Nell’inverno 2007, in occasione della costruzione di nuove abitazioni a
Marano di Castenaso, all’immediata periferia di Bologna, l'Ispettore Onorario
per l'Archeologia Paolo Calligola ha segnalato alla soprintendenza la
presenza di
tracce di frequentazione antropica riferibili all’età del Ferro. Ulteriori
indagini hanno individuato prima un segnacolo tombale, quindi alcune fosse
pertinenti, come ha poi appurato lo scavo archeologico, a sepolture.
Durante gli scavi, affidati dalla committenza alla ditta Fenice archeologia e
restauro e diretti dall’allora Soprintendente Luigi Malnati e dall'archeologa
della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna Caterina
Cornelio, sono
venute in luce nove sepolture, tutte contrassegnate da segnacolo funerario,
databili al VII e VI secolo a.C.
La stele soprannominata “Delle Spade” si presentava adagiata sul terreno, in
posizione obliqua rispetto alla linea di terra, con il lato posteriore rivolto
verso l’alto, ed era fratturata in tre parti. Tutto intorno c'erano i ciottoli
del tumulo che, insieme alla stele, erano sprofondati all’interno della cassa
lignea contenente il corredo.
Il materiale costitutivo, l’arenaria, è una roccia sedimentaria che si forma
per litificazione di originarie sabbie di natura sia marina che alluvionale.
Il prelievo dallo scavo, coordinato dai restauratori della Soprintendenza, è
avvenuto creando sul retro -non decorato- un supporto rigido con bende gessate,
avendo cura di proteggere preventivamente la superficie con più strati di
pellicola trasparente. Prima di avviare qualsiasi operazione di restauro, è
stato redatto un progetto d’intervento che ha scandito modi e tempi, definendo
con precisione il programma che si intendeva attuare. In questa fase del lavoro
ci si è avvalsi della collaborazione di diverse professionalità quali
archeologi, esperti in diagnostica dei beni culturali, restauratori,
disegnatori, fotografi, progettisti di strutture per la musealizzazione.
I principi base che hanno regolato l’intervento conservativo sono la
reversibilità dell’intervento, la durabilità e stabilità nel tempo dei prodotti
usati, la compatibilità degli stessi col materiale costitutivo, la salvaguardia
della possibilità di intervenire con ulteriori interventi conservativi (ritrattabilità)
e il principio del minimo intervento e minima invasività.
Il progetto d’intervento ha posto l’accento sulle principali problematiche
evidenziate dall’osservazione macroscopica della superficie, prendendo in esame
e sviluppando i seguenti aspetti:
-Documentazione sulle fasi del rinvenimento e del prelievo.
-Relazione dell’archeologo.
-Documentazione fotografica particolareggiata dello stato di fatto pre restauro
(presunte tracce di policromie, aree degradate, tracce di lavorazione).
-Indagini diagnostiche preliminari su presunte tracce di policromie,
caratterizzazione del materiale lapideo e cause del degrado.
-Prove in situ condotte su aree circoscritte ma rappresentative del manufatto
volte a individuare la corretta metodologia dell’intervento di restauro
(pulitura, consolidamento ecc.) sulla base dei risultati delle indagini
eseguite.
-Intervento di restauro, con preconsolidamento localizzato delle zone decoese
del materiale lapideo, pulitura della superficie, consolidamento, incollaggio
dei frammenti e stuccature.
-Progettazione e realizzazione di supporto per l’esposizione in sicurezza della
stele.
Stato di conservazione preliminare all’intervento di restauro/ Diagnostica
La superficie appariva, in entrambi i lati, ricoperta da uno strato di
argilla (ben adeso al substrato) che celava alcuni particolari del bassorilievo.
Il manufatto era localmente interessato da incrostazioni di natura calcarea
fortemente ancorate alla superficie, in una porzione del disco decorato, la
disgregazione granulare della pietra aveva causato la perdita di alcuni elementi
decorativi. In alcune zone del bassorilievo, l’arenaria si presentava con una
cromia che ha fatto supporre che la stele recasse tracce di colore.
Le analisi per identificare la presenza o meno di residui di policromia sono
state eseguite dal Prof. Pietro Baraldi del Dipartimento di Chimica
dell’Università di Modena e Reggio Emilia.
Sono stati eseguiti alcuni microprelievi nei punti precedentemente individuati a
rappresentare la cromia evidente sulla pietra.
Per una più precisa ricerca di policromia superstite è stato fatto riferimento
alle indagini sul materiale lapideo costitutivo della stele (arenaria) per
verificare quali fossero i componenti normalmente presenti in esso. Il prof.
Stefano Lugli, del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Modena
e Reggio Emilia che ha eseguito le analisi sull’arenaria, identifica nelle
sezioni lucide gli stessi componenti identificati con la Microscopia Raman sui
presunti residui di policromia. Allo stato attuale delle indagini archeometriche
non si hanno prove sufficienti per affermare che la stele fosse policroma”.
Presunte tracce di policromia sulla stele, oggetto di indagini diagnostiche
Progetto per la musealizzazione della stele
La musealizzazione della stele è frutto della collaborazione, ciascuno per
le proprie competenze, tra i restauratori della Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna e i progettisti, BFA Bartolini Fiamminghi
Architetti.
Il progetto espositivo è stato condizionato dalla scelta di non utilizzare un
sistema di perni per ricomporre i tre frammenti della stele. Per esaltare al
massimo le qualità materiche e i rilievi di lavorazione della stele è stata
scelta una luce a spot radente.
Dal 2009, la stele è esposta al pubblico nel MUV, Museo della Civiltà
Villanoviana, a Villanova di Castenaso, a poca distanza dal luogo del
ritrovamento.
Informazioni scientifiche del
Laboratorio di restauro della SBAER, restauratrice
Antonella Pomicetti
Referente per la parte archeologica,
Caterina Cornelio
(archeologa)
Pagina a cura di Carla Conti