Venerdì 2 marzo conferenza stampa
Gli scavi nell'area dell'Ospedale intercettano uno degli acquedotti romani che alimentavano Regium Lepidi
Sono condotte idrauliche con pozzetto d'ispezione funzionali all'alimentazione di alcuni balnea (gli antichi bagni romani) o di fontane e giardini della zona, databili tra l’età augustea e quella giulio-claudia (fine I sec. a.C. - fine I secolo d.C.)
L'area di scavo, con il tratto di acquedotto rinvenuto
Un’area a rischio archeologico, che aveva già restituito in passato reperti di epoca romana riferibili a uno degli impianti idraulici che alimentavano Regium Lepidi. Per questo la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna aveva disposto che i lavori di costruzione del nuovo Centro Onco-ematologico di Reggio Emilia, all'interno dell'area ospedaliera, fossero preceduti da opportune indagini archeologiche preventive. Indagini che hanno puntualmente intercettato materiali e strutture di epoca romana e medievale. Nessuna sorpresa, quindi, né per gli archeologi né per l’azienda ospedaliera, e nessun blocco del cantiere che di fatto non poteva nemmeno partire finché non si fossero concluse le procedure di archeologia preventiva.
Reggio Emilia, Nuovo Polo Onco-ematologico dell'Ospedale
Tratto di acquedotto romano a doppia conduttura fittile rinvenuto alla fine
degli anni '90 del secolo scorso
Le indagini archeologiche effettuate alla fine degli anni '90 del secolo
scorso per la costruzione Polo Onco-ematologico dell'Ospedale Santa Maria
Nuova di Reggio Emilia avevano già intercettato alcune strutture idrauliche
riferibili all'età romana.
Strutture analoghe, formate da due tubuli di terracotta paralleli tra loro,
sono state trovate anche durante le indagini preventive effettuate nella
primavera 2010 (ai sensi del Codice degli Appalti, D.Lgs 163/2006, art. 96)
prima dell'apertura di un nuovo cantiere del medesimo polo.
In virtù di questi ritrovamenti e sulla base di prescrizioni a suo tempo
impartite da questa Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna, l'avvio del nuovo cantiere doveva essere preceduto
dall'indagine archeologica integrale del manufatto, al fine di verificarne
l'estensione e il grado di conservazione, e di garantirne un'adeguata
documentazione, sia ai fini della tutela che della valorizzazione.
Nel 2011 la Cooperativa ARS/Archeosistemi ha iniziato le verifiche
preventive sotto la Direzione Scientifica della Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna, nella persona dell'archeologo Marco Podini.
Le conferme non si sono fatte attendere: poco prima di Natale, le indagini
hanno individuato l'acquedotto già visto a suo tempo.
La novità è stata invece il rinvenimento di un secondo acquedotto (poco più a sud e a una quota superiore della doppia conduttura, e perciò forse riferibile a un periodo diverso, anche se non di molto), emerso a seguito dello sbancamento dell'intera area destinata alla costruzione dell'ospedale. In questo caso si tratta di un impianto idraulico a una sola conduttura, dotato di pozzetti di ispezione come dimostra il rinvenimento di una struttura circolare a cui si innesta la tubatura fittile. Questi pozzetti erano funzionali alla manutenzione del condotto e, in base a quanto trasmessoci dalle fonti storiche, erano posti a distanze regolari: secondo Vitruvio (De Arch. VIII 6, 3) uno ogni 35 metri circa, il doppio, cioè circa 70 metri, secondo Plinio il Vecchio (N.H. XXXI 57). Al momento questa struttura idraulica è stata messa in luce per circa 60 metri.
Il pozzetto d'ispezione del secondo acquedotto (quello più superficiale)
venuto alla luce negli scavi di gennaio-febbraio 2012
Il dato certamente interessante è rappresentato dal fatto che già nel 1888, Giovanni Bandieri, all'epoca Conservatore del Civico Museo, aveva rinvenuto in un settore poco più a sud-est della città una struttura del tutto identica, incluso il relativo pozzetto di ispezione. Considerato l'orientamento della struttura emersa e le dimensioni degli elementi fittili (del tutto identiche a quelle riportate dal Bandieri) è plausibile che possa trattarsi del medesimo acquedotto.
I due acquedotti, verosimilmente riferibili alla prima età imperiale
romana (fine I sec. a.C. - I sec. d.C., al più tardi inizi del II secolo
anche se, per una datazione più precisa, confidiamo nelle ulteriori
informazioni che verranno dal prosieguo degli scavi), ci consentono comunque
di formulare alcune osservazioni di carattere generale anche se del tutto
preliminari.
In primo luogo, considerato che si tratta di strutture di portata limita e
in terracotta (pertanto meno resistenti alla pressione dell'acqua rispetto
ad esempio a condutture in piombo o a vere e proprie strutture in muratura),
in entrambi i casi non può trattarsi dell'acquedotto principale di Regium
Lepidi. Verosimilmente gli impianti in questione erano destinati a
servire edifici privati a carattere residenziale, fontane di giardini o
piccole terme ecc.
In secondo luogo, la nuova scoperta costituisce un'ulteriore conferma del
fatto che la zona sud-est della città fosse l'area preferenziale per la
captazione dell'acqua. A questo riguardo, sono state avanzate da Aldo Borlenghi
(archeologo specialista in infrastrutture ed edilizia di epoca romana) alcune ipotesi che hanno evidenziato
in quest'area la presenza sia del Rio Acqua Chiara che di acque sorgive. La
questione rimane aperta anche se ci auguriamo che le indagini archeologiche
forniscano ulteriori elementi di conoscenza.
Sezione dell'acquedotto più superficiale. Si vede (dal basso verso l'alto)
la fondazione in ciottoli, la parte inferiore dell'acquedotto costituita da
una sequenza di laterizi a sezione a Π rovesciata funzionale allo
scorrimento dell'acqua e il coppo di copertura
Il materiale archeologico recuperato durante gli scavi andrà in parte nei
depositi e in parte presso ai Musei Civici di Reggio Emilia.
Data l'importanza dei manufatti e l'interesse suscitato dal loro
rinvenimento, stiamo già lavorando a un progetto di valorizzazione.
Trattandosi di strutture in terracotta facilmente asportabili, stiamo
pensando di rimuoverle e ricollocare una porzione di entrambi gli impianti
all'interno dei Musei Civici. Al momento stiamo valutando gli spazi e le
modalità di recupero, ma l'intento è certamente di renderli fruibili, dopo
adeguato restauro, in uno spazio espositivo ad hoc e attraverso una
pubblicazione che ne racconti la storia.
Quanto alla preoccupazione principale dei media e dei cittadini reggiani
(un ritardo nell'esecuzione dei lavori di costruzione del nuovo centro onco-ematologico) vorremmo rasserenare gli animi. È
evidente che i lavori subiranno un lieve rallentamento ma nulla che non
fosse già ampiamente previsto, considerato che già si sapeva
dell'esistenza di uno dei due acquedotti; oltre a ciò, dobbiamo sottolineare che, a parte
il nuovo acquedotto, non sono state trovate altre strutture ma solo canali e
fosse, peraltro già scavate.
Salvo sorprese eclatanti, quindi, riteniamo di
concludere le indagini archeologiche entro un paio di mesi, al massimo tre,
considerando anche i tempi necessari allo smontaggio e ricollocazione
dei pezzi all'interno dei Musei Civici