From the origins to the Palazzo Ghetti - 25 centuries of history
Dalle origini del Borgo a Palazzo Ghetti - 25 secoli di storia
Via XX Settembre, 63
4923 Rimini ( RN )
Dal 24 giugno 2013 la sala espositiva è aperta solo su appuntamento: Tel. 0541 315811 - info@bancamalatestiana.it
Palazzo Ghetti è un complesso architettonico ottocentesco, posto all’interno di
quello che oggi è il Borgo di San Giovanni lungo l’attuale via XX Settembre, un
tempo via Flaminia.
Il palazzo, che ha un profondo legame con la storia e l’immaginario di Rimini,
ha ospitato per decenni la Fabbrica di Fiammiferi del Cav. Ghetti, di
fascinosa memoria.
La Banca Malatestiana si è dedicata con passione al suo rigoroso restauro
scientifico, nel tentativo di farne non solo la propria sede principale ma anche un punto di riferimento cittadino.
All'inizio voleva solo che tornasse ad essere quel che era quasi duecento anni
fa ma gli scavi nella corte dell’edificio hanno svelato un tesoro di reperti
archeologici stratificati in secoli di storia in parte inaspettato.
Conoscendo la delicatezza del contesto in cui si stava operando, la Banca decise
subito di coinvolgere le Soprintendenze competenti (Beni Archeologici
dell'Emilia-Romagna e Beni Architettonici e Paesaggistici di Ravenna), iniziando nel 2009
le indagini archeologiche estensive nelle due aree cortilizie.
Le ricerche portarono subito a risultati molto interessanti, mettendo in
luce i resti del quartiere medievale del Borgo di San Giovanni e le relative
opere di difesa. Con il prosieguo delle indagini, man mano che ci si abbassava
con gli scavi, vennero alla luce i resti di una necropoli romana dislocata lungo
la via Flaminia e sotto a questa i segni della prima occupazione dell’area da
parte dei Romani tra il III ed il II secolo a.C..
La Banca Malatestiana e la
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna hanno quindi deciso
di valorizzare tutte queste fasi e far conoscere meglio quanto ritrovato.
Ciò che oggi propongono con l'apertura al pubblico dell'area archeologica di
Palazzo Ghetti è una specie di viaggio nel tempo, realizzato attraverso una piccola
esposizione dei materiali rinvenuti, lungo un breve percorso conoscitivo all’interno delle aree cortilizie.
Per info e visite gratuite all’esposizione
tel. 0541315811 -
info@bancamalatestiana.it
Cenni storici
A fine Ottocento la “Fabbrica di zolfanelli solforici” conta oltre 350
dipendenti, per lo più donne.
Avviata da Nicola Ghetti nel 1837, trova sede definitiva nel 1857 in questo
edificio progettato da Giovanni Benedettini e comprendente anche un’ala
residenziale. In origine esisteva anche un attico con terrazzo verso Via XX
Settembre, torretta e lanterna superiore. La fabbrica è considerata
all’avanguardia ma, morto Nicola Ghetti nel 1883, va in decadenza e chiude nel
1908.
Il complesso viene convertito in appartamenti e botteghe.
Nel 2000 il Comune di Rimini sistema ad uffici la sola ala residenziale.
Nel 2005 Banca Malatestiana acquista all’asta il palazzo per farne la propria
sede, su progetto di Cumo Mori Roversi Architetti.
Il restauro (2007-2013)
Il restauro ha rintracciato e replicato le finiture esterne originarie,
riportando alla luce i dipinti dello scalone.
Sotto la corte un nuovo interrato ospita gli impianti: lo scavo ha comportato
un’indagine archeologica diretta dalla Soprintendenza Archeologica ed estesa
allo scoperto lato monte.
Il progetto, autorizzato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e
Paesaggistici, prevedeva il consolidamento strutturale, il recupero della
spazialità originaria e nuove partizioni interne a secco, che non arrivassero a
solai e coperture, consentendone la completa visione.
Lo scavo archeologico
Tra
il 2009 e il 2010, in due aree cortilizie di Palazzo Ghetti, è stato condotto
uno scavo archeologico sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i
Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna.
Le indagini hanno permesso di riconoscere attività legate alla produzione di
fiammiferi della fabbrica ottocentesca. A un metro di profondità sono state poi
portate alla luce alcune strutture medioevali del Borgo San Genesio (oggi San
Giovanni). Case, botteghe, magazzini, che si aprivano su una strada, cortili con
scarichi ricchi di materiali, hanno permesso di guardare su uno spaccato della
vita quotidiana della Rimini malatestiana tra il XIV e XV secolo.
Il Borgo fu costruito al di sopra di un una necropoli romana risalente al III-IV
sec. d.C. distribuita lungo la via Flaminia (oggi via XX Settembre), strada
consolare che dall’arco di Augusto si dirigeva verso Roma. Infine, sotto a vari
livelli di terreno, sono emersi fossi di bonifica del territorio, realizzati dai
Romani a partire dalla metà del III secolo a.C.
I fossi riempiti di terreno, hanno restituito vasellame e altri reperti
importanti per la storia di Rimini.
Alle origini del Borgo
Con la fondazione della colonia di Ariminum nel 268 a.C. i Romani
iniziarono a bonificare e dividere il territorio con il sistema della
Centuriazione, ovvero la realizzazione di un sistema di strade con canali e
fossati orientati secondo i punti cardinali o secondo l’andamento del terreno e
di corsi d’acqua A questo periodo risale il fossato con orientamento nord-sud
rinvenuto nello scavo del grande cortile di Palazzo Ghetti, allineato con il
cardine massimo della città (l’odierna via Garibaldi e via IV Novembre); verso
meridione Il fossato aumentava di larghezza e profondità, forse per favorire la
raccolta delle acque. Rimasto in uso almeno fino al I secolo a.C., venne chiuso
con terreno misto a numerosi frammenti di ceramica a vernice nera di III-II
secolo a.C. (con alcuni elementi probabilmente anche di IV sec. a.C.)
tra cui piatti, lucerne, vasetti, alcuni con lettere incise; numerosi anche
frammenti di pavimentazione forse pertinenti a vasche in muratura. Elementi
distanziatori per la produzione di ceramica e grandi blocchi di terreno di
concotto rinvenuti nel riempimento del fossato, fanno supporre la presenza nelle
vicinanze di un impianto produttivo per ceramica. Di notevole interesse sono due
elementi in terracotta: un’arula in ceramica dipinta, ovvero un piccolo altare
domestico in cui è raffigurato un bovino e un’antefissa con una figura femminile
alata. Insieme a questi materiali sono state rinvenute varie monete, frammenti
di anfore, laterizi e metalli, in particolare una fibula di epoca romana
elaborata su modelli celtici. Al fossato colmato si sostituirono e forse si
legarono alcuni solchi di modeste dimensioni riconducibili probabilmente alla
coltivazione dei campi.
La
necropoli e il pozzo
Tra il I e il III secolo d.C. il piano di campagna si alzò gradualmente
e una serie di piccoli solchi nel terreno e residui di fuochi fanno pensare ad
attività legate all’agricoltura.
Successivamente, in età medio-imperiale, tra III-IV secolo d.C., l’area viene
occupata marginalmente da una serie di sepolture
riconducibili probabilmente al settore marginale della necropoli che si
sviluppava lungo la via Flaminia, caratterizzata in molti casi da sepolture
monumentali; le tombe rinvenute in scavo erano di modesta fattura con cassa
formata da tegole, al cui interno era deposto il defunto secondo il rito
dell’inumazione.
Nel corso dello scavo è stato individuato inoltre un pozzo, forse con camicia in
ciottoli di fiume; nel riempimento interno costituito da terra mista a laterizi
sono stati recuperati il collo di un’anfora e una brocca intera.
L’area continuò ad essere utilizzata come luogo di seppellimento probabilmente
fino al V-VI secolo d.C., come documentato da alcune monete rinvenute
all’interno di alcune sepolture; un'ipotesi suggestiva, anche se da verificare,
potrebbe mettere in relazione queste sepolture con la vicina chiesa
altomedievale di Santo Stefano che nei secoli divenne l’odierna San Giovanni
Battista.
Approfondimenti
La centuriazione romana in Emilia
Era prassi usuale, in epoca romana repubblicana e proto-imperiale, nel
caso che venisse occupato un nuovo territorio, assegnarne le terre a coloni. Le
aree venivano centuriate, cioè divise in settori regolari, le centurie,
quadrati, con strade rettilinee e incroci ad angolo retto, in cui venivano
ricavati i singoli appezzamenti. Il procedimento era standardizzato, realizzato
da specialisti che utilizzavano strumenti che permettevano l’esatta
individuazione dei punti cardinali, le “grome”.
In Emilia sono presenti centuriazioni fatte in tempi diversi: la più antica,
nell’area di Rimini e Cesena, è “secundum coelum” cioè le sue
strade sono orientate esattamente secondo i punti cardinali; il restante
territorio è orientato “ secundum naturam”, segue cioè la pendenza del
terreno verso il Po e ha come base il percorso della via Emilia. Ogni colono
aveva in dotazione un appezzamento da coltivare in cui era costruita
l’abitazione con stalla, magazzini e impianti produttivi diversi, come il “torcularium”,
la pressa per il vino; alcune di queste abitazioni, le ville rustiche, possono
essere di notevole livello architettonico, con una parte variamente decorata
riservata al proprietario, presente solo saltuariamente, e quella per un
fattore, oltre agli alloggi per il personale servile.
La ceramica a vernice nera a Rimini
La prima ceramica fine, da mensa, prodotta dalle fornaci del Riminese
fin dal III sec. a.C. (in pratica immediatamente dopo la fondazione di
Ariminum) appartiene alla tipologia detta “a vernice nera”, derivata da
modelli greci di epoca ellenistica. Caratterizzate da un copertura nera più o
meno lucida, ottenuta mediante una cottura a riduzione di ossigeno, le forme
sono molto semplici e di dimensioni medie e piccole: coppe, ciotole, piattelli e
bicchieri destinati all’utilizzo sulla tavola in pranzi e banchetti. Solo i tipi
più antichi presentano a volte semplici motivi suddipinti in bianco e giallo,
che imitano le decorazioni vegetali tipiche della produzione apula.
Sono state anche rinvenute ciotole e coppe con iscrizioni incise o dipinte,
interpretate come oggetti votivi: è opinione condivisa che i pezzi con una
grande H fossero dedicati a Heracles, Ercole. Relativamente diffusa è la
decorazione a stampiglie impresse con palmette; tipico della produzione riminese
è un motivo a fiore multipetalo, una grande rosetta. Nella prima epoca imperiale
questa produzione viene progressivamente sostituita da quella a vernice rossa,
la cosiddetta “terra sigillata”, con forme sia lisce che decorate in rilievo.
Le fibule
Le vesti greche e romane di solito non presentavano cuciture: erano
formate da teli di diverse dimensioni e variamente drappeggiate sul corpo,
secondo i dettami della moda. La loro stabilità era assicurata da cinture e,
soprattutto, dalle “fibule”, spille con ago appuntito e parte superiore, l’
arco, variamente decorata.
Nell’abbigliamento maschile, la toga non doveva avere elementi di fissaggio: la
fibula veniva usata soprattutto per tenere fissato il mantello e veniva
posizionata di solito sulla spalla destra, con la molla verso il basso. I
vestiti femminili prevedevano invece l’uso di un grande numero di fibule che
sagomavano la scollatura e permettevano di formare le maniche, più o meno
chiuse.
La fibula diventa quindi un oggetto di ornamento, un vero e proprio gioiello
anche in metallo prezioso, ornato da rilievi e da inclusi spesso a smalto come,
ad esempio, nelle fibule della Gallia.
Le fibule presentano tipologie molto variate, caratteristiche della zona in cui
sono state prodotte, il che permette di riconoscerne i percorsi commerciali e di
ipotizzare la provenienza del proprietario. Sono molto diffuse le fibule
militari, usate cioè dai soldati, e facenti parte della loro divisa o
dell’abbigliamento di fatica: alcune recano anche i simboli delle legioni di
appartenenza.
Necropoli e riti di sepoltura
Le tombe di età romana, in base a una legge risalente all'epoca regia, non
potevano essere entro le mura cittadine. I cimiteri erano quindi
realizzati sempre fuori città, prevalentemente lungo gli assi stradali sui bordi
dei quali si allineavano monumenti funerari e stele, cioè le lapidi con nome e
attributi dei defunti: i Romani ritenevano infatti che, per mantenere la
vitalità dello spirito dei morti, fosse necessario ricordarli, citarne il nome e
eseguire in loro ricordo riti specifici. Si riteneva che gli antenati
proteggessero la loro famiglia e fosse quindi dovere fondamentale dei loro
discendenti garantirne la memoria. C’erano anche festività particolari, i “parentalia”,
con banchetti in area cimiteriale ai quali partecipavano gli spiriti dei
defunti.
Le sepolture più imponenti e più antiche erano poste in prossimità della strada
mentre quelle più semplici o povere erano in campi spesso assegnati a
confraternite.
Il rito funerario poteva essere ad incinerazione o ad inumazione. Per
l’incinerazione, il defunto veniva bruciato su un rogo con le offerte funebri; i
residui delle ossa venivano poi raccolti e deposti in un ossuario, in pietra o
vetro, oppure in un’urna in terracotta, sepolti o conservati entro il monumento
funerario. L’inumazione, cioè il seppellimento del defunto, diventa prevalente
in epoca imperiale: il corpo, messo in una bara o avvolto in un sudario, viene
deposto in una fossa semplice o in una cassa laterizia che si presenta di solito
“a cappuccina”, cioè coperta da tegole sistemate a doppio spiovente. Durante il
funerale e nei riti funebri venivano fatte libagioni e offerte per il morto che
si riteneva ne potesse usufruire: in alcune tombe è stato rinvenuto un tubo che
dal piano del cimitero raggiungeva direttamente lo scheletro, l’infundibulum.
La religione domestica: arule e larari
In tutte le case romane di epoca repubblicana e del primo Impero c’era
il larario, dedicato ai Lari e ai Penati, cioè alle divinità e ai geni
protettori dello stato e della famiglia. Nell’armadio collegato al larario le
famiglie nobili conservavano i ritratti degli antenati.
Il larario di solito era posizionato nell’atrio della casa. Aveva la forma di un
tempietto su alto podio; spesso aveva sulla parete interna la raffigurazione a
pittura di una divinità, o la dea Roma o il dio onorato dalla famiglia, e
conteneva al suo interno, le statuette dei due Lari, danzanti e libanti, del
genio del popolo romano in toga e degli dei preferiti, spesso Minerva, Venere o
Bacco. Le statuette, solitamente in bronzo ma anche in altri materiali, sono di
piccole dimensioni e riproducono tipologie usuali. Il culto dei Lari veniva
effettuato dal capofamiglia con riti giornalieri, con libagioni e offerte; di
fronte al larario era un piccolo altare sul quale era usuale porre offerte di
fiori o cibo oppure bruciare incenso e oli profumati.
A Rimini sono state rinvenute diverse “arule”, piccoli altari in terracotta con
il lato frontale decorato in rilievo con scene di carattere religioso o rituale,
spesso dipinte e databili in epoca repubblicana.
Ceramiche da cucina e anfore
Per la cucina, venivano usate ceramiche da fuoco e contenitori di forma
e materiale diversi a seconda del loro uso.
Le ceramiche da fuoco erano realizzate con argilla mista ad inclusi, in modo da
avere un impasto refrattario o almeno in grado di resistere ad un fuoco
indiretto; i contenitori di grandi dimensioni, come i paioli da appendere sul
focolare, di solito erano in metallo (rame, bronzo o ferro), così come pentole e
tegami, comuni anche in ceramica: in quest'ultimo caso, però, la cottura
avveniva mettendo il vaso, l’olla, sopra un treppiede sotto il quale era messa
la brace.
I contenitori generici, brocche e ciotole, erano in ceramica priva di
decorazioni. Per preparare i cibi era fondamentale anche il mortaio, in pietra o
in terracotta con il fondo irruvidito da inclusi. Contenitori di grandi
dimensioni, come i dolii, usati per immagazzinare cereali e legumi, erano
fabbricati da fornaci specializzate e spesso erano almeno in parte interrati.
Fra i contenitori di grandi dimensioni sono da includere anche le anfore,
utilizzate soprattutto per il trasporto di vino e olio. Ne esistono di diversa
tipologia, a seconda dell'area di produzione: in area riminese l’anfora più
diffusa in epoca imperiale è quella a fondo piatto, detta “tipo Forlimpopoli”
dal luogo in cui ne sono state trovate le fornaci, usata per il vino locale. In
epoca tardo imperiale sono diffusissime le anfore di produzione africana, usate
soprattutto per grano ed olio e riutilizzate, per le loro notevoli dimensioni,
anche come bare nelle tombe ad inumazione.
Brocche, ciotole e altri oggetti in ceramica rinvenuti negli scavi di Palazzo
Ghetti (© foto
Roberto Macrì, SBAER)
La genesi del Borgo
Nel XIII secolo questa parte di territorio fuori della città iniziava a
popolarsi e il monastero di San Gaudenzo attirava dalle campagne i contadini per
lavorare la terra sui propri possedimenti.
In quest’epoca il Comune aveva apprestato delle difese, come palizzate di legno,
fossati e terrapieni, segno dell’importanza economica e sociale che il nuovo
Borgo iniziava ad avere.
Con l’avvento della Signoria Malatestiana, tra XIV e XV secolo, Rimini conobbe
una fiorente stagione sia sotto il profilo economico sia edilizio; dalle
compagne continuavano ad arrivare nuove persone, che si stabilivano in città
diventando artigiani o bottegai e le grandi vie di comunicazione facevano
prosperare i commerci. Si sviluppava così il Borgo di San Genesio con nuclei di
case esterne alle mura che sostituirono i campi agricoli. Si hanno notizie della
presenza di nuove fortificazioni in muratura fin dal XIV secolo: il Borgo era
chiuso verso sud dalla porta di San Genesio, posta a circa 300 metri dall’Arco
d’Augusto che difendeva la via Flaminia e l’accesso al Borgo collegandosi alla
vecchia palizzata in legno. Verso la città invece venne eretta la porta di San
Bartolo, a guardia del ponte sul fiume Ausa. Nel corso del XIV secolo, con
l’aumentare della popolazione del Borgo e delle strutture abitative, legate
spesso ad attività artigianali, si iniziò a realizzare una nuova cinta in
muratura, terminata probabilmente alla metà del XV secolo, rinforzata da torri,
tra le quali spicca quella rinvenuta a Palazzo Ghetti, una torre con pianta
poligonale, riempita al suo interno con vari materiali per resistere meglio alle
armi da fuoco.
Dallo scavo archeologico alla città medievale
Durante le indagini archeologiche è stata ritrovata una strada e resti
di edifici con cortili e buche di scarico, relativi al Borgo nella sua fase di
XIV e XV secolo.
La strada, formata da ghiaie, ciottoli e altre gettate di materiali, conduceva
dalla via Flaminia verso le mura. Venne più volte rialzata, restaurata e
probabilmente ampliata verso la metà del XV secolo.
Da questa strada si sviluppava un vicolo più piccolo che si snodava tra le
abitazioni e le botteghe; ai suoi lati sono state rinvenute alcune strutture
relative al Borgo di San Genesio. Da un lato abbiamo delle case/bottega, divise
al piano terra in due ambienti: uno dedicato all’attività commerciale e
artigiana oppure adibito a magazzino o stalla, mentre l’altro, munito di
focolari in mattoni per la preparazione dei cibi, era il luogo in cui si
svolgeva la vita privata. Sul fianco le case/bottega erano munite di piccoli
cortili a volte corredati anche da fosse di scarico per i rifiuti domestici. Sul
lato opposto della strada, i resti parziali di un edificio con muri realizzati
con tecniche costruttive più accurate, fanno pensare al retro di una “casa a
corte” ovvero quegli edifici che avevano il loro ingresso direttamente sulla vie
principali (nel nostro caso la via Flaminia) . Legato a questa struttura era un
pozzetto per i rifiuti, riempito con scarichi domestici ed in particolare con
vasellame dipinto per servire cibi e bevande in tavola.
I materiali
Numerosi sono i materiali recuperati nel corso dello scavo che
permettono di comprendere la vita quotidiana del Borgo nel Medioevo. Nel
pozzetto della grande casa erano presenti in particolare tre oggetti in
ceramica: un boccale in zaffera a rilievo decorato con motivi floreali usato
sulle tavole per contenere acqua o vino; un catino “ingobbiato e graffito”,
utilizzato per portare i cibi in tavola; infine un orciolo invetriato di verde,
usato sia per la conservazione dei cibi che per il trasporto delle bevande. Vi
sono inoltre alcuni resti di paioli in ceramica, grandi pentole che venivano
poste sul fuoco, per preparare zuppe e stufati. Sulla strada sono stati
rinvenuti vari frammenti di ceramica riconducibili ai secoli XIV-XV, una serie
di oggetti in metallo tra cui alcune monete, che permettono di comprendere
meglio sia le attività artigianali del Borgo sia la provenienza dei viandanti.
Alcuni oggetti provenivano dai cortili delle case, in particolare alcuni chiodi
e un falcetto, legati alle attività quotidiane delle case, per la manutenzione
degli orti e le riparazioni degli edifici.
Le mura e la torre medioevale
Nel cortile esterno è emerso un tratto delle mura medievali erette
probabilmente a partire dal XIV secolo e completate nel XV secolo dal Signore
della città, Sigismondo Pandolfo Malatesta. La cinta muraria rinvenuta, che
dovette sostituire una precedente palizzata in legno con fossato, difendeva il
Borgo di San Genesio, sorto al di fuori della città, lungo la via Flaminia, asse
viario di grande transito su cui prospettavano botteghe artigiane e osterie. Le
mura costruite in mattoni, costituivano una struttura spessa circa un metro e
mezzo munita, nella parte superiore, di camminamento e merlature per proteggere
i soldati. Delle varie torri che rinforzavano le mura, di particolare interesse
è la torre rinvenuta: un grande torrione con base poligonale riempito
all’interno di materiali da costruzione per resistere ai colpi di arma da fuoco;
siamo di fronte ad una delle particolari sperimentazioni in architettura
militare tipiche di Sigismondo Pandolfo Malatesta che si distinse nel corso del
Rinascimento per i suoi studi nel campo dell’arte della guerra.
Approfondimenti
Ceramiche da mensa medievali e rinascimentali
Nell’alto medioevo, la mancanza di fornaci specializzate porta alla
scomparsa delle produzioni di lusso, ridotte solo alla ceramica “invetriata”,
coperta cioè da un sottile rivestimento in vetro verde o marrone, a volte con
motivi in rilievo, produzione che perdura molto a lungo.
Dopo l’anno Mille compare la ceramica “graffita”, coperta da un rivestimento, l’
ingobbio, in terra bianca in cui è incisa la decorazione che appare quindi nel
colore dell’argilla, colorata poi con ossidi metallici e rivestita
dall’invetriatura.
Solo successivamente, dopo il 1200, compare la maiolica: viene realizzato prima
il vaso in “biscotto”, cioè in semplice argilla cotta una prima volta; il vaso
viene poi rivestito con uno smalto bianco vetroso su cui viene dipinto il
motivo decorativo, quindi, messo il rivestimento definitivo, il vaso viene cotto
per la seconda volta ottenendo il caratteristico aspetto lucido. La cosiddetta
“maiolica arcaica” è decorata con verde in ossido di rame e nero di manganese;
successivamente compare il blu di cobalto, cui vengono aggiunti altri colori a
seconda dello sviluppo della tecnica.
Durante il Rinascimento è diffusa la ceramica “istoriata”, con dipinte scene
complesse, spesso derivate dalla grande pittura: in zona riminese sono presenti
soprattutto le produzioni di Faenza e di Urbino, quindi compariranno vasi
smaltati in bianco con piccole immagini in giallo e blu, il cosiddetto “stile
compendiario”.
Ceramiche da mensa medievali e rinascimentali rinvenute negli scavi di
Palazzo Ghetti (© foto
Roberto Macrì, SBAER)
Tipologie della casa medievale
Escludendo le abitazioni nobiliari, di tipo palaziale, e i castelli veri
e propri, che hanno soprattutto funzioni difensive, in epoca medioevale le case
della gente comune sembrano mostrare caratteristiche molto specifiche. Si devono
distinguere le semplici abitazioni dagli edifici destinati anche a laboratorio o
a bottega. Rari sono i privati proprietari di una casa, da considerare come veri
e propri possidenti agiati, mentre le abitazioni, di dimensioni molto piccole,
spesso sono dipendenti da conventi o associazioni che le danno in affitto o in
uso ai propri dipendenti. Di solito hanno un pianterreno dotato di
focolare, con muri in pietra o mattoni e un primo piano in legno usato per
dormire. La promiscuità era molto comune; quasi sempre c’era un piccolo cortile
posteriore, come è nelle case “a corte”.
I muri, a Rimini, hanno fondazioni in sassi o in frammenti laterizi e sono
realizzati solo raramente con mattoni nuovi: spesso presentano struttura “a
traliccio” cioè con supporti in legno che reggano i materiali eterogenei usati
per la costruzione.
Bottegai e artigiani lavoravano al pianterreno, quasi sempre in un ambiente
unico, o comune o separato dall’abitazione, spesso con una grande apertura in
facciata, sulla strada, dotata di un bancone per la vendita, in muratura o in
legno. I pavimenti al pianterreno sono spesso in terra battuta, con focolare in
pietra o in mattoni, quasi sempre riutilizzati; le divisioni fra i piani e le
scale sono sempre in legno mentre il tetto è in legno o in paglia, a volte
coperto da coppi o tegole, anche antichi.
Osterie e luoghi di riunione in genere erano di dimensioni maggiori, con una
sala comune, cucine, magazzini, stalle e spazi aperti a varia destinazione.
Tipologia delle fortificazioni
Mura e fortificazioni in genere presentano una evoluzione determinata
dallo sviluppo delle tecniche e dei mezzi d’assedio. Le difese più antiche e più
semplici sono formate da un semplice terrapieno con fossato esterno, a volte con
elementi di rinforzo, spesso dotato alla sommità di una palizzata in legno, di
spessore e altezza variabili; le necessarie porte hanno elementi di protezione
laterali, che si svilupperanno in torri, e ponti mobili per l’attraversamento
del fossato. Le necessità di difesa portano una comunità alla realizzazione di
vere e proprie mura, in materiale più resistente, pietra o mattone, spesso con
riempimento “a sacco”: le mura devono essere di buon spessore per reggere alla
sommità un camminamento, generalmente protetto da merli e con feritoie; i
torrioni, quadrati o poligonali, sono finalizzati a creare punti di difesa
particolari per il posizionamento di macchine da guerra.
L’invenzione delle armi da fuoco, soprattutto i cannoni, costringe a modificare
le tipologie difensive: vengono ora usati torrioni senza angoli che possano
essere danneggiati dalle palle, quindi principalmente a pianta circolare, e si
cerca di realizzare protezioni in materiale ignifugo e a sostituire gli elementi
in legno in modo da evitare, per quanto possibile, gli incendi.
Per info e visite gratuite all’esposizione
tel. 0541315811 -
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Promotori esposizione
BANCA MALATESTIANA
Credito Cooperativo Società Cooperativa
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
Coordinamento, progetto scientifico ed espositivo
Renata Curina, Maria Grazia Maioli
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
Marcello Cartoceti, Chiara Cesaretti, Luca Mandolesi
adArte di Luca Mandolesi & C. snc – Rimini (RN)
Coordinamento esecutivo
BANCA MALATESTIANA
Credito Cooperativo Società Cooperativa
Renata Curina, Maria Grazia Maioli
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
Marcello Cartoceti, Chiara Cesaretti, Luca Mandolesi – adArte di Luca Mandolesi
& C. snc – Rimini (RN)
Coordinamento scientifico restauro materiali archeologici
Mauro Ricci
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
Restauro reperti archeologici
Ditta "In Opera Società Cooperativa Conservazione e Restauro", restauratori
Cristina Leoni, Ana Hilar