto che gli antropologi ipotizzano che, al momento della deposizione, i due scheletri potessero guardarsi.
Eros e Thanatos (dove eros va inteso nel senso più ampio di manifestazione d'affetto), non c'è artista che non l'abbia cantata ma davvero la suggestione di questa tomba è sconfinata. Pare quasi di vederli camminare sul sentiero dell'eternità, mano nella mano, guardandosi negli occhi. Uno scheletro porta un anello in bronzo alla mano sinistra un anello mentre vicino al piede destro dell'altro è stata rinvenuta un'applique della veste o della calzatura.
Che si siano voluti bene è assai probabile, che qualcuno li abbia amati è quasi certo; qualcuno che si è preso cura di loro al momento del decesso, cementando in una fossa un atteggiamento che piace immaginare frequente se non quotidiano.
Hanno 1500 anni ma sono rimasti giovani e senza pretese.
Gli studi antropologici, affidati a Giorgio Gruppioni, direttore del Laboratorio di Antropologia, Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Bologna (sede di Ravenna), diranno con un margine minimo di errore quanti anni avessero e forse anche come e perché sono morti.
In attesa che parli la scienza, conviene ascoltare i poeti. L'immagine tenera e potente di questi due corpi trova riscontro solo nelle elegie scolpite sui monumenti funerari.
Uno per tutti, l'epigrafe che Elia Filete dedica al marito Lucio Vafrio Clemente, veterano della decima coorte pretoriana (Museo Archeologico Nazionale di Sarsina, Forlì-Cesena).
Salve cari mihi coniunx / dilecta propago / condite perpetuis tumulis / sine lucis hiatu. / Defleo te puto nec satis est / decerpere crinis / nunc neque te video nec /amor satiatur amantis / deflent et gemini genito/ris imagine capti / et coniunx misera / finem deposco dolori.
Addio mio caro marito /figlio diletto /seppellite in tumuli eterni / in voragini senza luce. / Ti piango e penso che non sia sufficiente / strapparsi i capelli / adesso che non ti posso più vedere / e l’amore non si sazia più dell’amante / e piangono i bambini / catturati dall’immagine paterna / e misera moglie / vorrei porre fine al mio dolore.
I cosiddetti "Amanti di Mantova", sepoltura del Neolitico rinvenuta nel febbraio 2007 a Valdaro (Foto "Gazzetta di Mantova""L'archeologia riserva spesso delle sorprese -commenta Donato Labate che ha scavato questa sepoltura. Più raro che una scoperta possa fornire sentimenti di umana tenerezza, come il ritrovamento di questa coppia che s'è tenuta per mano per molti secoli."
Finché morte non vi separi, si è sempre detto.  In questo caso a separarli è stato un 'crudele' archeologo.
"Personalmente dissento dall'opinione di Natalia Aspesi che ha detto che “l'amore eterno non esiste, è solo un'invenzione degli uomini, magari lei lo guarda solo per strozzarlo”  (Gazzetta di Modena, 14 ottobre 2011, pag. 17, clicca qui per leggere gli articoli, PDF). Secondo me -conclude Labate- è possibile, e lo è sempre stato, trovare l'amore di una vita intera, così come è possibile  alimentarlo giorno dopo giorno, con semplicità e complicità, fino alla fine dell'esistenza."
Non sono rare in archeologia le sepolture multiple, soprattutto nel periodo tardoantico. Ciò che è straordinario, almeno per l'Emilia-Romagna, è la posizione in cui sono stati deposti i due corpi.
Nel 2007 ha fatto il giro del mondo l'immagine dei cosiddetti "Amanti di Mantova": due scheletri risalenti al Neolitico, due giovani di sesso diverso,  un uomo e una donna, fra i 18 e i 20 anni, a sinistra il maschio, a destra la femmina, perfettamente conservati e teneramente tumulati faccia a faccia, praticamente avvinghiati. Un abbraccio lungo sei millenni, una scoperta emozionante che ha catapultato gli archeologi agli albori dell'umanità. La misteriosa sepoltura era venuta alla luce a Valdaro, tra le nebbie della campagna di San Giorgio, alle porte della città ducale, durante lavori di bonifica archeologica sui resti di una immensa villa rustica romana del I secolo dopo Cristo.

Aggiornamento 28/10/2011 (Luca Mercuri e Donato Labate, archeologi)
Nell'ultimo mese (ottobre 2011) è iniziato lo studio interdisciplinare della sepoltura dei due "amanti". In particolare gli antropologi si sono concentrati nell'indagare i resti scheletrici mentre gli archeologici si sono soffermati sul significato della scoperta fornendo le prime linee interpretative.
Questi studi hanno iniziato a produrre le prime suggestioni e i primi risultati preliminari.
a) uno dei due scheletri ha il palmo rivolto verso l'alto, l'altro verso il basso: parrebbe quindi che i due si tenessero effettivamente per mano in senso proprio e che siano stati sepolti contemporaneamente
b) l'anello appartiene a una mano maschile: si tratta di un monile in bronzo e in quanto tale serviva a qualificare chi lo portava come cives romanus
c)  lo scheletro maschile tiene con la mano sinistra la mano destra dell'altro; questo costituisce una peculiarità perché “fotografia” un momento intimo, del tutto privato. Analogamente si nota come non si sia scelto un gesto ufficiale, come la dextrarum iunctio (l'unione delle mani destre di sposo e sposa come rievocazione del rito nuziale), bensì un gesto del tutto “quotidiano”, a suggerire la dimensione privata delle ragioni che hanno portato a questa peculiare doppia deposizione
d) le sepolture bisome (doppie) sono di per sé piuttosto rare, rarissime quelle col chiaro intento di traslare oltre la morte uno stretto rapporto sentimentale, inesistenti –e di fatto senza precedenti, a quanto se ne sa finora- quelle con i due "amanti" che si tengono per mano
E' nota la tomba di Valdaro di Mantova, di epoca neolitica, con gli amanti stretti in un abbraccio, seguita dopo un anno da un'analoga scoperta, di epoca ancora più antica, presso Diyarbakir, nella Turchia sudorientale. Questi antichissimi corpi congiunti sembrano quasi evocare i futuri abbracci dei famosissimi sarcofagi bisomi etruschi, vulcenti in particolare, con lo sposo che avvolge col suo braccio le spalle della sposa.
La nostra sepoltura offre tuttavia un'immagine a quanto pare inedita, con la rappresentazione non dell'abbraccio ma del prendersi per mano, un gesto intimo, quotidiano, di non rilevanza pubblica, che rende la scoperta eccezionale. Forse l'accertamento della causa di morte potrà spiegarci le ragioni di questa suggestiva anomalia.

Aggiornamento 08/11/2011 (Carla Conti)
La suggestiva sepoltura ormai nota come "Tomba degli Amanti", oltre all'interesse della comunità scientifica internazionale, è diventata fonte d'ispirazione letteraria.
Lunedì 7 novembre 2011 si è tenuto a Carpi di Modena un consesso di poeti che hanno presentato alcuni componimenti. Erano presenti anche l'archeologo della Soprintendenza Donato Labate e l'antropologa Vania Milani che hanno trovato particolarmente significativo questo epitaffio per gli amanti di Modena, scritto da Giampaolo Papi
A ciascun amante s'inchini il Tempo
Sappia di voi la memoria del mondo
Figli dell'assoluto, Amore e Morte

Spiegel Online, 31.10.2011
Le Matin, 05.11.2011

Aggiornamento 10 febbraio 2014 (Carla Conti)
La coppia di “amanti” di età tardo antica che ha emozionato il mondo intero si trasferisce nelle sale del Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena. Dopo la mostra “Mano nella mano. Reperti di un amore oltre la morte”, la celebre tomba di un uomo e di una donna quasi trentenni, sepolti 1500 anni fa insieme con le mani congiunte, è stata spostata  nella sede definitiva al terzo piano del Palazzo dei Musei, tra le raccolte archeologiche.
Info: Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena
Palazzo dei Musei - Largo Porta S. Agostino 337, Modena
orari di apertura: da lunedì a venerdì 9-12; sabato, domenica e festivi 10-13 e 16-19.
Ingresso gratuito.
www.comune.modena.it/museoarcheologico