Tra i mesi di maggio e giugno 2006, in un cantiere edile a Baggiovara di Modena, si è svolto uno scavo archeologico diretto dal dott. Donato Labate dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e coordinato dalla dott.ssa Cristina Palazzini di Archeosistemi. Lo scavo è stato possibile grazie al contributo della società immobiliare GARDEN s.r.l. che, tramite il presidente Rosaria Marazzi, ha anche assicurato la disponibilità a finanziare la pubblicazione sugli esiti della ricerca.
Le indagini archeologiche hanno portato alla luce i resti di un antico sepolcreto costituito da 17 sepolture ad inumazione databili, sulla base di alcuni oggetti rinvenuti nelle tombe, tra il tardo antico e l’inizio del medioevo cioè tra il VI e il VII secolo d.C. La vicinanza di un rustico di età romana (che sulla base dei reperti rinvenuti è stato datato dall’età repubblicana al tardo antico, dunque dal II sec.a.C. al VI sec. d.C.) rende verosimile l'ipotesi che il sepolcreto ne abbia ospitato i defunti perlomeno nell'ultima fase di utilizzo. Il rustico di età romana, segnalato agli inizi degli anni ’90 da Ivan Zaccarelli, è stato oggetto di alcune indagini archeologiche preventive condotte dalla dott.ssa
Silvia Pellegrini del Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena.
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L’area sepolcrale, estesa in lunghezza per 60 metri e larga circa 15, si sviluppa da Nord a Sud pressoché parallela alla via Giardini. Le sepolture, deposte secondo il rito dell’inumazione ed in posizione supina, risultano tutte orientate da est a ovest anche se il capo è indifferentemente posto sia a oriente che a occidente, con un leggero disassamento verso N-E e S-W. Otto sepolture sono in fossa semplice, cinque in cappuccina di tegole, due in cassetta di mattoni, una su letto di tegole ed una coperta da una tegola (per vedere altre immagini clicca qui)
Tre inumazioni appartengono a bambini in età neonatale, di cui due (Tomba 7 e 8) deposti all’interno di una piccola "cappuccina" (il corpicino, appena distinguibile, è posto su una tegola in piano e poi racchiuso da altre due tegole disposte a doppio spiovente) e il terzo (Tomba 19) in una cassetta di mattoni. I corpi dei tre neonati sono orientati con il capo ad est e i piedi ad ovest e le tre sepolture sono prive di corredo;
il cadaverino della Tomba 8 è "corredato" da alcuni rospi apparentemente decapitati.
Altri tre bambini (Tomba 14, 16 e 18) sono deposti in fossa semplice, due con lo stesso orientamento dei neonati e il terzo con capo a ovest e piedi ad est.
Di particolare rilievo è lo scavo di una fossa contenente due "cappuccine" affiancate (Tomba 1 e 3). Anche in questo caso ciascun inumato giace su un letto di tre tegole affiancate coperto da altre tre coppie di tegole a doppio spiovente; a chiusura delle testate sono poste altre due tegole di taglio. L’analisi degli scheletri effettuata da un antropologo all’Università di Modena, ha permesso di identificare nel defunto della Tomba 1 una giovane donna adulta e in quello della Tomba 3 una giovane ragazza tra i 12 e i 15 anni. Entrambi i corpi presentano il capo a ovest e i piedi ad est; tra la mandibola e la clavicola sinistra della giovane donna è stato rinvenuto un pettine in osso a doppia dentatura, probabilmente fissato ai capelli al momento della sepoltura.
Le antropologhe esaminano lo scheletro della Tomba 15
A fianco di questa sepoltura doppia si trova un terzo inumato (Tomba 5) che, date le dimensioni, si configura come un uomo adulto; il corpo è orientato come quello delle due donne precedenti ma è deposto in fossa semplice e la sepoltura è priva di corredo. Le Tombe 10 e 15 appartengono a due adulti, orientati con capo a W e piedi ad E: il primo è deposto su un letto di tegole mentre il secondo giace in una fossa semplice coperta, limitatamente alla parte superiore del corpo, da una tegola in orizzontale. Nella Tomba 17 era deposto, in fossa semplice, con capo a E e piedi ad W, un giovane che conserva al polso sinistro un sottile braccialetto di bronzo. Altre tre sepolture (Tomba 11, 12 e 13) sono tutte orientate con capo a est e piedi ad ovest. Della Tomba 12 sono stati messi in luce solo gli arti inferiori poiché il resto della fossa prosegue oltre il limite di scavo mentre gli inumati delle Tombe 11 e 13 presentano singolari “lacune anatomiche”: il primo è privo della parte inferiore della gamba sinistra mentre al secondo mancano entrambi i piedi ed addirittura il cranio. Secondo l'antropologa Francesca Bertoldi dell'Università Cà Foscari di Venezia, che sta studiando quest'ultima tomba, si tratterebbe di una donna di poco più di trent'anni mutilata post mortem, in un lasso di tempo verosimilmente molto limitato dal momento della sepoltura: molto probabilmente un macabro rito legato alle antiche credenze sulla paura del ritorno dei morti “revenants”. (nda: solo indagini antropologiche più approfondite hanno chiarito che lo scheletro -inizialmente creduto maschile- era in realtà di una defunta di sesso femminile)
Tomba 13 - Lo scheletro acefalo e privo di piedi e del braccio destro
Nell’area della necropoli sono emersi anche i resti di altre strutture di età romana (focolari rituali, buche di palo, fosse di scarico, piccoli fossati e un paleoalveo colmato in età romana) e dell’età del ferro (buche di palo, fosse d’alberi e una grande buca delimitata da buche di palo). Lo scavo dell’età del ferro, indagato sotto la direzione scientifica della dott.ssa Daniela Locatelli di questa Soprintendenza, ha restituito anche diversi manufatti etruschi di datazione ascrivibile tra la fine del VII ed il VI sec.a.C. Tutti i reperti sono stati trasportati presso il Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena.
Revenants e paura dei morti
Forme di culto, credenze popolari, superstizioni e folklore, il senso
del sacro, il rispetto per i defunti che i vivi manifestano attraverso i
vari rituali, esprimono non solo la venerazione ma anche il timore verso
forze o entità sopraumane. Tra questi timori, la paura del “ritorno” dei
morti, della negatività che può emanare dallo spirito inquieto, è stata
demonizzata con pratiche che miravano a salvaguardare i vivi, pratiche le
cui tracce giungono fino a noi. Sono le cosiddette "sepolture anomale",
deposizioni non convenzionali capaci di porre nuovi quesiti e aprire nuove
finestre su scenari imprevisti e sconosciuti.
La rivista "Pagani e Cristiani. Forme
ed attestazioni di religiosità del mondo antico in Emilia", curata dal
Museo Civico
Archeologico di Castelfranco Emilia, ha pubblicato negli ultimi sette
anni diversi articoli sui Revenants e la paura dei morti.
Nel riportare una sintesi di questi interventi, vi rimandiamo ai relativi
articoli degli archeologi
Luca Cesari
e Pierangelo Pancaldi.
Non possiamo che ammirare l’ingegnosità dei nostri antenati (nemmeno
troppo remoti) nell'escogitare sistemi per respingere o prevenire i
cosiddetti “revenants”, letteralmente “coloro che ritornano”.
Legature, decapitazioni e mutilazioni varie
(soprattutto degli arti, per prevenire mobilità e contatto),
sepoltura prona, parziale cremazione, appesantimento del corpo con grossi
blocchi di pietra, orientamento e posizione della tomba diversi, luoghi
speciali per la sepoltura, paletti di legno attraverso il corpo, amuleti
inseriti nella tomba, chiodatura del cranio e delle ossa.
Tutte pratiche che, ancorché poco ortodosse per i nostri costumi attuali,
sembrano rientrare nel concetto per cui bisognava in qualche modo scoraggiare o
prevenire un eventuale ritorno fisico del defunto nella società dei vivi.
Resta aperto il problema su quali fossero le cause che favorivano la comparsa di
queste entità maligne, come venissero riconosciute e in che modo venissero
trattare per far cessare le loro azioni.
La nascita di un revenant poteva
avvenire per cause diverse. Per predisposizione individuale, come nel caso di
persone socialmente indesiderate, malfattori, stregoni o di religione diversa da
quella comunemente praticata; per predestinazione, come i nati in certi periodi
dell’anno, malformati o con la “camicia rossa” cioè il volto coperto dalla
membrana amniotica, caratteristiche che candidavano al ritorno dall’aldilà; per
le particolari azioni compiute in vita o per le cause della morte, specialmente
se repentina, violenta o suicida; infine per essere stato morso da un revenant
divenendolo esso stesso, tema caro alla fiction piuttosto che alla storia visto
che nei racconti folklorici non esiste la figura del vampiro che crea stuoli di
fedeli sudditi semplicemente succhiando loro il sangue.
Al momento del trapasso, su queste persone vengono attuate una serie di
strategie atte ad impedire il ritorno dall’aldilà: deposizione nella tomba di
particolari oggetti con funzione apotropaica, sepoltura non canonica (inumazione
del cadavere legato o in posizione prona), manomissione del corpo con inserzione
di oggetti appuntiti e amputazioni di vario tipo, distruzione completa del
cadavere tramite cremazione.
Ma a volte il revenant si manifesta a scoppio ritardato, denunciato da
una serie di eventi soprannaturali o inspiegabili che possono essere attribuiti
solo a un’entità malvagia. In questi casi i cadaveri dei sospetti vengono
riesumati e poiché, a causa della decomposizione in atto, i loro corpi
presentano tutti i segni dell’attività tipica dei non-morti (membra flessibili,
bocca aperta, denti scoperti, gonfiori al ventre causati dai gas della
putrefazione), su di essi si pongono in essere tutta una serie di strategie
letali, molteplici e di varia natura. Gran parte di questi riti non lascia
tracce a livello archeologico: estrarre il cuore e bruciarlo, percuotere le
membra, deporre spine, rovi, reti da pesca nella tomba sono quasi impossibili da
determinare ma anche il rimedio più celebre, trapassare il cuore con un paletto
di legno, può risultare invisibile se non viene sfondato lo sterno del cadavere.
Talora invece, di queste pratiche resta traccia sui reperti ossei. Per
assicurare l’effetto mortale dell’intervento, all’azione magico-religiosa si
associa spesso l’azione meccanica che avrebbe avuto efficacia anche su un corpo
vivo. Gli oggetti taglienti o appuntiti sono sempre efficaci per fermare un
revenant, sia che vengano deposti accanto al corpo, o conficcati sul sepolcro o
utilizzati per infliggere ferite o amputazioni sul cadavere stesso. La
disarticolazione o il taglio dei piedi impedisce di tornare a camminare, la
sepoltura a faccia in giù impedisce al morto di farsi strada verso la
superficie.