The Surgeon’s House and the Piazza Ferrari Excavations
Il sito archeologico della domus "del Chirurgo" fa parte
integrante del percorso del vicino Museo della Città
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La fondazione della città di Rimini (Ariminum, nome
derivato dal fiume Ariminus già vivo nella tradizione locale)
risale al 268 a.C., anno in cui i Romani stanziano una comunità di coloni
nell'area compresa tra i corsi del Marecchia e del torrente Ausa, a ridosso di un
litorale adriatico che all’epoca era arretrato di oltre un chilometro rispetto
all’attuale. Difeso da una
solida cinta muraria, l'abitato conobbe un notevole sviluppo fino all'età tardo
imperiale, sviluppo garantito dalla grande importanza strategica ed economica
del luogo, sia come scalo marittimo che come nodo di comunicazione terrestre tra
il centro ed il nord della penisola.
La colonia era suddivisa in isolati rettangolari (insulae) da un reticolo
regolare di strade imperniate sul decumanus maximus (l'odierno corso
d'Augusto) e sul cardo maximus (vie Garibaldi e IV novembre). La piazza
grande della città romana, il foro, si trovava all'incrocio di queste due strade
principali, all'incirca coincidente con l'attuale piazza Tre Martiri.
All'interno delle insulae c'erano edifici abitativi spesso di notevole
livello qualitativo, come testimoniano i frequenti rinvenimenti di resti di
domus dotate di pregevoli pavimentazioni a mosaico. Nel centro di Rimini
l'edilizia pubblica e monumentale è attestata dai ruderi del teatro mentre
l'anfiteatro era situato in posizione più periferica, nei pressi dell'antica
spiaggia. Altri monumenti di grande rilievo vennero eretti all'imbocco delle
principali strade che uscivano dalla città: il ponte a cinque arcate sul fiume
Marecchia, costruito dagli imperatori Augusto e Tiberio nel punto in cui aveva
inizio la via Emilia, la Porta Montanara di età tardorepubblicana, attraverso
cui il cardo maximus si immetteva nella strada diretta verso gli
Appennini, e l'Arco di Augusto, monumentale porta onoraria edificata nel 27 a.C.
nel punto in cui la via Flaminia raggiungeva la città innestandosi nel
decumanus maximus.
Poco sappiamo delle domus riminesi di età
romano-repubblicana a causa della frammentarietà dei rinvenimenti.
Ricomponendo
le tracce di architettura abitativa portate in luce dagli scavi possiamo
comunque notare che tra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale
inizia un generale processo di ammodernamento -destinato a protrarsi oltre il II
secolo- che si attua sia con la trasformazione di complessi abitativi precedenti
che attraverso la costruzione di impianti completamente nuovi.
Planimetria della domus "del Chirurgo" (età imperiale)
Abbiamo una buona
documentazione di queste strutture residenziali di età imperiale che evidenziano
un'edilizia solida e mediamente di buon livello. Si nota innanzitutto una dilatazione degli spazi, con costruzione di strutture
estese ed articolate caratterizzate dalla netta distinzione tra zone di servizio
e zone residenziali (come conferma anche la domus di piazza Ferrari). Le case
sono spesso dotate di impianti di riscaldamento e le aree
scoperte -quali corti o giardini- non occupano quasi mai gli spazi centrali
interni ma sono spostati all'esterno dell'abitazione vera e propria oppure in
zone marginali, nei pochi casi in cui si trovino all'interno dell'abitazione.
Numerosi sono i corridoi e gli ambienti di disimpegno tra le varie stanze, come
attestato nella grande domus a monte dell'Arco di Augusto e in un'altra
residenza rinvenuta nell'area dell'ex Aquila d'oro.
(La dilatazione degli spazi riguarda anche alcuni ambienti all'interno della
casa, come la grande stanza pavimentata in mattonelle di marmo nella casa a
monte dell'Arco di Augusto. La stessa camera testimonia anche la decadenza che
molte di queste residenze conobbero in età tardo-romana, che in alcuni casi si
tradusse nel definitivo abbandono dell'area ed in altri in interventi di
risarcitura e ripristino comunque non più in grado di restituire alla domus il
suo splendore precedente. Nella camera suddetta, ad esempio, le mattonelle in
marmo vengono via via sostituite da lastre di ardesia mentre nel complesso
dell'ex Ospedale non si esita a tagliare il mosaico per costruire una canaletta
di scolo, realizzata con materiale di reimpiego.)
Per assecondare le esigenze funzionali e di gusto del tempo, all'interno delle
case sono realizzati nuovi vani di rappresentanza e ricevimento -anche piuttosto
prestigiosi- e le strutture abitative sono dotate di spazi accessori quali
peristili e giardini mentre le tradizionali vasche domestiche assumono sempre
più spesso una funzione prettamente ornamentale. Pressoché sistematico è il rifacimento
delle pavimentazioni -in marmo e soprattutto a mosaico- incoraggiato dalla
costituzione di una scuola locale di buon livello; le figure delle composizioni
musive, prima in bianco e nero e poi policrome, diventano sempre più complesse.
Questa crescente propensione ad aumentare la qualità delle decorazioni
architettoniche si manifesta anche nei dipinti parietali, con pareti affrescate
con soggetti figurativi, motivi floreali e geometrici.
Appartiene a questo contesto l'eccezionale complesso archeologico rinvenuto in
Piazza Ferrari, una domus -detta "del Chirurgo"- realizzata nella seconda metà
del II secolo occupando e ristrutturando il peristilio di una più antica
abitazione.
La storia, lo scavo, i reperti, i mosaici e i dettagli del sito archeologico di
piazza Ferrari nel testo di Jacopo Ortalli che in qualità di archeologo della
nostra Soprintendenza ha diretto lo scavo della domus dal momento del
ritrovamento e che dal 2002 è docente di Archeologia classica all'Università
degli Studi di Ferrara.
Il complesso archeologico di piazza Ferrari è stato
individuato nel 1989, durante i lavori di sistemazione dei giardini pubblici. Al
rinvenimento fortuito di alcuni ruderi di età romana hanno fatto seguito, fino
al 2006, sistematiche esplorazioni scientifiche: sondaggi e scavi stratigrafici
che hanno permesso di scoprire un’area estesa su una superficie di oltre 700 mq.
I resti più significativi corrispondono a parte di un isolato residenziale
situato al margine settentrionale dell’antica Ariminum, di fronte al litorale
adriatico che all’epoca era arretrato di oltre un chilometro rispetto
all’attuale.
Ai lati correvano due strade disposte ad angolo retto - un cardine ed un
decumano - all’interno delle quali si erano succedute una casa di età imperiale,
che comprendeva anche il settore oggi noto come domus del Chirurgo, e quindi un
edificio sviluppatosi nella tarda antichità.
Oltre a questi impianti architettonici lo scavo ha riportato in luce altri
elementi di interesse: tracce di pavimenti in cocciopesto attribuibili ad una
prima abitazione tardorepubblicana, livelli insediativi risalenti all’alto
medievo, svariate strutture databili tra il Cinquecento ed il Settecento, tra
cui alcuni pozzi in muratura e silos per granaglie un tempo appartenuti ai
vicini complessi religiosi di San Patrignano e delle Convertite.
L’insieme dei resti, conservato e musealizzato sul posto così come è stato
scoperto dagli archeologi, offre dunque l’immagine di un’eccezionale
stratificazione storica ed urbanistica che testimonia duemila anni di vita della
città.
Una fase dei lavori di musealizzazione dell'area archeologica di Piazza Ferrari.
In primo piano i mosaici del palazzo tardoantico (V secolo)
La domus del Chirurgo
Nel settore settentrionale dell’area di scavo si conservano i resti della
cosiddetta domus "del Chirurgo", costruita nella seconda metà del II secolo d.C.
ristrutturando la parte posteriore a peristilio di un edificio precedente e
ricavandovi un’abitazione a due piani. Il piccolo ingresso, affacciato sul
vicino cardine, immetteva in un disimpegno e quindi in un corridoio interno; su
un lato di questo si apriva uno spazio a giardino, mentre sull’altro erano
situati diversi ambienti delimitati da muri in argilla poggianti su zoccoli in
muratura. I vani residenziali, decorati da affreschi policromi e da pavimenti
musivi a motivi geometrici e figurati, comprendevano una sala da pranzo (triclinium),
una camera da letto (cubiculum) e due stanze di soggiorno, la prima delle quali
dotata di un pregevole mosaico con Orfeo tra gli animali; in posizione più
defilata erano alcuni vani di servizio: un ambiente riscaldato (ipocausto), una
latrina e, al piano superiore, la cucina e una dispensa.
Pavimento musivo domus "del Chirurgo" (particolari): Orfeo ammansisce con la sua
cetra pantere, leoni, daini e uccelli.
La figura di Orfeo, celebrato come meraviglioso cantore e come fondatore di
misteri (misteri orfici) appartiene al dominio della leggenda ed è una tra le
più complicate della mitologia greca. Cantore eccelso e forse mago, mediante il
suono della lira e dei suoi versi soavi incantava uccelli, pesci, greggi e fiere
nei boschi, traendo a sé anche rupi ed alberi.
L’intero edificio fu distrutto da un incendio poco dopo
la metà del III secolo, probabilmente in occasione di una scorreria germanica
avvenuta ai tempi dell’imperatore Gallieno. A tale evento si deve collegare
anche la costruzione della nuova cinta muraria della città, della quale è ancora
visibile un breve tratto sul retro della casa. L’improvviso crollo degli alzati
ha permesso la conservazione degli arredi e delle suppellettili domestiche,
rinvenute tra le macerie sui pavimenti della casa.
Tra i tanti materiali risalta soprattutto una ricca attrezzatura chirurgica e
farmacologica, che testimonia la professione medica esercitata dall’ultimo
proprietario della domus.
I reperti della domus
Ai resti della domus del Chirurgo conservati nell’area archeologica si
accompagnano i reperti di scavo esposti all’interno del Museo Archeologico di
Rimini.
La qualità delle originarie decorazioni architettoniche è così testimoniata da
una selezione di affreschi policromi recuperati tra le macerie, che comprendono
parti di soffitti a cassettoni e di pareti a campiture con motivi floreali o
animali, tra cui si distingue una impressionistica veduta con scena di porto.
Come elemento di arredo domestico risalta il raffinato quadretto in pasta vitrea
di produzione orientale, originariamente collocato nel triclinium della casa,
che riproduce un fondale marino con tre pesci dai vivaci colori; dal giardino
provengono un grande bacile marmoreo ed il piede di una statua di Ermarco,
filosofo epicureo che testimonia l’inclinazione intellettuale del proprietario
della casa.
Numerosi sono poi gli oggetti mobili: oltre a vasellame da cucina e da mensa e
ad alcune lucerne vi compare una straordinaria dotazione medica composta da più
di centocinquanta strumenti chirurgici, da mortai, bilance e contenitori per la
preparazione e la conservazione di farmaci e da un vaso termico conformato a
piede per applicazioni curative.
Vaso terapeutico a intercapedine conformato a piede (Rimini, Museo della Città)
In base ai dati di scavo è stato possibile ricostruire
fedelmente, a grandezza naturale, l’originario luogo di cura: una taberna medica
domestica, composta dalla stanza con mosaico di Orfeo e dal vicino cubiculum,
nella quale il chirurgo riminese visitava, operava ed ospitava i propri
pazienti.
Al momento dell’abbandono della casa riportano infine il gruzzolo di
un’ottantina di monete per le spese quotidiane, che fissa l’evento entro il 260
d.C., e le punte di lancia e giavellotto abbandonate sui pavimenti durante i
rovinosi scontri che dovettero provocare la distruzione della domus.
Il chirurgo
Lo strumentario rinvenuto nell’abitazione di piazza Ferrari non lascia dubbi
sulla professione del personaggio che vi abitava verso la metà del III secolo:
un medico di grande esperienza ed abilità che, come spesso avveniva, doveva
essersi formato in ambienti culturali ellenici ed essere giunto in Italia, e più
precisamente ad Ariminum, dall’Oriente.
L’origine levantina del personaggio, suggerita anche dall’adesione agli ideali
epicurei, è chiaramente comprovata sia dalle scritte in greco che egli incise su
due vasetti per la conservazione di erbe medicinali rinvenuti nella taberna
medica, sia dal suo stesso nome, con ogni probabilità Eutyches, quale fu
graffito sul muro da un paziente ospitato nel letto del cubiculum.
La particolarità dell’attrezzatura chirurgica recuperata nella domus, priva di
strumenti ginecologici, in larga parte destinata ad interventi su traumi ossei e
dotata di un rarissimo ferro utilizzato unicamente per estrarre le punte di
freccia dalle carni, sembra indicare un’esperienza professionale maturata
nell’esercito, forse in uno di quei valetudinaria militari dislocati lungo i
confini dell’impero che rappresentavano le sole strutture sanitarie del mondo
romano assimilabili ai moderni ospedali.
Corredo degli strumenti chirurgici: tenaglie a becco (Rimini, Museo della Città)
A possibili trascorsi nell’esercito riconduce anche la
mano votiva bronzea recuperata nella taberna medica, segno di devozione verso
Giove Dolicheno, divinità appunto venerata soprattutto tra i soldati.
In proposito vale la pena di ricordare anche il cippo votivo scoperto in passato
presso il foro, dove si ergeva un sacello allo stesso Dolicheno. La lapide,
coeva alla domus del Chirurgo, ricorda infatti come dedicante un T. Flavius
Galata Eutyches, personaggio di origine orientale che potrebbe corrispondere
proprio al medicus di piazza Ferrari.
Il palazzo tardoantico
Alla distruzione della domus del Chirurgo e all’immediata erezione delle
nuove mura della città, che quasi la lambirono, fece seguito il completo
abbandono dell’area.
Tale situazione, che rifletteva il particolare momento di crisi della città e
dello stesso impero romano, mutò solo verso gli inizi del V secolo, in
concomitanza con importanti mutamenti storici.
Il trasferimento della sede imperiale a Ravenna, attuato da Onorio nel 402,
comportò infatti la parziale rivitalizzazione delle città romagnole, in cui
comparvero nuove residenze di lusso abitate da alti ufficiali e funzionari di
corte. A questo periodo risalgono appunto i resti conservati nel settore
meridionale dello scavo, riferibili ad un’abitazione di tipo palaziale che
rioccupò la parte anteriore del vecchio isolato, di fronte al decumano.
L’edificio, scoperto solo in parte, presentava un ampio cortile decorato da una
fontana a ninfeo con canali; attorno a questo si disponeva un articolato
complesso, ristrutturato e ampliato tra la fine del V e gli inizi del VI secolo,
sotto il regno dei Goti.
I ruderi dell’impianto mostrano diversi ambienti, talora dotati di sistema di
riscaldamento, collegati da un corridoio angolare; le stanze, con murature
laterizie, sono pavimentate da mosaici policromi a complessa decorazione
geometrica.
La prestigiosa natura dell’abitazione tardoantica e l’alto rango del personaggio
che vi risiedette sono tra l’altro testimoniate dal vano cruciforme con
ipocausto e dalla vasta aula absidata che la fiancheggiava, certamente
utilizzata dal dominus come sala di rappresentanza e ricevimento.
Le strutture altomedievali
Nel corso del VI secolo, ai tempi della guerra tra Goti e Bizantini, il
palazzo tardoantico iniziò a mostrare segni di degrado, per poi essere
distrutto, demolito e completamente interrato. In seguito l’area accolse un
piccolo cimitero, forse collegato ad un edificio religioso sorto nelle
vicinanze, secondo la pratica cristiana che ormai permetteva di seppellire anche
dentro la città. Come testimoniano alcune tombe ancora conservate all’interno
dello scavo, gli inumati erano deposti in semplici fosse, talora protette da
coperture in tegole, che spesso giunsero ad intaccare i sottostanti pavimenti a
mosaico. Il sepolcreto fu utilizzato fino al pieno VII secolo, dopo di che
l’area fu occupata da nuove strutture abitative. Come d’abitudine per il periodo
altomedievale, la casa riportata in luce era circondata da spazi aperti, forse
coltivati ad orto, ed era edificata con materiali deperibili: gli alzati,
sorretti da leggere fondazioni in frammenti laterizi, utilizzavano pali di legno
e murature in argilla, mentre i pavimenti erano costituiti da terra battuta. Nel
settore sudoccidentale dello scavo archeologico sono tuttora visibili alcune di
queste strutture; sui livelli di calpestio, accanto a varie buche di palo, tra
l’altro si conserva un grande focolare con piano di combustione in frammenti di
mattoni romani di reimpiego. Alcuni modesti rifacimenti documentano la
sopravvivenza degli impianti abitativi fino all’VIII secolo. In seguito l’area
restò inedificata, venendo ricoperta da strati di terreno colturale che solo in
età tardomedievale accolsero nuove costruzioni.
Planimetria complessiva dell'area archeologica di Piazza Ferrari
È questa l'area archeologica di Piazza Ferrari, un sito
che racconta duemila anni di storia riminese e che adesso viene finalmente
restituito alla città e al mondo.
Per il Soprintendente per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna, dott.
Luigi Malnati, "un esempio di positiva sinergia"
Quando nel 1989 l’accidentale caduta di un albero nel giardino di piazza
Ferrari a Rimini portò all’inizio dei sondaggi archeologici, e quindi allo
scavo, nessuno avrebbe potuto prevederne l’evoluzione. Lo sforzo congiunto del
Comune di Rimini, del Museo della Città e di questa Soprintendenza ha portato
alla messa in luce di un complesso di valore archeologico eccezionale. Bisogna
dare atto al Comune di Rimini di aver saputo fin da subito riconoscere
l’importanza del rinvenimento, il cui scavo ha necessitato di finanziamenti
cospicui, concessi dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dallo
stesso Comune, in sintonia.
L’interesse e la curiosità di cittadini e studiosi hanno portato alla
realizzazione di numerose tappe per la valorizzazione dell’insieme, in attesa
della sua apertura al pubblico, non ultima la costruzione all’interno degli
ambienti del Museo della Città, di quella Taberna Medica che costituisce anche
adesso uno stimolo continuo per la comprensione della vita nell’antichità. La
scelta di tenere in vista il complesso, e quindi di provvedere ad una adeguata
protezione, con coperture ed impianti di aerazione e deumidificazione, ha avuto
un appoggio fondamentale dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, che ha
finanziato lo studio progettuale, la cui realizzazione, nonostante impedimenti
burocratici e di vario genere, porta al risultato oggi visibile a tutti: una
struttura agile che permette una buona visione dei resti strutturali e
contemporaneamente ubbidisce ai criteri di restauro e di conservazione, senza
essere prevaricante.
La collaborazione fra gli Enti dovrà necessariamente continuare, per una
gestione ottimale del complesso e per una sua fruizione e valorizzazione, il più
possibile aperta a tutte le componenti della città e del mondo.
Per la dott.ssa Maria Grazia Maioli, archeologa della nostra Soprintendenza
responsabile del sito di Piazza Ferrari, "il lavoro non si conclude oggi"
Il complesso della domus “del Chirurgo” è composto da numerose strutture
stratigraficamente sovrapposte di cui la domus -anche se eccezionale per
l’insieme di muri, pavimenti e materiali- è solo un episodio.
Nell’area aperta ai visitatori si intravede parte del pavimento in cocciopesto
pertinente alla prima fase abitativa e una porzione della casa di epoca
tardorepubblicana sul cui cortile si imposta l’insieme di ambienti mosaicati e
dipinti, databili al II sec. d.C., nei quali, nel III sec., andrà ad abitare il
chirurgo. Sugli strati di distruzione della casa romana sorge poi la grande
domus palaziale di epoca tardoimperiale con i suoi mosaici policromi; sul tutto
troviamo le fasi medioevali e posteriori.
E’ evidente che l’interesse della zona archeologica, indipendentemente dal
fascino della personalità del chirurgo, è data dalle vaste pavimentazioni musive
delle due fasi abitative. La domus “del Chirurgo” presenta un insieme di
pavimenti in mosaico bianconero, prevalentemente geometrici, con motivi a
tappeto e a schema centralizzato, e la stanza detta “di Orfeo”, in mosaico
policromo in quella che doveva essere lo studio del medicus: la raffigurazione
del poeta è al centro di uno schema geometrico in cui sono inseriti gli animali
che egli incanta con il suono della sua cetra. I mosaici della domus più tarda
sono invece tutti a schemi geometrici differenziati con varietà e fantasia.
Il tempo intercorso dal momento dello scavo non è stato clemente con le
pavimentazioni musive: nonostante tutte le precauzioni messe in atto per la loro
conservazione, i sottofondi pavimentali si sono indeboliti e le tessere hanno
subito cedimenti soprattutto nei bordi delle lacune. Sono già stati fatti i
primi interventi, ma sarà necessario programmare campagne di restauro che
avverranno necessariamente alla presenza del pubblico, aggiungendo quindi un
ulteriore motivo di interesse alla visita del complesso.
Per i restauratori Mauro Ricci e Monica Zanardi, del laboratorio di Restauro
della nostra Soprintendenza, una nuova sfida per la "complessità dei problemi
legati alla conservazione del complesso archeologico"
Nel momento stesso in cui vengono portati in luce, i reperti e le strutture
archeologiche iniziano a subire processi di alterazione e degrado che spesso ne
pregiudicano la conservazione. Il contesto archeologico di Piazza Ferrari
presenta un’ampia gamma di materiali eterogenei (strutture di laterizi e argilla
pressata, intonaci dipinti e pavimenti musivi composti da malte, materiale
lapideo e paste vitree) che nel corso dei secoli si sono comportati in modo
diverso, reagendo -e continuando a reagire- in modo disomogeneo alle aggressioni
operate dal tempo, dal clima e dall’uomo. Ulteriore aggravante, il protrarsi
negli anni delle campagne di scavo, un fattore che ha messo a rischio la
conservazione dell’intero sito anche se, contemporaneamente alla messa in luce,
si sono effettuate operazioni di pronto intervento (pulitura, consolidamento e
stuccatura) mirate alla conservazione e alla messa in sicurezza.
Nel corso del tempo, si è affrontato con periodiche applicazioni di biocidi
anche un processo di biodeterioramento (presenza di alghe, funghi e piante
infestanti) che poteva creare seri problemi di conservazione alle strutture
archeologiche e agli apparati decorativi, sia dal punto di vista estetico che
strutturale. Una volta terminati gli scavi, e in attesa della musealizzazione
definitiva, è stata posta direttamente sulle strutture archeologiche -verticali
ed orizzontali- una protezione con geo-tessile, aggiungendo poi sui mosaici
pavimentali uno strato di argilla espansa.
A questi lavori è seguita una sospensione di alcuni anni causata dalla carenza
di fondi. Nel 2007, si è proceduto alla rimozione delle protezioni, operazione
non facile perché le piante infestanti avevano proliferato su tutta l’area
archeologica, attecchendo diffusamente in superficie e infiltrando le radici
anche attraverso il geo-tessile. Si sono poi puliti accuratamente tutti gli
elementi conservati nel sito e messi in sicurezza mediante puntellature, piccole
stuccature e infiltrazioni localizzate di consolidante.
Ci preme sottolineare che se l’area archeologica di Piazza Ferrari, ora
inglobata nel suo contenitore-museo, ha riacquistato la propria leggibilità e
possiamo ammirarla in tutta la sua bellezza, il lavoro non è terminato. Tutte le
operazione eseguite finora sono state dettate dall’urgenza e mirate allo studio
e conservazione, ma non si è effettuato alcun intervento definitivo perché
bisogna attendere che l’intero complesso si stabilizzi nel nuovo microclima.
Solo allora potremo individuare e programmare gli interventi finalizzati ad un
corretto restauro filologico.
Per noi restauratori, la vera sfida inizia ora.
Il sito archeologico della domus "del Chirurgo" fa parte
integrante del percorso del vicino Museo della Città
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Ingresso gratuito la prima domenica di ogni mese
Telefono per info: 0541.793851
Bibliografia
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archeologiche per la Cispadana, “CARB” 39, 1992, pp. 584-599
M.L. STOPPIONI, I mosaici della domus di piazza Ferrari a Rimini, “CARB” 40,
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J. ORTALLI, Il medicus di Ariminum: una contestualizzazione archeologica dalla
domus “del Chirurgo”, in corso di stampa