Leggi il comunicato stampa del 2 novembre 2011
In
seguito ai lavori di scavo previsti nell'area per la costruzione di un nuovo
edificio in Via Menotti a Modena, è stata compiuta un'indagine archeologica (le
indagini sono state coordinate sul campo da Francesco Benassi e Francesca
Guandalini, della Cooperativa ARES di Ravenna, sotto la direzione scientifica
della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, Donato Labate),
che ha permesso di individuare la stratigrafia del sottosuolo, fino alla quota
massima di circa sette metri e mezzo dall'attuale piano stradale, caratterizzata da una
successione di livelli alluvionali riferibili ad un corso d'acqua di età romana.
Gli scavi hanno individuato parte di una necropoli tardoantica caratterizzata
da due fasi di utilizzo e un'area
occupata dai resti di un edificio presumibilmente rustico, poi adibita a
discarica in seguito alla destrutturazione dell'edificio. È
stata anche trovata una calcara di età imperiale romana. Sul fondo dello
scavo, a
ridosso di via Menotti, sono stati rinvenuti alcuni lacerti di fondazioni
murarie di età romana, che circoscrivono un'area rettangolare di circa 6x4,70 m.
Si tratta probabilmente dei resti di un edificio rustico del primo suburbio di Mutina.
I resti si presentavano notevolmente intaccati da una buca di scarico,
pertinente ad una successiva fase di utilizzo dell'area come discarica. Tra i
materiali, databili tra il I e il II sec. d. C., figurano elementi
architettonici in marmo (basi di colonne), resti di intonaco e rivestimento
parietale, frammenti laterizi (tegole e mattoni), esagonette pavimentali,
ceramica di varie classi (soprattutto anfore) e vetri. Questi materiali paiono
riconducibili alla demolizione di una domus signorile della vicina città, il cui
limite nord-orientale si trovava a poco più di 150 m di distanza dall'area in
esame.
Alla medesima fase della discarica risulta collegabile l'impianto della
calcara.
Le indagini condotte consentono di ricostruire una struttura a pianta
sub-circolare (del diametro esterno di circa m. 3,80), con pareti oblique concottate e
quasi vetrificate per le alte temperature raggiunte dall'impianto produttivo. La
calcara era provvista di un'unica imboccatura (posta a nord-ovest), con rampa
obliqua, discendente fino al fondo della camera di combustione, attraverso la
quale avveniva il continuo caricamento del carbone combustibile. La fossa della
fornace risultava colmata da un consistente accumulo di ciottoli fluviali di
piccole e medie dimensioni, frammenti di laterizi e grumi di concotto,
interpretabili come scani riferibili alla fase di abbandono dell'impianto.
Questi livelli antropici riferibili al II-III d.C. risultano coperti in parte da
una successione di livelli limosi, intervallati da sottili lenti sabbiose,
pertinenti alle esondazioni di un corso d'acqua il cui alveo è stato
identificato nel settore orientale dello scavo.
Tra
la fine del V e gli inizi del VI sec. d.C., in seguito alla migrazione verso est
del corso d'acqua, avvenuta progressivamente in epoca tardoantica, l'area
idromorfologicamente stabilizzata è stata occupata da una necropoli con fosse ad
inumazione, di cui non è possibile valutare esattamente l'estensione completa,
dato che il sepolcreto doveva estendersi verso sud, oltre il limite dell'area
indagata (sotto l'attuale via Bellini).
Le tombe risultano orientate in direzione Est-Ovest e dislocate su fasce
parallele con andamento N-E/S-O. Si sono riconosciute due fasi di utilizzo,
separate da uno strato alluvionale. Un livello inferiore di tombe, più antico,
costituito da 11 sepolture a fossa terragna (tra cui spicca una suggestiva
doppia sepoltura), quattro delle quali recano copertura “alla cappuccina” mentre due
presentano una copertura cianica; e un livello superiore di tombe,
caratterizzato da 7 cassoni in laterizi di recupero, con coperture talvolta
costituite da lastre in pietra vicentina di reimpiego, probabilmente spogliate
da monumenti di epoca imperiale.
Le tombe più recenti risultano vuote e non vennero mai utilizzate, probabilmente
perché l'area venne sigillata in modo improvviso da una coltre di deposito
alluvionale, che travolse e ricoprì le strutture, determinando l'abbandono
definitivo del sepolcreto.
La mancanza di corredi funebri datanti non consente di distinguere
cronologicamente con esattezza le due fasi di utilizzo della necropoli, ma è
assai probabile che le due fasi siano separate da pochi decenni. La necropoli
risulta coperta da depositi alluvionali costituiti da lenti limo-argillose e
sabbiose, probabilmente formati a seguito di diversi e successivi apporti
alluvionali, inquadratali in un lungo periodo di dissesto idro-geologico,
verificatosi tra la seconda metà del VI sec. d.C. e la prima metà del VII sec.
d.C., noto nelle fonti antiche come il Diluvio ricordato da Paolo Diacono nel
589 d.C.
Articolo di Francesco Benassi e
Francesca Guandalini pubblicato in Atti e
memorie, Deputazione di storia patria per le antiche province modenesi, serie XI,
volume XXXIII, pagg 432-434 (maggio 2011)
Informazioni archeologiche: Donato Labate
Memorie
dal sottosuolo: endless love
Non sempre le parole sono all'altezza dei fatti ma certamente la doppia
sepoltura in fossa terragna rinvenuta in Via Menotti dà un nuovo significato
all'espressione "uniti per sempre". Le mani intrecciate, il capo
di uno scheletro rivolto verso l'altro che ha la testa reclinata
verso l'esterno della tomba. In realtà non è voluto: da
una prima osservazione delle vertebre del collo, sembra rilevarsi una rotazione
del capo post sepoltura tanto
che gli antropologi ipotizzano che, al momento della deposizione, i due
scheletri potessero guardarsi.
Eros e Thanatos (dove eros va inteso nel senso più ampio di manifestazione
d'affetto), non c'è artista che non l'abbia cantata ma davvero la suggestione di questa tomba
è sconfinata. Pare quasi di vederli
camminare sul sentiero dell'eternità, mano nella mano, guardandosi negli occhi.
Uno scheletro porta un anello in bronzo alla mano sinistra un anello mentre vicino al piede
destro dell'altro è stata rinvenuta un'applique della veste o della calzatura.
Che si siano voluti bene è assai probabile, che qualcuno li abbia amati è quasi
certo; qualcuno che si è preso cura di loro al momento del decesso, cementando
in una fossa un atteggiamento che piace immaginare frequente se non quotidiano.
Hanno 1500 anni ma sono rimasti giovani e senza pretese.
Gli studi antropologici,
affidati a Giorgio Gruppioni, direttore del Laboratorio di Antropologia,
Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali
dell’Università di Bologna (sede di Ravenna), diranno con un margine minimo di
errore quanti anni avessero e
forse anche come e perché sono morti.
In attesa che parli la scienza, conviene ascoltare i poeti. L'immagine tenera e
potente di questi due corpi trova riscontro solo nelle elegie scolpite sui
monumenti funerari.
Uno per tutti, l'epigrafe che Elia Filete dedica al marito Lucio Vafrio
Clemente, veterano della decima coorte pretoriana (Museo Archeologico Nazionale
di Sarsina, Forlì-Cesena).
Salve cari mihi coniunx / dilecta propago / condite perpetuis tumulis / sine
lucis hiatu. / Defleo te puto nec satis est / decerpere crinis / nunc neque te
video nec /amor satiatur amantis / deflent et gemini genito/ris imagine capti /
et coniunx misera / finem deposco dolori.
Addio mio caro marito /figlio diletto /seppellite in tumuli eterni / in
voragini senza luce. / Ti piango e penso che non sia sufficiente / strapparsi i
capelli / adesso che non ti posso più vedere / e l’amore non si sazia più
dell’amante / e piangono i bambini / catturati dall’immagine paterna / e misera
moglie / vorrei porre fine al mio dolore.
"L'archeologia riserva spesso delle sorprese -commenta Donato Labate che ha
scavato questa sepoltura. Più raro che una scoperta possa fornire sentimenti di
umana tenerezza, come il ritrovamento di questa coppia che s'è tenuta per mano
per molti secoli."
Finché morte non vi separi, si è sempre detto. In questo caso a separarli
è stato un 'crudele' archeologo.
"Personalmente
dissento dall'opinione di Natalia Aspesi che ha detto che “l'amore eterno non esiste,
è solo un'invenzione degli uomini, magari lei lo guarda solo per strozzarlo”
(Gazzetta di Modena, 14 ottobre 2011, pag. 17,
clicca qui per leggere gli articoli, PDF). Secondo me -conclude Labate- è possibile,
e lo è sempre stato, trovare l'amore di una vita intera, così come
è possibile alimentarlo giorno dopo giorno, con semplicità e
complicità, fino alla fine dell'esistenza."
Non sono rare in archeologia le sepolture multiple, soprattutto nel periodo
tardoantico. Ciò che è straordinario, almeno per l'Emilia-Romagna, è la
posizione in cui sono stati deposti i due corpi.
Nel
2007 ha fatto il giro del mondo l'immagine dei cosiddetti "Amanti di Mantova":
due scheletri risalenti al Neolitico, due giovani di sesso diverso, un
uomo e una donna, fra i 18 e i 20 anni, a sinistra il maschio, a destra la
femmina, perfettamente conservati e teneramente tumulati faccia a faccia,
praticamente avvinghiati. Un abbraccio lungo sei millenni, una scoperta
emozionante che ha catapultato gli archeologi agli albori dell'umanità. La
misteriosa sepoltura era venuta alla luce a Valdaro, tra le nebbie della
campagna di San Giorgio, alle porte della città ducale, durante lavori di
bonifica archeologica sui resti di una immensa villa rustica romana del I secolo
dopo Cristo.
Aggiornamento 28/10/2011 (Luca Mercuri e Donato Labate, archeologi)
Nell'ultimo mese (ottobre 2011) è iniziato lo studio interdisciplinare della
sepoltura dei due "amanti". In particolare gli antropologi si sono concentrati
nell'indagare i resti scheletrici mentre gli archeologici si sono soffermati sul
significato della scoperta fornendo le prime linee interpretative.
Questi studi hanno iniziato a produrre le prime suggestioni e i primi risultati
preliminari.
a) uno dei due scheletri ha il palmo rivolto verso l'alto, l'altro verso
il basso: parrebbe quindi che i due si tenessero effettivamente
per mano in senso proprio e che siano stati sepolti contemporaneamente
b) l'anello appartiene a una mano maschile: si tratta di un monile in bronzo
e in quanto tale serviva a qualificare chi lo portava come cives romanus
c) lo scheletro maschile tiene con la mano sinistra la mano destra dell'altro;
questo
costituisce una peculiarità perché “fotografia” un momento intimo, del tutto
privato. Analogamente si nota come non si sia scelto un gesto ufficiale, come la
dextrarum iunctio (l'unione delle mani destre di sposo e sposa come
rievocazione del rito nuziale), bensì un gesto del tutto “quotidiano”, a
suggerire la dimensione privata delle ragioni che hanno portato a questa
peculiare doppia deposizione
d) le sepolture bisome (doppie) sono di per sé piuttosto rare, rarissime quelle
col chiaro intento di traslare oltre la morte uno stretto rapporto sentimentale,
inesistenti –e di fatto senza precedenti, a quanto se ne sa finora- quelle
con i due "amanti" che si tengono per mano
E' nota la tomba di Valdaro di Mantova, di epoca neolitica, con gli amanti
stretti in un abbraccio, seguita dopo un anno da un'analoga scoperta, di epoca
ancora più antica, presso Diyarbakir, nella Turchia sudorientale. Questi
antichissimi corpi congiunti sembrano quasi evocare i futuri abbracci dei
famosissimi sarcofagi bisomi etruschi, vulcenti in particolare, con lo sposo che
avvolge col suo braccio le spalle della sposa.
La nostra sepoltura offre tuttavia un'immagine a quanto pare inedita, con la
rappresentazione non dell'abbraccio ma del prendersi per mano, un gesto intimo,
quotidiano, di non rilevanza pubblica, che rende la scoperta eccezionale.
Forse
l'accertamento della causa di morte potrà spiegarci le ragioni di questa
suggestiva anomalia.
Aggiornamento 08/11/2011 (Carla Conti)
La suggestiva sepoltura ormai nota come "Tomba degli Amanti", oltre
all'interesse della comunità scientifica internazionale, è diventata fonte
d'ispirazione letteraria.
Lunedì 7 novembre 2011 si è tenuto a Carpi di Modena un consesso di poeti che
hanno presentato alcuni componimenti. Erano presenti anche l'archeologo della
Soprintendenza Donato Labate e l'antropologa Vania Milani che hanno trovato
particolarmente significativo questo epitaffio per gli amanti di Modena, scritto
da Giampaolo Papi
A ciascun amante s'inchini il Tempo
Sappia di voi la memoria del mondo
Figli dell'assoluto, Amore e Morte
Spiegel Online, 31.10.2011
Le Matin, 05.11.2011
Aggiornamento 10 febbraio 2014 (Carla Conti)
La coppia di “amanti” di età tardo antica che ha emozionato il mondo intero
si trasferisce nelle sale del Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena.
Dopo la mostra “Mano nella mano. Reperti di un amore oltre la morte”,
la celebre tomba di un uomo e di una donna quasi trentenni, sepolti 1500 anni fa
insieme con le mani congiunte, è stata spostata nella sede definitiva al terzo
piano del Palazzo dei Musei, tra le raccolte archeologiche.
Info:
Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena
Palazzo dei Musei - Largo Porta S. Agostino 337, Modena
orari di apertura: da lunedì a venerdì 9-12; sabato, domenica e festivi 10-13 e
16-19.
Ingresso gratuito.
www.comune.modena.it/museoarcheologico