venerdì 30 settembre 2016, alle ore 18
presentazione del volume
La villa e la pieve
Storia e trasformazioni di S. Giovanni in Ottavo di Brisighella tra l’età romana
e il Medioevo
a cura di Chiara Guarnieri
Dal 14 giugno 2014 è possibile visitare la suggestiva cripta della Pieve del Tho, uno dei monumenti di età romanica più commoventi e meglio conservati del ravennate. E' stato infatti inaugurato il nuovo percorso di visita dei vani sotterranei della Pieve di San Giovanni in Ottavo, detta del Thò, arricchito da pannelli che ne narrano storia e vicende e dall'esposizione dei materiali di epoca romana e medievale rinvenuti nel corso degli sterri degli anni ’50 e ’60.
Per visite a richiesta (minino 10 persone e previa disponibilità) contattare:
Ufficio Pro Loco Tel. 0546.81166 -
iat.brisighella@racine.ra.it
(l'ufficio è aperto dal lunedì al mercoledì dalle 9 alle 13; dal giovedì alla
domenica dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 18)
Poiché le visite sono sospese in occasione delle cerimonie, vi invitiamo a contattare per info l'Ufficio Pro Loco al Tel. 0546 81166
Ufficio Cultura del Comune di Brisighella Tel. 0546 994415 - cultura@comune.brisighella.ra.it
Il nuovo percorso espositivo nei locali interrati della Pieve del Tho (foto
Roberto Macrì
©2014
SBAER)
Percorrendo
la Strada Statale 302 che collega Faenza a Marradi, lungo la Valle del Lamone,
oltrepassata Brisighella di poco più di un chilometro, si incontra uno dei
monumenti più belli di questo territorio, la Pieve di San Giovanni in Ottavo,
detta Pieve del Tho.
La pieve è una delle pievi romaniche più importanti e meglio conservate della
Romagna: il suo nome deriva dalla posizione in corrispondenza dell’ottavo miglio
della Via Faventina, strada di collegamento tra Faenza e Firenze la cui
esistenza è documentata a partire dall’età romana dalle fonti itinerarie e dai
rinvenimenti archeologici.
L'interno della Pieve del Tho (foto
Roberto Macrì
©2014
SBAER)
La pieve sorse in corrispondenza di una villa urbano-rustica di età romana,
documentata dalla presenza di numerosi frammenti ceramici e laterizi e di
numerosi dolia, alcuni dei quali conservati in situ e inglobati all’interno
delle murature visibili all’interno della cripta. A un sepolcreto prediale di
epoca tardo-antica, probabilmente connesso alla villa, possiamo invece mettere
in relazione le tombe alla cappuccina rinvenute sotto la chiesa.
La pieve è menzionata per la prima volta in una pergamena del 12 febbraio 909,
conservata nell’archivio capitolare di Ravenna (plebs Sancti Johannis qui
vocatur in Octavo). L’impianto attuale sembra tuttavia potersi riferire
-sulla base delle caratteristiche architettoniche, della decorazione
architettonica e scultorea e di un’iscrizione oggi non più visibile– all'inizio
del XII secolo.
La pieve romanica si presentava come un edificio suddiviso in tre navate da due
file di cinque colonne sormontate da archi; per la sua costruzione si è fatto
largo uso di elementi romani e tardo-antichi di reimpiego (colonne in granito
grigio, capitelli corinzi asiatici e capitelli a lira, basi attiche, un
miliario).
L’edificio ha subito profonde trasformazioni nel corso del XVI secolo, quando fu
ampliato sul lato occidentale con l’aggiunta di due campate e fu innalzato di
circa 1 metro il piano di calpestio rispetto al livello precedente.
Fu probabilmente proprio in occasione del restauro cinquecentesco che la cripta
venne messa definitivamente fuori uso e riempita di macerie: tale rimase fino
agli anni ’50 del XIX secolo, quando il pievano Don Pio Lega iniziò un’attività
di sterro sistematico funzionale alla realizzazione di una serie di interventi
di consolidamento strutturale delle murature soprastanti. Nel corso di questo
sterro furono recuperati moltissimi reperti, databili tra l’epoca romana e l’età
rinascimentale, che forniscono un’eccezionale testimonianza sulla storia
insediativa del sito e sulle fasi costruttive dell’edificio.
Panoramica della cripta della pieve (foto
Roberto Macrì
©2014
SBAER)
Tra i materiali recuperati, il gruppo più antico è costituito dai reperti di età
romana (I secolo a.C.-IV secolo d.C.), tra cui si segnalano diverse anfore da
trasporto, una lucerna, vasellame da mensa in ceramica a vernice nera, ceramica
comune da fuoco, da mensa e da dispensa, numerosissimi frammenti di dolia
(alcuni dei quali conservano lettere o numerali iscritti e grappe in piombo) e
materiale edilizio riferibili all’edificio urbano-rustico che doveva sorgere nel
sito (esagonette, losanghe, mattoni, tegole). All’epoca romana sono riferibili
anche alcuni elementi lapidei, almeno in parte riferibili a contesti funerari,
come due frammenti di colonna scanalata in calcare, una transenna della stessa
tipologia di quelle utilizzate nel monumento sarsinate di Obulacco, un capitello
di piccolo modulo di tipo corinzio-asiatico e un cippo funerario iscritto con le
lettere B M.
Un gruppo di reperti altrettanto consistente è riferibile all'epoca medievale o
alla prima età rinascimentale. I materiali più interessanti sono quelli
riferibili all’arredo liturgico della fase alto-medievale della pieve, tra cui
emergono alcuni frammenti in arenaria pertinenti all’ambone e a plutei decorati
con motivi geometrici e vegetali o con motivi figurati che componevano
l’originaria recinzione presbiteriale e un capitello-imposta in calcare. Tra gli
altri materiali lapidei, si segnalano la base troncopiramidale di una croce
astile, un frammento di transenna da finestra, una formella raffigurante un
cavaliere, un frammento di uno stemma in calcare raffigurante una torre su un
monte, di età post-medievale, oltre a numerosi lacerti di intonaco dipinto e a
frammenti di manufatti in vetro (calici, bicchieri, bottiglie, lampade a
sospensione).
Il percorso espositivo
Il progetto elaborato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e
Paesaggistici per le Provincie di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini e
dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna ha previsto
l’allestimento di un percorso di visita all’interno dei vani sotterranei della
Pieve del Thò - corrispondenti in parte all’originaria cripta-oratorio e ai vani
adiacenti ed in parte agli ambienti artificialmente ricavati in occasione degli
interventi strutturali effettuati tra gli anni ’50 e ’60 del XIX secolo - che
grazie ad una serie di interventi di manutenzione e restauro condotti a partire
dal 2000 sono oggi completamente fruibili.
Il progetto è stato improntato al duplice obiettivo di restituire alla fruizione
gli ambienti sotterranei (in particolare la cripta-oratorio sottostante al
presbiterio e risalente alla più antica fase edilizia della pieve) e di esporre
i materiali di epoca romana e medievale rinvenuti nel corso degli sterri degli
anni ’50 e ’60. I reperti archeologici sono esposti all’interno di ampie
vetrine poste nei vani meridionali, mentre gli elementi
lapidei di maggiori dimensioni (capitello-imposta, transenna di epoca romana,
plutei e ambone) sono collocati negli ambienti stessi su appositi supporti.
L’allestimento è completato da un ampio apparato didattico costituito da pannelli, funzionali non soltanto ad illustrare forme, funzioni e
cronologia delle strutture visibili e dei materiali esposti, ma anche a
ricostruire la storia insediativa pluristratificata del sito.
Il percorso di visita inizia dal vano di ingresso occidentale, sulle cui pareti
sono collocati i pannelli introduttivi (colophon, planimetria
della pieve e della cripta, pannelli relativi alla fase di occupazione romana
del sito e alla storia della pieve).
Di qui il percorso si snoda nell’ambiente
successivo occupato dall’originaria fornace per campane, e in quello adiacente
a nord-est, dal quale è visibile, al di là di un cancello di protezione, la
ricostruzione di una delle tombe alla cappuccina individuate nel corso degli
sterri degli anni ’50.
Il percorso prosegue quindi lungo i
tre ambienti posti lungo il lato meridionale della chiesa, con vetrine dedicate
ai
materiali di epoca romana e ai reperti di età medievale e rinascimentale. Qui,
sopra appositi supporti, sono collocati una transenna di età romana, i plutei alto-medievali e il
capitello-imposta, mentre nell’ambiente che immette alla cripta vera e propria è ricostruita parte dell’ambone.
Il percorso di visita termina
nell’ambiente absidato della cripta, che è stato intenzionalmente lasciato
libero (fatta eccezione per la presenza di un’urna in marmo grigio di proprietà
della Curia nell’angolo sud-occidentale) per consentire di apprezzarne appieno
la volumetria e la struttura architettonica.
Ricostruzione di una delle tombe alla cappuccina individuate negli anni ’50
(foto Roberto Macrì
©2014
SBAER)
La Pieve è visitabile ogni domenica pomeriggio
dalle 15 alle 18
Per visite a richiesta (minino 10 persone e previa disponibilità) contattare:
Ufficio Pro Loco Tel. 0546.81166 -
iat.brisighella@racine.ra.it
Ufficio Cultura del Comune di Brisighella Tel. 0546 994415 -
cultura@comune.brisighella.ra.it
Nel periodo estivo (maggio-settembre)
si prevede di estendere l’apertura anche al sabato
L’accesso alla cripta è gratuito e consentito a gruppi di persone non
superiori alle 15 unità, con visita guidata e/o accompagnata
Veduta della Pieve dalla strada (foto
Roberto Macrì
©2014
SBAER)
La
costruzione della cripta negli edifici religiosi si diffonde in Occidente a
partire dal VII secolo; creata in funzione delle pratiche connesse al culto
delle reliquie, nel corso del tempo e con il mutare delle esigenze liturgiche
assume dal X secolo prevalentemente la funzione di cappella ad uso quotidiano
del clero per la liturgia delle ore (le principali: lodi, ora media, vespro,
compieta).
La cripta della Pieve del Thò rientra in quest’ultima tipologia funzionale,
detta anche “a oratorio”.
Costruita utilizzando mattoni e laterizi di recupero e blocchi di spungone, ha
subito vari interventi che hanno in parte alterato l’impianto originario.
La cripta presentava originariamente uno spazio suddiviso da tre coppie di
pilastrini o colonne (di cui sono visibili attualmente solo alcune basi) che
sorreggevano una copertura con volte a crociera. Illuminata da tre monofore
poste nell’abside, vi si accedeva in origine dalla navata principale della
chiesa tramite una scala centrale. Sul mattone di età romana che si trova sul
lato della scala è incisa una tavola da gioco (tabula lusoria) che
testimonia il grande amore dei Romani per tutti i tipi di intrattenimento.
Definite da linee incrociate, da scacchiere o da quadrati concentrici, troviamo
queste tabulae lusoriae graffite sui gradini dei monumenti, ad esempio
nella Basilica Giulia al Foro Romano. Con l’aiuto delle pedine, che potevano
essere anche semplici frammenti di mattone o sassolini, era possibile fare
svariati giochi: il più conosciuto era il ludus latruncolorum o gioco dei
mercenari (in latino latro significa appunto questo) simile all’odierna dama. Un
gioco d’azzardo era invece il filetto o tric-trac dove le pedine venivano mosse
secondo il getto dei dati, gioco che appassionava Trimalcione così come ci
racconta Petronio nel suo Satyricon.
Oltre ai reperti provenienti dagli scavi, all’interno della cripta sono
conservati anche materiali originariamente esposti all’interno della chiesa.
Tra questi ultimi figura l’urna o piccolo sarcofago in marmo grigio (nella foto)
che, secondo la testimonianza di una targhetta marmorea oggi perduta, conteneva
le ceneri di S. Claro martire.
Le vicende dell’urna sono strettamente
legate alla storia dell’antica famiglia brisighellese dei Lega: fu donata a
Girolamo Lega nel
1855 da papa Pio IX e in seguito, nel 1908, ceduta alla pieve
da Claro Lega, nipote di Girolamo.
Conservata originariamente in uno degli
altari laterali della chiesa, a seguito dei restauri del 1934 l’urna fu spostata
in canonica e quindi, dal 1956, trasferita nel luogo attuale per iniziativa del
pievano Don Pio Lega, membro della stessa famiglia e promotore degli scavi che
furono effettuati nella cripta negli anni ‘50, come ricorda l’epigrafe incisa
sul cippo che sostiene l’urna.
Le origini della Pieve del Tho sono tanto remote quanto incerte. Se la vulgata vuole che la
pieve risalga all'epoca
della figlia di Teodosio, Galla Placidia, che l'avrebbe fatta erigere con i
resti di un tempio pagano dedicato a Giove Ammone, quel che è certo è che sia
già menzionata in un documento ravennate del 909, mentre da una bolla papale del
7 Dicembre 1143 risulta che la Plebs Sancti Johannis in Octavo fosse l’unica
pieve esistente del territorio.
La primitiva chiesa, sorta probabilmente tra l'VIII e il X secolo e andata
distrutta, fu poi ricostruita in stile romanico nel corso dell’XI secolo (con un
successivo ampliamento di XVI secolo) nelle forme che ancora oggi
ammiriamo.
È detta "in ottavo" (e da ottavo, tho) perché collocata all'ottavo miglio della
Via Faventina (indicata nella Tavola Peutingeriana), la strada romana che
congiungeva Faenza e l'Etruria.
La Pieve del Tho è un suggestivo tempio in stile romanico a tre navate, definite
da archi che poggiano su 11 colonne di marmo grigio e una in marmo rosso di Verona, di
spessore diverso fra loro.
L’edificio è largo 13.20 metri e lungo 26.60 metri. La facciata, semplice e
lineare, è costituita da materiale di reimpiego, tra cui mattoni romani.
Tra i capolavori conservati all’interno della chiesa e che testimoniano
l'antichità e l’importanza di questa pieve della valle del Lamone si segnalano
un miliario romano iscritto databile al IV secolo e un capitello corinzio
(pertinente a un'acquasantiera) del I secolo a.C. (entrambi di reimpiego), una
lastra che ora funge da paliotto dell'altare centrale (VIII-IX sec.), una lapide
funeraria in ceramica (XVII sec.) e alcuni affreschi dei secoli XIV-XVI
Pieve del Tho a Brisighella (RA)
Tecnologie innovative per scoprire i segreti di una chiesa millenaria
Il 30 e 31 maggio 2013, il 3D GraphLab dell'unità UTICT dell'ENEA di Bologna, in
collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici
dell’Emilia-Romagna, ha eseguito la campagna di rilievo e digitalizzazione attraverso tecnica laser
scanning della cripta della Pieve del Tho.
La finalità principale di questa operazione è stata di fornire agli archeologi
un rilievo morfometrico di dettaglio della struttura che permettesse anche una
lettura dettagliata delle unità stratigrafiche murarie.
Il progetto prevede anche la realizzazione di modelli tridimensionali delle USM
utilizzando tecniche image-based.
La scansione è stata realizzata utilizzando un laser scanner a tempo di volo
che ha restituito un file di output (nuvola di punti) con una risoluzione
geometrica media di 1 cm x 1 cm.
Sono stati acquisiti contestualmente il dato RGB della struttura nonché il dato
di riflettenza, il quale permette, in condizioni ottimali, di discriminare i
diversi materiali costituenti le strutture murarie.
Dalla nuvola di punti, in questa fase sono state estratte le ortofoto di
ciascuna parete, necessarie agli archeologici per identificare e riportare in
software CAD senza distorsioni le diverse fasi stratigrafiche.
Il rilievo ha previsto come primo step l'esecuzione di 20 "stazioni" per
digitalizzare l'intera cripta ed i due ambienti circostanti. Queste 20 scansioni
(un numero relativamente alto in rapporto alle dimensioni degli ambienti) sono state eseguite per evitare
eventuali mancanze sulla nuvola
di punti causate da coni d'ombra oppure occlusioni dovute agli oggetti
presenti ed inamovibili per pregio e dimensione.
Una delle 20 "stazioni" eseguite per digitalizzare l'intera cripta ed i due
ambienti circostanti
Le 20 scansioni sono state poi unite in un unico sistema di riferimento (fase di registrazione) come si può vedere dalla nuvola di punti totale nelle foto sotto, in vista assonometrica, front e top.
Elaborazione a nuvola di punti delle scansioni assonometrica, frontale e dall'alto della cripta della Pieve del Tho (foto Enea,
© 2013)
La campagna laser scanner è stata eseguita per avere un rilievo morfologico
dell'intera struttura; per analizzare le diverse fasi
stratigrafiche delle murature; per estrarre piante e sezioni utili allo studio
ed alla comprensione del complesso; per ottenere le quote delle colonne della
pieve soprastante rispetto ad uno 0 identificato ad hoc nella cripta.
La collaborazione con la Soprintendenza proseguirà oltre che nell'estrazioni di
ulteriori dati dalla nuvola di punti, anche con una ricostruzione 3D delle
pareti attraverso tecniche image based.
Valorizzazione della cripta della Pieve del Thò
Allestimento: Andrea Alberti,
Chiara Guarnieri,
Giovanna Montevecchi, Luca Piccirillo
Vetrine e supporti: La Bottega del Fabbro, Ravenna
Testi: Chiara Guarnieri,
Simonetta Minguzzi, Giovanna Montevecchi, Claudia Tempesta
Grafica: Rossana Gabusi (SBAER)
Restauro materiali: Enrico Bertazzoli (SBAER), Kriterion Bologna
Foto: Roberto Macrì (©2014
SBAER)
Si ringraziano: Parrocchia di San Giovanni Pieve in Ottavo e il geometra
Marcello Casadio, C.A.B. (Cooperativa Agricola Brisighellese), Cooperativa Valle
del Lamone e Rosa Angela Nonni
Inaugurazione del percorso di visita, sabato 14 giugno 2014, ore 18.30
Sono intervenuti:
Mons. Mariano Faccani Pignatelli, Direttore Ufficio Arte Sacra Diocesi di
Faenza e Modigliana
Davide Missiroli, Sindaco del Comune di Brisighella
Antonella Ranaldi, Soprintendente per i Beni Architettonici e
Paesaggistici per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini
Chiara Guarnieri,
Funzionario della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia- Romagna
Armando Menichelli, Vicepresidente della Fondazione Banca del Monte e
Cassa di Risparmio di Faenza
A cura della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna e della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle Province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini, con il contributo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, del Comune di Brisighella, della Parrocchia di San Giovanni in Ottavo, della Fondazione Banca del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza, della C.A.B. Terre di Brisighella, della Cooperativa Valle del Lamone e di Rosangela Nonni
Presentazione del volume "La villa
e la pieve. Storia e trasformazioni di S. Giovanni in Ottavo di Brisighella tra
l’età romana e il Medioevo" a cura di Chiara Guarnieri venerdì 30 settembre alle
ore 18 alla Parrocchia di S. Giovanni Battista in Ottavo, Via Siepi 1 (Pieve del
Thò) a Brisighella (RA)
Intervengono
Mons. Mario Toso, Vescovo Diocesi Faenza-Modigliana
Mons. Mariano Faccani Pignatelli, Delegato Diocesano per l’Arte Sacra e
Beni Culturali e Direttore dell’Ufficio
Don Mirko Santandrea, Amministratore Parrocchiale Pieve Thò
Davide Missiroli, Sindaco del Comune di Brisighella
Giorgio Cozzolino, Soprintendente Archeologia Belle Arti e Paesaggio di
Ravenna, Forli-Cesena, Rimini
Chiara Guarnieri, Archeologa della Soprintendenza Archeologia, belle arti
e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena,
Reggio Emilia e Ferrara
Sono presenti gli autori
La
villa e la pieve
Storia e trasformazioni di S. Giovanni in Ottavo di Brisighella tra l’età romana
e il Medioevo
a cura di Chiara Guarnieri
Con contributi di Dante Abate, Andrea Alberti, Paolo Casadio, Francesca
Cenerini, Chiara Guarnieri, Stefano Lugli, Simonetta Minguzzi, Giovanna
Montevecchi, Paola Novara, Paolo Pallante, Enrico Maria Selmo, Claudia Tempesta
La pieve del Thò (San Giovanni Battista in Ottavo) è stata oggetto di
numerosi studi specialmente dopo le scoperte avvenute nelle campagne di scavo
condotte negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento e gli interventi della
Soprintendenza di Ravenna conclusi nel 1987, che hanno conferito all’interno
l’aspetto attuale. Accanto a varie pubblicazioni di taglio divulgativo, questi
studi hanno preso in considerazione i reperti di età romana riemersi dagli scavi
e relativi alla villa rustica sul cui sito sorse la chiesa, e si sono
indirizzati sia ai materiali di spoglio reimpiegati nell’edificio sacro che
all’arredo fisso della chiesa di età alto e basso medievale; altri studi
approfonditi sono stati redatti sul ruolo di guida spirituale che la pieve
ricoprì nella vallata del Lamone fino a tutto il XIV secolo. Tutti questi
contributi erano certamente importanti e di indubbio spessore scientifico ma
hanno sempre considerato singoli aspetti delle vicende della chiesa o
approfondito argomenti particolari.
Grazie al contributo di vari specialisti, il volume curato da Chiara Guarnieri
affronta per la prima volta in modo organico l’intero arco cronologico delle
vicende del sito su cui si impiantò la villa romana (attiva verosimilmente fino
al VI secolo) e le trasformazioni subite dall’edificio sacro sorto sulle rovine
della villa stessa, dalla sua erezione alla seconda metà del XVI secolo.
Lo studio prende in esame sia i reperti emersi nelle campagne di scavo sia i
dati ricavabili dalla analisi delle strutture murarie relative alle fasi più
antiche della chiesa, tornate in luce con la riscoperta della cripta negli anni
Cinquanta e con gli scavi successivi.
Lo studio delle strutture murarie della cripta si è avvalso dell’apporto delle
più moderne metodologie di indagine con strumenti messi disposizione dal Centro
Ricerche ENEA di Bologna, con risultati illustrati da Dante Abate.
Paola Novara ha condotto una capillare ricerca sulle fonti archivistiche
e sulla documentazione degli scavi, condotti negli anni Cinquanta e Sessanta e
ha scoperto un’inedita relazione di Mario Mazzotti, relativa alla campagna di
scavi del 1951 – 1953, conservata presso la Biblioteca Classense di Ravenna, che
è pubblicata in calce al suo saggio.
Oggetto del contributo di Andrea Alberti sono i lavori di restauro
condotti tra il 1929 e il 1933 dalla Soprintendenza, interpretati in base alle
concezioni metodologiche dell’epoca, propense al ripristino della facies
romanica del monumento.
Giovanna Montevecchi prende in considerazione il territorio della pieve
in età romana e tardo antica, illustrando gli aspetti di cultura materiale
relativi all’attività agricola svolta nella villa, consistente nella lavorazione
del vino e dell’olio e nel loro commercio. I materiali archeologici sono
studiati con Claudia Tempesta che ha curato lo studio delle anfore.
Il saggio più complesso e ricco di novità è quello di Chiara Guarnieri,
dedicato alla successione delle fasi costruttive della pieve. L'archeologa ci
guida dalla fase iniziale, posta ipoteticamente tra l’VIII e l’XI secolo, alla
fase romanica (inizi del XII), ad una probabile terza fase, datata dopo il
terremoto del 1279, fino ai lavori del XVI secolo, articolati in due momenti,
nella prima metà del secolo e tra il 1570 e il 1572, sotto il pievano Andrea
Callegari.
La fase iniziale (descritta con l’apporto di dati innovativi rispetto agli studi
in precedenza dedicati all’edificio originario) risulta essere quella più
problematica, non essendo possibile fissarne con certezza l’inizio (le prime
attestazioni documentarie risalgono solo alla fine del IX secolo). La chiesa
romanica, ancorabile alla data 1100, che si legge nella consunta scritta di
dedicazione sul capitello della seconda colonna della navata nord, si sviluppò
nel XII secolo con la sottostante cripta ad oratorio. Tale impianto subì alcune
modifiche verso la fine del XIII secolo, ma fu solo nel XVI secolo che venne
presa la decisione di interrare la cripta con materiali di risulta e di ampliare
la chiesa verso ovest, inglobando e trasformando il vano che in età medievale
aveva svolto la funzione di nartece o portico.
La studiosa, inoltre, chiarisce in modo convincente la funzione svolta dalla
costruzione a pianta circolare in mattoni rinvenuta negli scavi sotto il
pavimento della navata centrale: si tratta della struttura (camicia in
laterizio) apprestata per la fusione di una campana, come si riscontra in altri
edifici sacri, secondo le modalità descritte nei manuali di pirotecnia fin dal
Medioevo.
Molto importante anche lo studio di Simonetta Minguzzi dedicato in
particolare ai frammenti dell’arredo lapideo fisso della chiesa altomedievale e
romanica. Grazie al confronto con ricostruzioni grafiche condotte su
testimonianze conservate in edifici coevi, sono analizzati e illustrati i
reperti che dovettero far parte della recinzione dello spazio absidale, con
l’altare protetto da un ciborio e con l’ambone. La studiosa propone di riferire
i frammenti recanti elementi simbolici (grappoli d’uva o motivi ad intreccio)
alla fase altomedievale, mentre ritiene assegnabili alla fase romanica (entro il
XII secolo) i reperti nei quali compaiono figurazioni antropomorfe (come il
bassorilievo che funge da paliotto all’altare).
Il capitolo dedicato a "Plebs Sancti Johannis qui vocatur in Octavo" è
completato dal contributo di Paolo Casadio sui frammenti di
affresco recuperati negli scavi
Il capitolo conclusivo del volume è dedicato allo studio dei reimpieghi di
elementi di età romana provenienti da edifici sorti in città vicine o da
monumenti funebri eretti, come di consuetudine, lungo le strade, fuori dai
centri abitati. Francesca Cenerini illustra le iscrizioni, da quella
assai nota incisa sul miliario del IV secolo reimpiegato come colonna sul lato
sud, ai frammenti di lapidi funerarie inseriti nelle strutture murarie.
Claudia Tempesta descrive e classifica i magnifici capitelli, che si scalano
dalla metà del I secolo a. C. (capitello usato come acquasantiera) al III-IV
secolo e al V- inizi VI d. C. (collocati in gran parte sulle colonne del lato
nord).
Nello studio di Stefano Lugli, Paolo Pallante e Enrico Maria Selmo viene
chiarita la provenienza dei pregiati marmi antichi impiegati per i capitelli e
le colonne e dei materiali poveri, di provenienza locale (lo “spungone”,
l’arenaria, i conci in laterizio), impiegati nella costruzione.
Il volume si chiude con l’illustrazione dell’allestimento dei reperti negli
spazi sottostanti il pavimento della chiesa (inaugurato nel 2014) e con la ricca
bibliografia curata da Massimo Morara.
2016, Editore Ante Quem S.r.l.
Pagine 160
Prezzo di copertina € 24,00
Il volume è il quinto della DEA, Documenti
ed Evidenze di Archeologia, collana della Soprintendenza Archeologia, belle
arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena,
Reggio Emilia e Ferrara