L'archeologa Maria Grazia Maioli, responsabile dello scavo, l'aveva detto subito: "il restauro di questi pezzi riserverà molte sorprese". E le sorprese sono iniziate presto: innanzitutto i cucchiai non erano sei ma sette e poi, man mano che si procedeva nel restauro, ecco apparire bolli, decorazioni, monogrammi, simboli cristiani, dorature.
Il tesoretto bizantino al termine del restauro eseguito dalle nostre
restauratrici Anna Musile Tanzi e Micol Siboni
Era il 7
settembre 2005 quando nella zona nord del podere Chiavichetta veniva trovato
un tesoretto di oggetti d’argento da tavola, di piena epoca bizantina, formato
da sei -si credeva- cucchiai e una coppa (per
consultare la pagina degli scavi 2005 clicca qui).
I
cucchiai, realizzati a fusione, erano in buono stato di conservazione mentre la
coppa, realizzata a lamina con decorazioni incise, presentava un nucleo
labile di metallo incamiciato in una patina incrostativa dovuta alla
metabolizzazione del metallo stesso. Subito portato al laboratorio di restauro
della Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna, il tesoretto
è
stato affidato alla responsabile del laboratorio Anna Musile Tanzi e alla
restauratrice Micol Siboni che, procedendo per pochi millimetri al giorno,
hanno impiegato quasi cinque mesi per terminare il restauro.
Dal 10 marzo lo si potrà ammirare alla mostra "Felix Ravenna", allestita nel
complesso di San Nicolò, dove sarà esposto per la prima volta.
Vi raccontiamo la storia di otto reperti stupendi e per tanti versi unici che
pur svelando ogni giorno nuovi indizi non hanno ancora rivelato tutti i
loro segreti.
Il tesoretto era stato nascosto in una fossa -vicino alla strada A della zona
portuale bizantina- scavata
nello strato di macerie risultanti dalla demolizione di un edificio e coperta da
un altro strato di macerie. La datazione del nascondiglio dovrebbe essere
attorno all'VIII-IX secolo; quel che è certo è che la buca doveva essere stata
scavata vicino a un qualche punto di riferimento, altrimenti sarebbe stato
impossibile localizzarla in un campo di macerie.
La fossa, di forma rettangolare, era riempita di terreno morbido, probabilmente
derivato dal disfacimento di materiali organici quali le pareti di una cassetta
in legno e il suo contenuto, forse stoffe o libri. Gli oggetti in argento erano
appoggiati in verticale contro quella che era, in origine, una delle pareti
lunghe del contenitore: la coppa leggermente sbieca e con la bocca rivolta alla
parete, i sette cucchiai probabilmente legati in un mazzo.
La doratura e la bellissima decorazione a elementi vegetali sulla parete interna
della coppa
La
coppa, fessurata e con una piccola lacuna, ha un profilo molto piatto e un
piccolo piede. La sua datazione si aggira tra la fine del V secolo e l'inizio
del VI e in origine era dorata, come l'impegnativo restauro consente di
vedere tuttora. La parete esterna è liscia mentre quella interna presenta una
decorazione incisa con elementi vegetali. Si tratta di quattro motivi floreali,
simili ma non identici, che partono da un cerchio centrale sul fondo. I singoli motivi
sono formati da un caulicolo verticale con un fiore terminale, forse d’acanto;
dal fiore partono due volute simmetriche ad S, ricadenti verso il basso, con
grandi foglie dentellate, e dalla base del fiore si originano inoltre altre due
volute ad S, completate da una foglia pendula. Si tratta di un motivo che ha
origine in epoca ellenistica e che, pur semplificato, continua in epoca romana e
bizantina, trionfando infine nelle decorazioni dei mosaici parietali della
basilica di S. Sofia a Bisanzio o in quelli del presbiterio di San Vitale a
Ravenna.
La pulitura ha evidenziato all’interno del piede la presenza di due bolli
rettangolari, impressi in linea con la scritta disposta su tre righe entro
una piccola cornice. I bolli sono scritti in lettere greche maiuscole e vi si
legge abbastanza chiaramente la scritta ION / NH / OY.
Maria Grazia Maioli ritiene probabile che si tratti di due impressioni di
sigillo fatte dopo la lavorazione della coppa: i timbri parrebbero ottenuti
usando un anello come punzone, come sembra confermare l'irregolarità laterale di
uno dei due, forse causata dalla decorazione del castone. La scritta
indicherebbe quindi il nome del proprietario e non un marchio di fabbrica come
si era inizialmente ipotizzato.
I sette cucchiai sono piuttosto eterogenei e certamente non fanno parte di un
unico servizio anche se sono tutti riferibili ad una tipologia di epoca tardoantica-bizantina
(VI secolo) caratterizzata da un manico a stelo diritto unito al
cucchiaio vero e proprio da un dischetto di collegamento. Il manico è variamente
decorato e termina sempre con un elemento a balaustro o a vaso; la loro
lunghezza varia fra i 24 e i 27 cm. e, seppur realizzati con leghe diverse, sono
tutti in argento dorato (anche se la doratura è variamente conservata ed è stata
applicata con metodologie diverse che saranno oggetto di uno studio a parte).
La pulitura ha consentito di dividerli in quattro gruppi, di cui tre costituiti
un singolo esemplare e l'ultimo da quattro cucchiai che, per analogia di
decorazione, sembrano riferibili ad un'unica officina se non a uno stesso
servizio.
Il cucchiaio del primo gruppo è completamente liscio. Il manico ha sezione esagonale in corrispondenza dell’attacco al cucchiaio e porta inciso sulla faccia superiore il nome proprio RUTA; il manico è ornato da sottilissime costolature affiancate che lo coprono completamente; sul dischetto di collegamento al cucchiaio sono incisi da un lato una croce e dall’altro una colomba che regge nel becco un ramoscello d'olivo; le lettere del nome proprio sono incise con tratto molto sottile ed apicate; la croce latina a bracci patenti, analoga a quelle che incontriamo nei mosaici di Ravenna, ha una decorazione che sembra indicare la presenza di gemme.
Cucchiaio del gruppo 1) la scritta RUTA potrebbe indicare il nome del primo
proprietario
Il cucchiaio del secondo gruppo è caratterizzato da una decorazione sulla
parte inferiore costituita da un motivo a leggero sbalzo, rifinito a bulino, che
forma una specie di foglia. Il manico è decorato da globetti accostati, distinti
da profonde incisioni. Il cucchiaio presenta sul dischetto di
collegamento due incisioni: su un lato una piccola croce a bracci patenti ed apicati, sull’altro un monogramma non ancora sciolto, con una parte che appare
non completata.
L'esemplare del terzo gruppo presenta un manico a costolature parallele e un
dischetto di collegamento traforato in modo da formare un elemento a voluta
leggibile come una testa di elefante, con proboscide ricurva, occhio rotondo,
piccola zanne e orecchio ricavato dal bordo della voluta. Nel punto di
collegamento il manico presenta una specie di cresta formata da quattro punte
ottenute ad intaglio; la doratura, molto spessa, sembra ottenuta a lamina.
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Il quarto gruppo è formato da quattro cucchiai, tutti con manico a globetti e dischetto di collegamento liscio. Gli esemplari sono caratterizzati da una decorazione incisa sia all’esterno che all’interno del cucchiaio. La decorazione esterna è costituita da grandi foglie d’acanto -con bordi variamente dentellati e sagomati- simili ma non identiche. La decorazione interna è invece costituita da motivi diversi anche se siamo sempre nell'ambito di tipologie ampiamente documentate nel mondo romano. Nel primo cucchiaio è rappresentato un pesce -forse una tinca-, nel secondo una coppia di anatre accovacciate, affiancate sopra una foglia e con le teste convergenti. Durante la prima fase di pulitura, la decorazione sul terzo cucchiaio era stata erroneamente interpretata come una rana od una tartaruga. Questa lettura aveva generato non poche perplessità: se si fosse trattato di una rana si poteva pensare a un motivo nilotico ma l'ipotesi della tartaruga portava fuori strada perchè in epoca cristiana questo animale aveva valenza negativa, essendo associato all'idea del buio. Il completamento della pulitura ha risolto il mistero: l'immagine è quella di un gallinaceo, identificabile con un gallo “numida” o “sultano”, e in quanto gallo simbolo anche della luce del Cristo. Nel quarto cucchiaio è rappresentato un fagiano: questa decorazione è la meno leggibile a causa di un restauro in antico che ha comportato anche una rilavorazione parziale della foglia esterna, che risulta semplificata rispetto alle altre tre.
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Secondo Maria Grazia Maioli, i cucchiai di questo gruppo potrebbero essere un unicum: la presenza del motivo inciso all'interno è una novità assoluta, mai documentata in rinvenimenti analoghi. La decorazione rende abbastanza scomoda l'azione del sorbire e ne limita fortemente l'utilizzo: si tratterebbe quindi di cucchiai più che altro decorativi e utilizzati solo in particolari occasioni, come un battesimo. Affascinante poi l'analisi dei motivi decorativi che si riallacciano alla tradizione delle scene nilotiche e marine di derivazione ellenistica alessandrina -da cui derivano anche i mosaici bizantini di Madaba e di altre aree della Giordania e della Siria-, come nel caso del pesce, dei gallinacei e delle anatre accovacciate.
Il tesoretto di Classe è dunque un ritrovamento
di straordinaria importanza non solo per il suo valore intrinseco -è
formato da oggetti in origine completamente dorati- o
archeologico ma anche per la sua importanza dal punto di vista sociale:
il timbro sulla coppa riporta una variante del nome Giovanni, in lettere greche,
comunemente usate a Ravenna, ma il nome Ruta sul cucchiaio è un nome maschile di
origine germanica, il che testimonia la varietà composita della società ravennate e classicana.
I sette cucchiai, prodotti dal V ad almeno
il VII sec. d.C., appartengono ad una tipologia molto diffusa che compare in molti tesoretti e ripostigli di epoca
bizantina ed altomedioevale. In piazza Cavour a Rimini, ad esempio, era stato
trovato l’unico tesoretto presente fino ad oggi in Romagna: i sei cucchiai di Rimini
sono però privi di decorazione interna e hanno la terminazione del manico a punta,
tipica dei
cucchiai per molluschi di epoca romana dove questo tipo di manico serviva
appunto ad estrarre i molluschi dal guscio.
È probabile che il tesoretto di Classe sia
appartenuto a un contesto di tipo
ecclesiastico, formato com'è da oggetti forse donati a un edificio religioso in
occasioni specifiche: sembra infatti che cucchiai di questo tipo venissero usati
per il battesimo, rimanendo poi alla chiesa dopo la cerimonia. Parrebbe confermarlo il fatto che le incisioni con motivi
religiosi sull'elemento di raccordo (come le croci o la colomba) sono
state realizzate in un secondo tempo, dopo la donazione ad una chiesa. La coppa
potrebbe avere avuto la funzione di patena per l'eucarestia.
Quel che è certo è che venne occultato
in un momento di difficoltà, quando la zona di Classe era quasi completamente
abbandonata, ma è impossibile dire se venne rubato o nascosto per salvarlo.
Un altro mistero è la sua provenienza. Se è valida l'ipotesi che i cucchiai
servissero per il battesimo, quelli del tesoretto di Classe dovrebbero venire da
una chiesa con funzioni di cattedrale, l'unica dotata di battistero. Ma nelle
immediate vicinanze della zona del rinvenimento ci sono solo la Basilica Petriana
e S. Severo, entrambe prive di battistero, mentre l'unica chiesa che certamente
l'aveva -quella scavata in località Ca' Bianca, verso Savio, non ancora
esattamente identificata- è troppo lontana dal luogo del nascondiglio. Il problema dunque
resta aperto.