L’antropologa Francesca Bertoldi dell’Università Cà Foscari di Venezia, che ha esaminato lo scheletro, ha accertato che si tratta di mutilazioni post mortem, avvenute verosimilmente in un lasso di tempo immediatamente successivo alla sepoltura. Si tratterebbe dunque di un macabro rito probabilmente legato alle antiche credenze sulla paura del ritorno dei morti, i “revenants”, letteralmente “coloro che ritornano”. Da sempre i nostri antenati hanno escogitato sistemi per respingere -o evitare l’insorgere- di un ritorno dei defunti in questa vita. Il timore che potessero rientrare dall’aldilà per rivendicare le proprie prerogative (beni, status sociale, affetti famigliari, cariche politiche e religiose) ha dato vita ad ingegnose contromisure di cui esistono esempi in numerose culture del mondo anche in tempi non lontani. Pratiche analoghe erano già emerse in alcune tombe di tarda età romana trovate a Casalecchio di Reno, nei pressi di Bologna: è però la prima volta che sono attestate nel modenese.
Le indagini archeologiche, condotte tra maggio e
giugno da Cristina Palazzini di Archeosistemi sotto la direzione scientifica di
Donato Labate della Soprintendenza per
i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, hanno portato in luce un piccolo
sepolcreto che, sulla base dei pochi oggetti rinvenuti nelle tombe, è stato
datato tra il tardo antico e l’inizio del medioevo (tra il VI e il VII secolo
d.C.). La vicinanza di un rustico di età romana, risalente all’età repubblicana
(II sec.a.C.) ma attivo fino al VI secolo d.C., fa supporre che si tratti del
cimitero dei suoi ultimi abitanti.
L’analisi dei resti ha accertato che le tombe sono riferibili a tre neonati, tre
bambini ed 11 adulti. Tutte le sepolture sono
orientate da est ad ovest così come i corpi, deposti in semplici fosse, in
alcuni casi rivestite da laterizi. Solo due tombe hanno
restituito elementi di corredo, un pettine in osso ed un braccialetto in bronzo.
Nell’area della necropoli sono emersi anche i resti di altre strutture di età
romana (focolari rituali, buche di palo, fosse di scarico, piccoli fossati e un
paleoalveo colmato in età romana) e dell’età del ferro (buche di palo, fosse
d’alberi e una grande buca delimitata da buche di palo). Lo scavo dell’età del
ferro, diretto dall'archeologa della soprintendenza Daniela Locatelli, ha restituito anche diversi manufatti etruschi di datazione ascrivibile
tra la fine del VII ed il VI sec.a.C.
Tutti i reperti sono stati trasportati al Museo
Civico Archeologico Etnologico di Modena. Lo scavo è stato finanziato dalla
GARDEN s.r.l. che ha assicurato, tramite il presedente Rosaria Marazzi, la
disponibilità a finanziare la pubblicazione sugli esiti della ricerca.