Crevalcore (BO) - Un vetro dorato di straordinaria fattura e la martire Santa Deodata

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Crevalcore, località Bolognina (BO)

Il vetro dorato paleocristiano e la reliquia di Santa Deodata

alla reliquia è stata dedicata la giornata di studi
"Un tesoro di fede al Castello dei Ronchi"
sabato 28 aprile 2012
Castello dei Ronchi, via Argini Nord 3277/B in località Bolognina di Crevalcore (BO)

Nell'agosto 2007, durante un'operazione di manutenzione conservativa, fu rinvenuto un fondo di coppa in vetro a figure d’oro. Il prezioso reperto era chiuso all’interno di un reliquiario del XVII secolo, costituito da una bacheca in legno e vetro, custodito nella Chiesa dei Ronchi, in località Bolognina di Crevalcore, di proprietà del Comune di Crevalcore che nel 1985 aveva acquistato il complesso, comprendente anche l’attiguo Castello dei Ronchi, dalla Famiglia Caprara.
Il fondo di coppa, di fattura assai accurata, costituisce una testimonianza archeologica di eccezionale interesse non solo dal punto di vista  tecnico, iconografico e storico, ma anche in rapporto al contesto di ritrovamento, vale a dire le reliquie di una santa coeva.
Il reperto è databile entro il IV secolo, datazione supportata sia dall’iconografia dei santi rappresentati, che dal tipo di iscrizione augurale, caratterizzata dalla formula benaugurale “bevi e vivi” espressa in lingua greca latinizzata.

La bacheca, evidentemente manomessa, conteneva resti osteologici umani, accumulati alla rinfusa e mescolati a frammenti di tessuto e fiori finti in panno. Sulla fronte del teschio, il cartiglio “Corpus Sanctae Deodatae“ attribuiva i resti a Santa Deodata, martire del IV secolo.
Le analisi preliminari condotte sulle ossa della teca, pur necessitando di ulteriori approfondimenti, hanno consentito a Maria Giovanna Belcastro e alla sua equipe del Laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia Forense Università di Bologna di fornire alcuni dati. Il reliquiario conteneva resti ossei (cranio, vertebre, clavicola, costole, omero, patella, ossa del piede e scapole) di almeno tre individui, una donna di età compresa tra i 36 e 39 anni, più due individui rispettivamente di 15 e 9-10 anni di età.
Il cranio è stato abbondantemente ricostruito in cartapesta colorata al fine di tamponare le parti mancanti e rendere il più possibile al devoto l'immagine del volto della "santa". L'operazione di ricostruzione delle parti mancanti in cartapesta è quasi certamente contemporanea alla realizzazione del reliquiario, un dato che parrebbe confermato anche dalle analisi polliniche effettuate da Marco Marchesini (archeobotanico/palinologo della Soprintendenza) sul contenuto della teca, analisi che ricostruiscono un ambiente compatibile con quello del XVII secolo

L'enorme cura riservata al cranio denuncia una forte valenza devozionale, confermando al tempo stesso l'inganno percettivo tipico delle reliquie: la mandibola, ad esempio, è stata ricostruita utilizzando la costola di un bambino. L'analisi delle suture del cranio ha consentito di definire l'età del possessore, quella della glabella e del mastoide si è rivelata compatibile con un individuo di sesso femminile.

Il vetro dorato rinvenuto a Crevalcore appartiene a una classe di materiali prodotti tra il II e il  VI sec. d.C. ma caratterizzati da un’ampia diffusione soprattutto durante il III e il IV secolo, periodo in cui prevale la simbologia cristiana.
Questo tipo di manufatto era ottenuto racchiudendo fra due strati di vetro una sottilissima foglia d’oro, che veniva incisa per rendere i contorni e i particolari dei temi raffigurati. Coppe e bicchieri a basso piede decorati sul fondo in questo modo, venivano poi conservati solo nella porzione inferiore (come nel caso del manufatto di Crevalcore) e impiegati con una nuova funzione, spesso anche come segni distintivi delle sepolture, come dimostrano i numerosi rinvenimenti di oggetti di questo tipo affissi nella calce all’esterno dei loculi delle catacombe romane. Questa specifica forma di riutilizzo è l'unica che consenta di ricostruire il contesto di provenienza di questi reperti, quasi esclusivamente noti in collezioni prive di qualsiasi dato utile a definirne l'origine.
Come nella maggior parte delle attestazioni note, anche nel caso del vetro dorato di Crevalcore la rappresentazione occupa tutto il campo del medaglione che ha un diametro di cm 8,2: il tema (che riflette il mondo figurativo della pittura cimiteriale e dei sarcofagi) mostra due figure maschili, in tunica e pallio, sedute su due subsellia di altezza disuguale, rivolte l’una verso l’altra nell’atteggiamento caratteristico delle scene filosofiche dell’iconografia aulica pagana.
Il monogramma cristologico presente tra i due personaggi, formato dall’intreccio delle prime due lettere greche X e P di XPIΣTOΣ (Cristo, in greco), indica che l’unica vera dottrina di Fede è quella cristiana: a sinistra, infatti, con barba e fronte stempiata, è raffigurato Pietro, riconoscibile dall’accostamento al personaggio sulla destra, chiaramente identificabile (in virtù dell’iscrizione) con PAULUS, più che dall’iscrizione mutila di cui resta solo dalla S finale del nome.
Pietro ha il braccio destro proteso (distintivo delle scene di catechesi o di ricezione del rotolo della legge), mentre le braccia di Paolo sembrano unite in un atto difficilmente interpretabile a causa del deterioramento della foglia d’oro.
Entro la doppia cornice circolare è presente l’iscrizione [DI]GNIT[AS AM]ICORUM PIE ZESES (vanto degli amici, bevi e vivi!): l’invito al bere e alla vita, espresso in lingua greca latinizzata, trascende l’idea della felicità terrena (tipica delle formule benaugurali pagane) per aprirsi a un significato spirituale e al linguaggio funerario, in particolar modo al rito del refrigerium, il banchetto in onore dei defunti e dei martiri. Proprio in tal senso sembra interpretabile l’associazione del vetro dorato, databile al IV secolo, alle reliquie di una martire che, seguendo l’esempio di Cristo e analogamente a Pietro e Paolo, donando la propria vita per la causa della fede, ottiene l’onore di eliminare la frattura radicale della morte -una morte collocata in tal senso al centro della vita sociale- e viene reintegrata nella comunità degli esseri viventi grazie alla devozione e al culto dei fedeli, superando così uno dei maggiori tabù dell’antichità classica, in cui vivi e morti erano nettamente separati.
informazioni di Cinzia Cavallari (SBAER)

Al momento il prezioso reperto è conservato in cassaforte. Non è escluso che in futuro lo si possa esporre in un'apposita sezione museale all'interno del Museo Archeologico Ambientale, sede di Cravalcore (attualmente in fase di progettazione)

Da Deodata a Teodota
di Pierangelo Pancaldi
Scarse e controverse sono le notizie circa l’esistenza di una santa cristiana di nome Deodata, un nome del resto piuttosto comune nei primi secoli del Cristianesimo, indice di una decisa testimonianza di fede.
Fonti agiografiche assai discusse ricordano, tra i santi martiri, tali Fanzio e Deodata siracusani, pretesi genitori di S. Fantino il Vecchio il quale, ancora fanciullo, li avrebbe convinti a credere in Dio e ripudiare gli idoli pagani. Per questo l’intera famiglia sarebbe poi stata incarcerata e sottoposta a torture. Mentre però Fantino sarebbe stato salvato da un angelo (riuscendo infine a raggiungere la Calabria), i genitori avrebbero subito il martirio per decollazione. La commemorazione del fatto, avvenuto l’anno 303 (sotto gli imperatori Diocleziano e Massimiano), è tradizionalmente fissata al 24 luglio.
La critica recente, piuttosto severa, ritiene i nomi di questi genitori senza “alcun fondamento” in quanto invenzioni della tarda agiografia. Del resto S. Fantino (detto il Vecchio o “il Taumaturgo”) risulta di origini calabresi, nato a Tauriana (città della Calabria distrutta nel 951 da un’incursione saracena), dove visse tra la 2° metà del III e gli inizi del IV sec. d.C.
Tuttavia il nome di un’ipotetica santa Deodata di tanto in tanto sembra riaffiorare. La scoperta nelle vastissime catacombe di S. Giovanni, a Siracusa, di un arcosolio ornato di pitture e con una lunga iscrizione metrica celebrante una vergine di nome Deodata, ha alimentato la suggestione (condivisa anche da studiosi) circa l’esistenza di una martire o santa (diversa dunque dalla madre di Fantino) il cui sepolcro sarebbe divenuto un santuario riconosciuto dalla Chiesa Siracusana. Successive ricostruzioni del carme epigrafico hanno condotto a non leggervi più il suggestivo nome di Deodata; la tomba accoglierebbe quindi le spoglie di un’anonima vergine siracusana vissuta peraltro in epoca successiva alle persecuzioni anticristiane.
Nel cosiddetto “arcosolio di Deodata” la defunta è raffigurata a capo scoperto, nel solenne momento dell’incoronazione. Il Salvatore pone con la destra una corona sul capo della vergine, mentre tiene nella sinistra il rotolo del Vangelo. Ai lati del Salvatore sono dipinti gli Apostoli Pietro e Paolo mentre arbusti di rose rappresentano il Paradiso. Si tratta forse della stessa tomba dove, secondo una notizia raccolta sempre a Siracusa, nel 1634, tra le reliquie dei presunti martiri Fantino e Deodata furono trovate ampolle contenenti “sangue”.
La tradizione agiografica segnala un’altra santa Deodata, madre di Giovanni “Boccadoro” cioè S. Giovanni Crisostomo (344/7-407), Padre e dottore della Chiesa che in verità ebbe per madre Antusa. Piuttosto decisa la critica moderna: “madre e figlio sono personaggi fittizi che non hanno alcun rapporto con Giovanni Crisostomo e sua madre”, mancandone del resto “ogni traccia di culto”.
E’ bene ricordare invece che una serie di personalità femminili, sante e martiri dei primi secoli del Cristianesimo, reca il nome nella variante greca Theodota (Θεοδότη). Un Teodoto e una Teodota, santi martiri di Roma, sono menzionati insieme a Diomede, Eulampio, Asclepiade e Golindoch, tra i martiri giustiziati sotto Traiano (98-117 d.C.) e commemorati il 2 luglio.
Abbiamo poi una Teodota e i suoi tre figli, che subirono il rogo a Nicea, in Bitinia, nel IV sec. d.C. (2 agosto), mentre un’altra Teodota, anch’essa martirizzata a Nicea, è ricordata assieme a Socrate martire ad Ancira. Il racconto agiografico pone l’avvenimento sotto l’imperatore Alessandro Severo (222-235 d.C.) alla data del 23 ottobre. Anche in questo caso la critica esegetica è severa: “si tratta -scrive un commentatore- di un bell’esempio di passio epica da cui non si può trarre altro che il nome dei martiri”.
Teodeta è anche il nome della santa madre dei martiri Cosma e Damiano, vissuti nella prima metà del V sec. d.C. e sepolti a Ciro, presso Antiochia.
Infine ancora una Teodota martire è ricordata assieme ad Alessandro vescovo, Eraclio, Anna, Elisabetta e Glicerio. Sappiamo solo che Alessandro vescovo è commemorato nei Sinassari greci e nel Martirologio romano il 22 ottobre, senza indicazioni di tempo e di luogo.

  
A.C. 304. 31 Luglio. In Siracusa i SS. Fantio, e Deodata Marito, e Moglie Nobili Siracusani, e Martiri
Della cronologia universale della Sicilia - Libri tre Del padre Francesco Aprile della Compagnia di Gesù, Palermo 1725 (pag. 463)
fonte books Google


Confronti iconografici
- Vetro dorato del IV secolo con scena di Traditio legis (Città del Vaticano, Museo Sacro): Pietro riceve la legge, il mandato del governo della Chiesa da Cristo, al centro, e insieme a Paolo viene investito del compito della predicazione della parola divina ai fedeli provenienti dalle diverse confessioni del mondo (simboleggiate dalla scena nel registro inferiore con l’agnello mistico raffigurato tra le città turrite di Betlemme e di Gerusalemme)
- Vetro dorato del IV secolo con Pietro e Paolo seduti come filosofi (Città del Vaticano, Museo Sacro)
- Vetro dorato del IV secolo con i busti, ai lati del monogramma cristologico, di Pastore e Damaso e di Pietro e Paolo (Città del Vaticano, Museo Sacro)