Nel 2004, in località Torretta di Noceto, è venuta in luce una grande 
vasca rivestita di legno che non solo rappresenta una poderosa opera di 
ingegneria e carpenteria dell'età del Bronzo ma il cui significato va probabilmente cercato nella 
sfera del sacro. Un reperto in eccezionale stato di conservazione, risalente a 
3500 anni fa, una scoperta che rivoluziona le nostre conoscenze sulla 
protostoria e sulle credenze religiose della civiltà delle terramare.
A poco più di un lustro dalla scoperta, Maria Adelia Bernabò Brea 
e Mauro Cremaschi hanno dato alle stampe il volume “Acqua e civiltà nelle 
Terramare, la vasca votiva di Noceto”, (Università degli Studi di Milano/Skira, 2009, € 50) 
che in 264 pagine illustra questo stupefacente rinvenimento e le ipotesi sul suo 
utilizzo. 
La vasca fu costruita ai margini di un villaggio terramaricolo, quasi totalmente 
distrutto dalle cave di terra fertile nel XIX secolo. Per realizzarla fu scavata 
una cavità ampia circa 22 x 13 metri e profonda almeno 4, entro cui  fu 
delineato un perimetro rettangolare di 12 metri x 7, ponendo a distanze regolari 
24 pali alti più di 3 metri, infissi verticalmente. I pali erano bloccati, sia 
alla sommità che alla base, da un reticolo di lunghe travi disposte 
ortogonalmente e diagonalmente. L’intero perimetro della struttura fu rivestito 
da assi lunghe 1,50- 2 metri e larghe circa 50 cm, poste di taglio, in almeno 10 
corsi.
La grande vasca costruita ai margini del villaggio terramaricolo di Noceto
La sedimentazione che ha colmato la vasca testimonia che essa è stata 
permanentemente colma d’acqua e si è andata progressivamente riempiendo con 
terreno eroso dai margini e decantato nell’acqua; si deve infatti alla costante 
presenza dell’acqua, oltre che all’impermeabilità del terreno in cui la vasca è 
scavata, la conservazione delle strutture e degli oggetti lignei. 
Tra il materiale rinvenuto nella vasca di Noceto si osservano un centinaio di 
vasi interi o ricomponibili che consentono una datazione tra la fine del XV e 
gli inizi del XIV sec. a.C., venticinque vasetti miniaturistici, sette figurine 
fittili di animali, resti di fauna, cestini e numerosi frammenti e strumenti 
lignei; tra questi rivestono una eccezionale importanza quattro aratri. 
Particolare rilevanza per l’interpretazione della vasca ha la posizione dei 
vasi, che giacciono con l’imboccatura in alto e in qualche caso impilati uno 
sull’altro; non sono quindi caduti o gettati, ma accuratamente posati. E’ questo 
uno degli elementi che ci obbliga a pensare che la vasca fosse una sorta di 
bacino artificiale destinato a ricevere una serie di offerte votive 
rappresentate soprattutto da recipienti, ma anche da attrezzi agricoli e da 
raffigurazioni miniaturistiche di vasi e di animali. 
La vasca di Noceto rappresenta una eccezionale testimonianza della competenza 
tecnica e delle capacità organizzative di cui le comunità terramaricole erano 
dotate, e più in generale dell’ investimento di lavoro e risorse che una 
comunità dell’età del Bronzo poteva dedicare alla sfera del sacro. 
 
Particolare della vasca di riempimento. Si noti la costruzione delle pareti, 
formate da assi di quercia, tenute da lunghi pali verticali, che poggiano una 
sull'altra senza alcun tipo di fissaggio o incastro. Sul fondo della vasca, sono 
visibili i recipienti (dello stesso tipo di quelli usati nella vita quotidiana) 
deposti integri e con l'imboccatura verso l'alto
Nel 2004, la provvidenziale segnalazione di un cittadino di Noceto ha consentito di 
assicurare alla ricerca ed alla futura conservazione la vasca lignea dell’età 
del Bronzo portata in luce casualmente in località Torretta, durante i  
lavori del cantiere edile dell’impresa La Sorgente. 
Il tempestivo intervento d’emergenza promosso dalla Soprintendenza per i Beni 
Archeologici dell’Emilia-Romagna e le campagne di scavo che si sono succedute 
grazie alla collaborazione dell’Università degli Studi di Milano e del Comune di 
Noceto hanno restituito una ricchissima messe di materiali archeologici e dati 
scientifici, fino ad oggi -se si esclude un servizio sulla rivista Archeo del 
marzo 2007- inediti. 
Risale al 2009 la pubblicazione del volume curato da Maria Bernabò Brea e Mauro 
Cremaschi dal titolo “Acqua e civiltà nelle Terramare, la vasca votiva di 
Noceto”, rivolto non solo agli specialisti ma a un ampio pubblico, che ha inteso 
colmare questa lacuna informativa, sopperendo con la ricchezza della 
documentazione proposta al fatto di essere ancora preliminare: gli scavi infatti 
non sono ancora terminati e gli studi sono appena agli inizi. 
L’eccezionale rilievo della vasca votiva della Torretta di Noceto può 
comprendersi a pieno quando si collochi questo monumento nel contesto della 
civiltà dell’età del Bronzo europea, ed in particolare della cultura delle 
Terramare, e si consideri la straordinaria importanza che la risorsa idrica ebbe 
nello sviluppo dei siti padani.
Malgrado la conoscenza capillare del territorio, che permette oggi alla 
Soprintendenza Archeologica di tutelare con sempre maggiore efficacia i siti 
archeologici, la scoperta di Noceto ha colto tutti di sorpresa, poiché è 
avvenuta ai margini di un villaggio di cui si era completamente persa la 
memoria. E’ noto infatti che le terramare, la cui esplorazione ha caratterizzato 
la prima stagione della ricerca pre-protostorica italiana nella seconda metà del 
XIX secolo, sono state fortemente danneggiate dalle cave di terra fertile e in 
alcuni casi completamente distrutte. Questo è quanto avvenne alla terramara di 
Noceto, della quale tuttavia sopravvive ancora qualche lembo marginale, e che 
comunque si colloca in un territorio densamente popolato nel corso del l’età del 
Bronzo. 
La conservazione eccezionale della struttura lignea ha imposto di adeguare le 
tecniche di scavo e rilevamento e di avviare immediatamente i restauri. 
Grazie ai dati di campagna è già possibile comprendere le tecniche impiegate per 
costruire la vasca, i processi di sedimentazione che hanno portato al 
suo riempimento e come con questi abbiano interferito gli oggetti 
deposti all’interno della vasca. Le ricerche scientifiche su pollini, 
legni, frutti e resti animali contenuti nella vasca sono state avviate 
contemporaneamente al procedere dello scavo archeologico, 
così come le prime datazioni radiometriche e dendrocronologiche; i primi 
risultati ottenuti dipingono già in modo efficace il paesaggio che circondava la 
vasca al tempo della sua utilizzazione, datata con una certa affidabilità tra XV 
e XIV secolo avanti Cristo. 

Animaletti fittili rinvenuti all'interno della vasca di Noceto (intorno al XVI 
sec.a.C)
Il volume descrive infine il ricchissimo contesto 
archeologico contenuto nella vasca, che si ritiene frutto di una serie di 
deposizioni rituali: i recipienti ceramici, gli oggetti fittili, i numerosi 
utensili in legno comprendenti anche quattro aratri e 
infine le pietre intenzionalmente gettate nella vasca, più modeste ma 
anch’esse significative nel quadro dell’interpretazione del monumento.
Gli insiemi di questi oggetti e la struttura in cui erano deposti, di 
straordinario valore storico, fanno di Noceto un sito unico nel quadro della 
Preistoria europea. Il nostro augurio è che essi, insieme agli altri dati illustrati 
nel volume, abbiano la capacità di suscitare l’interesse del lettore. 
 Conclusioni 
di Maria Bernabò Brea e Mauro Cremaschi
Conclusioni 
di Maria Bernabò Brea e Mauro Cremaschi
La vasca di Noceto è un monumento archeologico singolare, in se stesso e per 
il suo stato di conservazione. Le nostre conoscenze su di essa sono ancora 
parziali, poiché una parte significativa -il suo primo impianto e 
particolarmente il fondo della fossa sottostante- attende ancora d’essere 
esplorato. E’ già chiaro tuttavia che siamo di fronte ad una testimonianza 
totalmente nuova sull’ambiente, sulla cultura materiale, sul livello 
organizzativo e sul mondo rituale del II millennio prima di Cristo. 
Le particolari condizioni chimiche che si sono verificate all’interno della 
vasca, una volta terminati i processi di sedimentazione, hanno conservato la 
struttura e gli oggetti in legno, a differenza di quanto accade nella gran parte 
dei depositi archeologici coevi, permettendo di recuperare una documentazione 
unica sull’attrezzatura (principalmente agricola, ma non solo). L’interesse di 
questo patrimonio, già elevatissimo grazie al ritrovamento degli aratri, è 
destinato ad aumentare con la continuazione dei lavori, poiché vi sono altre 
decine di oggetti lignei che potranno essere esaminati solo dopo il 
completamento del restauro. 
Al di là dei materiali archeologici, che oltre agli oggetti in legno comprendono 
altri tipi di manufatti, tra cui il ricchissimo insieme di vasellame (più di 150 
esemplari integri o ricostruibili), il riempimento della vasca costituisce un 
archivio di dati naturalistici (pollini, sedimenti, diatomee, macroresti 
vegetali, legno, anelli degli alberi, etc) il cui studio multidisciplinare, ben 
lontano oggi dall’essere esaurito, consentirà di approfondire la conoscenza del 
paesaggio padano dell’età del Bronzo, caratterizzato da una prospera 
agricoltura, e del peso che ebbero, nel sagomarlo, le azioni contrapposte del 
clima e delle comunità che vi si insediarono. 
Anche più eccezionale dei reperti lignei è, nel panorama europeo, la struttura 
stessa della vasca, che non trova confronti nei siti coevi -poiché le vasche in 
legno rinvenute in alcuni contesti alpini hanno dimensioni di gran lunga minori– 
e che restituisce un’immagine del tutto inedita sulle capacità di progettazione 
e realizzazione di una grande opera di carpenteria da parte delle comunità 
padane dell’età del Bronzo. La nostra impressione di eccezionalità 
nell’osservare questo manufatto deriva in parte dalle scarse conoscenze di cui 
disponiamo sulla carpenteria dell’epoca, che usualmente doveva applicarsi alla 
costruzione di edifici relativamente grandi, palizzate, ponti, camminamenti, 
imbarcazioni, carri… Ma è certamente fuori dell’ordinario l’accurata geometria 
della struttura, l’imponenza dello scavo che è stato necessario alla sua 
realizzazione, il reperimento del materiale adatto, la dimensione dei legni, la 
conseguente accuratezza della messa in opera. Da queste osservazioni discende 
che la vasca ha richiesto una accorta pianificazione, approfondite conoscenze 
ingegneristiche e geotecniche, nonché la capacità di organizzare, mobilitare e 
sostenere una notevole forza lavoro in possesso di approfondite competenze 
artigianali. 
Peraltro, già altri elementi della civiltà terramaricola, che sono stati oggetto 
di studi approfonditi negli ultimi anni, hanno rivelato una rilevante capacità 
operativa ed organizzativa: le imponenti opere comunitarie leggibili nei grandi 
villaggi arginati, nei loro fossati e canali e nella stessa campagna che li 
circonda, intensivamente coltivata e solcata da fossi irrigui, che hanno dato 
luogo al più antico paesaggio antropico estesamente pianificato della Pianura 
Padana. 
Tutto ciò attesta l’esistenza di una struttura sociale fortemente coesa e più 
complessa di quanto sembrino indicare i tradizionali indizi di stratificazione 
sociale, quali l’omogenea dimensione delle case, l’uniforme sobrietà delle 
sepolture, la relativa modestia delle attestazioni del lusso; è infatti evidente 
che le comunità, che pure non sono stratificate in senso proprio, comprendono al 
loro interno sia specifiche competenze tecniche, sia rilevanti capacità 
direttive.
Singolare è certamente lo scopo per cui la vasca di Noceto è stata costruita. 
Vari elementi, che abbiamo cercato di precisare, suggeriscono che tale 
significato non vada cercato nell’ambito funzionale, ma in quello rituale. 
Che la finalità esuli dal razionale sfruttamento delle risorse traspare già 
dalla posizione innaturale della vasca -alla sommità di un terrazzo, in un’area 
dove può essere stata alimentata solo mediante particolari accorgimenti- ed è 
ulteriormente sostenuta dalla posizione dei manufatti in essa contenuti, che 
negando con forza la possibilità di butti di rifiuti o cadute accidentali di 
oggetti in uso, obbliga a pensare a veri e propri atti di deposizione. 
E’ coerente con questa interpretazione la presenza di un numero significativo di 
oggetti miniaturistici, che per lo più sembrano pertinenti alla ritualità 
domestica, in parte di probabile impronta femminile (una figurina umana, vari 
vasetti), in parte invece allusivi del mondo virile: le ruote, forse gli 
animali. Sembra accertato che un rituale di frammentazione, da intendersi come 
una forma peculiare di sacrificio, abbia interessato questi ultimi oggetti; è 
anche possibile che il rito si palesi anche nei vasi di dimensione normale, ai 
quali manca spesso l’ansa o un frammento dell’orlo, ma questo dato attende 
conferma dal completamento dello studio. 
Si deve allora pensare che ogni cosa che è stata inserita nella vasca abbia un 
proprio specifico significato simbolico, benché in gran parte si tratti di 
oggetti d’uso comune: vasi non dissimili da quelli che a migliaia si trovano 
negli abitati, cesti e attrezzi di legno uguali a quelli restituiti dalle 
palafitte dell’arco alpino. 
Nel nostro contesto, questi oggetti risultano slegati dalle funzioni 
utilitaristiche per le quali sono stati prodotti, ma certamente il loro 
significato discende dal loro uso quotidiano: gli utensili di legno sono in gran 
parte legati alla cura dei campi e dei boschi (cura prevalentemente maschile, 
realizzata con aratri ed asce) ed anche i piccoli legni derivano dalla pulizia 
del bosco. Un solo oggetto (una punta di freccia) sembra alludere alla caccia. 
Pesi e fusaiole (e forse una macina) parlano invece del lavoro femminile 
all’interno della casa. E soprattutto ad un contesto domestico si riferiscono i 
vasi, che risultano selezionati per forma e dimensioni, scegliendo recipienti da 
mensa aperti e piuttosto grandi e vasi da dispensa di medie dimensioni. Questi 
due tipi, che negli abitati consideriamo funzionalmente ben distinti, non 
sembrano qui presentare una differenza molto marcata tra loro, poiché in essi si 
rileva un modesto dislivello di cura formale (tazze non molto decorate, vasi più 
decorati del comune) e un’ampia coincidenza dimensionale (per entrambi la 
capacità è in maggioranza compresa tra 1 e 3 litri); si tratta di forme che nei 
contesti d’abitato sono legate alla preparazione/conservazione e al consumo 
condiviso (ovvero non singolo) del cibo e che in un ambito rituale potrebbero 
essere adatte a presentare abbondanti offerte, reali o simboliche. 
Particolarmente stimolante e meritevole di essere approfondita col procedere 
dello studio è l’impressione che le analogie molto puntuali rilevate tra alcuni 
dei recipienti deposti possano essere ricondotte allo stesso ambito di 
produzione –in questo contesto storico presumibilmente familiare– e che sia 
quindi possibile collegare almeno in parte gli atti devozionali a singole unità 
familiari.

Uno dei cesti di fibre intrecciate recuperati a Noceto. Questo tipo di 
contenitore, che fa parte delle suppellettili utilizzate nei villaggi, è stato 
deposto nella vasca con funzione simbolica
Quali offerte sacrificali potrebbero essere interpretati, a prima vista, 
anche i resti animali trovati nella vasca, per la cui compiuta valutazione 
occorre tuttavia attendere il completamento dell’analisi, che preciserà anche la 
frequenza percentuale dei crani interi e delle parti in connessione anatomica 
che si sono osservati in corso di scavo. 
Infine, offerte puramente simboliche sembrano costituite dai ciottoli 
accuratamente scelti per dimensioni, forma e litologia dal vicino greto del 
Taro, gettati nelle acque della vasca in un gesto che in diversi contesti 
geografici e storici (pensiamo ai cumuli di sassi frequenti nell’arido paesaggio 
montano dell’Asia centrale) rappresenta un atto devozionale, spesso legato alla 
preghiera o alla memoria di un defunto. 
Pochi oggetti sembrano alludere ad un mondo diverso da quello agricolo e 
domestico (il probabile peso da bilancia e il frammento di forma di fusione, 
oltre alle già citate ruote fittili), mentre i prodotti di altre attività sono 
evidentemente stati esclusi per precisa scelta: la metallurgia non è 
praticamente rappresentata, malgrado il bronzo sia ben attestato tra le (pur 
scarse) testimonianze note dal villaggio terramaricolo di Noceto. 
L’ultima ma fondamentale componente di questa singolare struttura rituale che 
dobbiamo prendere in considerazione è l’acqua. Per raccogliere acqua, nella 
quale deporre offerte, è stata realizzata l’impresa di costruire la vasca. 
Si è già osservato che l’acqua è uno degli elementi naturali che entra con 
maggiore frequenza nei rituali dell’età del Bronzo europea (e nei miti di tutto 
il mondo), mostrando di possedere un forte significato simbolico o più 
probabilmente una serie complessa di significati simbolici, uno dei quali può 
essere connesso alla dimensione del transito tra la vita e la morte o tra la 
vita degli uomini e il mondo ultraterreno. E potrebbe esser questa l’accezione 
valida anche per la vasca di Noceto.
Ma dobbiamo anche chiederci per quale motivo questo elemento rivestisse un 
potente significato in un mondo come quello padano, per il quale in realtà 
l’acqua non era rara, anzi certamente ha rappresentato, almeno nel primo periodo 
di impianto delle terramare, un fattore del paesaggio da disciplinare per 
utilizzare il divagare dei corsi fluviali nei fossati dei villaggi e quello dei 
drenaggi naturali nella campagna. Appunto per questo, tuttavia, le comunità 
delle terramare hanno instaurato un rapporto particolare con l’acqua, 
indispensabile a sostenere l’agricoltura irrigua su cui esse si basavano: non a 
caso un episodio di aridità verso la fine del Bronzo recente sembra essere tra i 
fattori scatenanti il declino di questa civiltà. Ed ecco allora che l’acqua lega 
ad uno stesso mondo, ad un tempo produttivo e simbolico, le strutture idrauliche 
degli abitati e dei campi - collegate alle attività produttive - e la struttura 
sacra costruita per deporre le offerte. La vasca traspone dunque sul piano del 
culto la stretta relazione fra l’acqua e le pratiche agricole rappresentate 
dagli oggetti che vi sono stati immersi. 
Se l’interpretazione rituale che abbiamo proposto è corretta, la vasca 
costituisce l’unico caso esplicito a noi noto di una grande struttura dedicata 
al culto che si collochi al di fuori dell’ambito domestico, ai limiti di un 
villaggio. Come è noto, infatti, fino ad oggi erano conosciuti prevalentemente 
oggetti rituali conservati all’interno delle case, oppure deposti in luoghi 
esterni ai villaggi, spesso lontani, la cui sacralità è immanente alla stessa 
singolarità del paesaggio. Ben rare sono in Europa le strutture costruite a 
scopo rituale, e la vasca di Noceto sembra rappresentare il primo caso italiano.
Ma il significato della vasca, che sembra inquadrabile nell’ambito votivo di un 
mondo rurale, non può dirsi pienamente compreso, non solo per quanto riguarda il 
significato dell’acqua e degli oggetti in essa contenuti, ma anche per un altro 
importante aspetto: lo studio dei depositi, le datazioni radiocarboniche e la 
stessa tipologia del materiale archeologico portano a ritenere che essa sia 
rimasta in uso per un tempo assai limitato, forse poche generazioni, nel 
contesto di un abitato che invece dura parecchi secoli, l’intera traiettoria 
della civiltà terramaricola. 
Appare singolare che tanto investimento in termini di progettualità, lavoro e 
ritualità sia stato utilizzato per produrre una struttura così effimera. La 
vasca allora, più che rappresentare una struttura di culto stabile, pensata per 
durare a lungo, può riflettere invece un episodio specifico, essere stata 
destinata a ricordare un importante personaggio, celebrare un preciso 
avvenimento o scongiurare un evento temuto. 
E questa possibilità apre una nuova prospettiva per gli studi: sarebbe infatti 
la prima volta che riusciamo ad intravedere, nell’età del Bronzo del nostro 
territorio, non la testimonianza di un processo, di un evento a grande scala o 
del reiterarsi degli atti quotidiani, ma di un singolo avvenimento storico nella 
vita di una comunità. 
Le condizioni createsi dopo l'abbandono della vasca (in particolare l'assenza di 
ossigeno) hanno favorito la conservazione di numerosi attrezzi e utensili in 
legno quali aratri e altri attrezzi legati all'agricoltura, grosse pale fatte a 
remo, manici di asce, bastoni appuntiti e altri utensili di cui si sta studiando 
la funzione
Gli scavi e le ricerche sono stati dapprima sostenuti dalla Società Sorige (proprietaria del cantiere in cui è avvenuta la scoperta), ed hanno poi beneficiato di un contributo della Fondazione Cariparma (concesso al Comune di Noceto), di altri contributi del Comune di Noceto e di finanziamenti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, nella forma dapprima di perizie d’urgenza disposte dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna e poi di una perizia di spesa sui fondi derivanti dal Lotto per i Beni Culturali, con la quale saranno finanziati la ripresa dello scavo e i restauri della struttura e dei manufatti lignei.
Lo scavo, diretto da Maria Bernabò Brea per la Soprintendenza ai Beni 
Archeologici dell’Emilia Romagna e da Mauro Cremaschi per l’Università degli 
Studi di Milano, è stato affidato alla società AR/S Archeosistemi s.r.l. di 
Reggio Emilia. 
Hanno partecipato Angela Mutti e Chiara Pizzi (archeologi), Paolo Ferrari, 
Silvia Maggioni, Cristiano Nicosia, Marco Salvioni e Andrea Zerboni (geoarcheologi), 
Silvano Montanari, (collaboratore tecnico), Cristiano Putzolu e Francesca 
Ferraro (topografi), Alessandro Antonelli, Michele Bazzana, Giulia Fronza, 
Elisabetta Gagliardi, Enrico Morsiani (studenti dell’Università di Milano), 
Lorenzo Maselli e Francesca Moseriti (studenti dell’Università degli Studi di 
Parma). 
Sono intervenuti per le specifiche competenze Cesare Ravazzi, Elisa Vescovi, 
Amelia Aceti (palinologi dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca), Mauro 
Rottoli (archeobotanico, Museo di Como, Manuela Pelfini e Valentina Garavaglia (dendrocronologi, 
Università degli Studi di Milano), Jacopo De Grossi Mazzorin (archeozoologo, 
Università degli Studi di Lecce). 
Gli interventi di restauro sono stati curati da Giorgio Arcari, Anna Ghillani, 
Angela Allini (restauratori), Ugo Bologna e Paolo Vitali (collaboratori tecnici) 
della ditta Opus Restauri s.n.c. di Parma.
“Acqua e civiltà nelle Terramare, la vasca votiva di Noceto”
Università degli Studi di Milano/Skira (2009) 264 pp., € 50
a cura di Maria Adelia Bernabò Brea e Mauro Cremaschi
I disegni dei materiali sono di Angela Mutti e Chiara Pizzi e, per la tavola 
relativa ai manufatti di selce, di Paola Mazzieri, i grafici ed i disegni al 
tratto di Magda Minoli. 
La prima redazione dei testi e la cura della bibliografia sono di Angela Mutti e 
Chiara Pizzi