Scoperto nel 1897 da Arsenio Crespellani (allora Ispettore delle Antichità e direttore del Museo Civico Archeologico di Modena), misurato, documentato, disegnato e poi sepolto di nuovo a pochi mesi dal ritrovamento, riscoperto due anni fa durante i lavori per realizzare una rotatoria e restaurato grazie al sostegno della Provincia di Modena, sarà finalmente sotto gli occhi di tutti a partire dal 16 dicembre 2012
A volte ritornano. Il mosaico di Savignano sul Panaro è il protagonista della mostra
1897-2012
IL MOSAICO RISCOPERTO
MODENA
Lapidario Romano dei Musei Civici,
Palazzo dei Musei
in Largo Porta Sant'Agostino
da domenica 16 dicembre 2012 a domenica 1
settembre 2013
Aperta da lunedì al venerdì dalle 8 alle 19, sabato e domenica dalle 9.30 alle
19
25 dicembre e 1 gennaio solo 15-19
Ingresso gratuito
Per info 059.2033125
A 115 anni esatti
di distanza dal suo primo ritrovamento, il mosaico tardoromano di Savignano
-riscoperto e restaurato- torna a vedere la luce nel Lapidario Romano dei
Musei Civici a partire dal 16 dicembre 2012.
Con la mostra “Il mosaico riscoperto”, promossa dal Museo Civico Archeologico
Etnologico di Modena in collaborazione con la Provincia di Modena e la
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, viene restituita
alla città un’importante testimonianza dell’illustre passato del nostro
territorio.
I
resti di una grande struttura di tarda età romana erano venuti in luce per la
prima volta a Savignano sul Panaro, nei pressi dell’antica via Claudia, nel
1897. Erano emersi mosaici pavimentali eccezionali che avevano destato
l’attenzione dell’allora direttore del Museo Civico di Modena, Arsenio
Crespellani, tanto da spingerlo a intraprendere un vero e proprio scavo
archeologico durante il quale i tappeti musivi vennero documentati con splendidi
acquerelli policromi.
L’importanza del ritrovamento risultò subito palese: si trattava evidentemente
di un edificio di pregio che testimoniava la presenza nel territorio di
Savignano di una residenza legata all’élite della società tardoantica.
Al termine delle indagini ottocentesche i mosaici vennero ricoperti nel luogo
stesso del ritrovamento e per più di un secolo non se ne parlò più anche
se certamente
non se ne perse la memoria, oltretutto testimoniata dai pregevoli disegni che ne
documentavano l’esistenza.
L'occasione per il
recupero si è presentata tra il 2010 e
il 2011, durante i lavori per la realizzazione di una rotatoria. Sapendo che in
quel luogo era stato rinvenuto il mosaico, la Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna ha disposto il controllo archeologico che ha individuato
di nuovo i resti del complesso architettonico; si sono così potute completare le indagini archeologiche, consentendo
al contempo il distacco del mosaico di
uno degli ambienti.
Il tappeto musivo misurava originariamente circa 7 x 4,50 metri; è decorato con
elementi a treccia, geometrici e vegetali stilizzati alternati al nodo di
Salomone, con un tondo centrale incorniciato da una corona di lauro che delimita
una decorazione figurata forse di natura simbolica. L’accostamento di tessere
policrome in pietra e cotto a tessere vitree di colore verde smeraldo e rosso
rubino denota l’importanza dell’ambiente e la ricchezza del committente.
Ipotesi ricostruttiva di come poteva apparire il mosaico di Savignano
(Mulino, Melda di Sotto, Casinazzo, Strada Magazzino)
Le indagini
archeologiche sono state condotte sul campo da Giorgia Dalla Casa, dalla ditta
Tecne s.r.l., con la direzione scientifica di Luca Mercuri della Soprintendenza
per i Beni Archeologici.
Il distacco del
mosaico, effettuato dalla Società di scavo Tecne, e l’attento restauro eseguito
da Ugo Capriani e Susanna Marabini di Wunderkammer, lavori finanziati dalla
Provincia di Modena, hanno permesso di valorizzare un reperto davvero unico.
Il restauro del mosaico effettuato anche con pulitura a laser
In occasione della mostra sarà pubblicata l’edizione scientifica dello scavo a
cura di Luca Mercuri con contributi di Donato Labate, Silvia Pellegrini, Ilaria
Pulini, Carla Corti, Maria Grazia Maioli, Stefano Lugli, Giorgia Della Casa e
Ugo Capriani.
La mostra “Il mosaico riscoperto” aprirà i battenti domenica 16 dicembre, a
partire dalle ore 11, nel Lapidario Romano del Palazzo dei Musei dove rimarrà
allestita fino al 12 maggio 2013.
Il giorno dell’inaugurazione fornirà il pretesto per il consueto brindisi
natalizio, accompagnato dall’ormai tradizionale omaggio del calendario 2013,
dedicato quest’anno al riscoperto mosaico.
Savignano sul Panaro (MO) - I mosaici nel podere Melda di Sotto
di Maria Grazia Maioli, Archeologo Emerito della Soprintendenza per i Beni
Archeologici dell’Emilia-Romagna
Poco dopo il rinvenimento, i pavimenti in mosaico policromo messi in luce nel
1897 da Arsenio Crespellani nel podere Melda di Sotto, in aderenza alla via
Magazzino, vennero nuovamente ricoperti. Ne rimasero solo alcuni disegni che,
fino ad oggi, ne erano l’unica testimonianza.
I nuovi interventi di scavo, effettuati sotto la direzione scientifica di Luca
Mercuri della Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna e
condotti per allargare via Magazzino e costruire una rotatoria, consentono di
giungere a una migliore definizione del complesso edilizio, sia dal punto di
vista cronologico che funzionale.
Gli ambienti attualmente indagati sono quattro, uno solo completamente
(quello già visto e disegnato dal Crespellani, che lo indicava con la lettera A)
mentre gli altri molto parzialmente anche se in modo sufficiente a formulare
alcune ipotesi. Il nostro ambiente 1 corrisponde a quello chiamato A dal
Crespellani, il B corrisponde al nostro ambiente 3, mentre gli ambienti 2 e 4
vennero solo ipotizzati, senza essere scoperti.
Tutte le strutture rinvenute sono molto danneggiate da interventi di epoca
diversa: la scarsa o assente indicazione delle murature rende difficile definire
esattamente le dimensioni delle stanze.
L’ambiente
1, attualmente esposto, è rettangolare, approssimativamente lungo m. 6,90
con una larghezza ipotizzabile in m. 4,80. Sembra essere la stanza più
importante, almeno in questo settore dell’edificio. Il mosaico ha una struttura
geometrica centralizzata con motivi simmetrici disposti intorno ad uno centrale
di dimensioni maggiori. L’elemento centrale è costituito da una stella a otto
punte, formata da due quadrati sovrapposti in modo da formare un ottagono
centrale a lati irregolari. Le punte della stella danno origine a otto ottagoni,
di dimensioni minori, disposti a coppie di due su ogni lato; lo spazio fra
questi e i muri laterali è campito da riempitivi diversi, a seconda dello spazio
risultante, trapezoidali e triangolari. La divisione fra i motivi è data da una
treccia a torsione con colori in sfumatura, uno dal bianco al nero e l’altro dal
bianco al rosso, in modo che la diversità dei toni faccia risaltare meglio
l’intreccio.
L’ottagono centrale ha un motivo circolare a fondo bianco contenente una corona
a ghirlanda e, presumibilmente, un centro figurato; la linea che forma il bordo
esterno è dotata di una serie di punte triangolari di colore nero, di altezza
diversa in modo da adattarsi allo spazio disponibile, motivo che può essere
considerato caratterizzante di questo mosaico, dato che ritorna in tutti i suoi
componenti. La ghirlanda interna, circolare, sembra formata da foglie d’alloro,
prevalentemente verde scuro, parzialmente sovrapposte alternando fasce di foglie
chiare e scure: i bordi esterni presentano una fitta successione di spine.
L’importanza della decorazione è confermata anche dalla presenza di tessere in
vetro rosso e verde, disposte sembra casualmente, ma chiaramente visibili alla
luce. Il centro è molto frammentato e i pochi elementi rimasti fanno pensare al
piede e al ventre di un vaso panciuto, sul tipo del kantharos, elemento
simbolico all’epoca molto comune e presente anche nell’ambiente 3, come
evidenziato dal disegno del Crespellani.
Gli ottagoni laterali sono conservati solo in parte, tanto che non è possibile
dire se essi si ripetessero simmetricamente; tutti comprendono motivi circolari
interni, con bordo a triangoli appuntiti in nero su bianco.
La
stanza B del Crespellani corrisponde all’ambiente 3. È stato scavato in
un secondo tempo, soprattutto per controllarne lo stato di conservazione e, dopo
essere stato protetto e fotografato, è stato nuovamente ricoperto. Si tratta di
una stanza quadrata, con lati approssimativamente di m. 3 e con una cornice
esterna bianca. Ha anch’esso un motivo policromo a schema centralizzato, con una
successione di cerchi concatenati, di diametro maggiore e minore, che formano,
al centro di ogni gruppo di otto cerchi, un ottagono irregolare con lati
rettilinei e curvilinei.
La parte scavata è molto danneggiata, tanto che, per molti dei motivi prima
descritti, l’unica testimonianza è il disegno di Crespellani, che ne riporta
solo un angolo (a sinistra).
I cerchi hanno la circonferenza formata da una treccia a due capi su fondo
scuro. Quello d’angolo contiene un elegante kantharos, i cerchi minori
presentano fiori a quattro petali cuoriformi su fondo scuro, quelli maggiori (al
centro dei lati) contengono due pesci disposti in posizione opposta, uno
sull’altro, mentre gli spazi di risulta sono riempiti da racemi con foglie
d’edera cuoriformi. Anche l’ottagono centrale sembra contenere un motivo marino,
presumibilmente un grande delfino.
I pavimenti 1 e 3, appartengono alla stessa epoca, inquadrabile attorno
all’inizio del V secolo.
Diversa è la situazione degli altri due pavimenti, il 2 e il 4, sconosciuti al
Crespellani.
Del pavimento dell’ambiente 2 è stato scavato solo un angolo, che è stato
strappato e restaurato: l’ambiente, posto quasi sotto la strada, era in pessimo
stato di conservazione ed è presumibile che, della parte non scoperta, rimangano
solo i sottofondi; del tappeto musivo policromo, di cui resta solo un angolo a
treccia a due capi, formata da cerchi perfettamente circolari con un piccolo
cerchio centrale.
L’ambiente 4 costituiva l’accesso meridionale all’ambiente 1. La sua
pavimentazione, messa in luce in un piccolo sondaggio, è costituita da un piano
in cementizio rossoarancio, il cosiddetto cocciopesto, decorato da una cornice e
da un motivo a crocette di tessere bianche con centro nero, unite a tessere
sparse. La cornice, che seguiva il muro, ha una prima linea di tessere
alternativamente bianche e nere, e una seconda, verso l’interno della stanza, di
tessere bianche disposte prevalentemente di sbieco. I pavimenti di questo tipo
sono piuttosto antichi: compaiono in epoca romana repubblicana, hanno il massimo
sviluppo a partire dal II-I secolo a.C. fino alla prima epoca augustea, per poi
scomparire in epoca imperiale, tranne rari esempi destinati ad ambienti
prevalentemente produttivi. Nel nostro caso certamente il pavimento non è
contemporaneo agli altri ambienti e dovrebbe essere considerato il residuo di un
edificio precedente.
Conclusioni
Possiamo supporre che nella zona esistesse una villa rustica, forse databile al
I sec. a.C. -I sec. d.C., da cui proviene il pavimento in cementizio e le
tessere riutilizzate nel pavimento della stanza 2. La villa ha avuto
probabilmente una vita molto lunga, con diversi adattamenti dovuti al variare
del gusto estetico. Questo spiegherebbe la costruzione del pavimento della
stanza 2, databile al IV secolo, che riutilizza il materiale più antico pur
mantenendo la quota del piano di posa della tessere, poste sul sottofondo
precedente. Allo stesso periodo, almeno secondo la tipologia decorativa,
sembrano riferibili le stanze 3 e 1.
Per quanto riguarda i mosaici, possiamo ipotizzare la presenza di un’officina
musiva locale che utilizzava cartoni (i modelli con gli schemi iconografici più
ricorrenti) provenienti da aree e periodi diversi, adattandoli e mescolandoli
secondo un gusto molto particolare, ad esempio associando tipologie specifiche
del mosaico policromo del IV-V secolo a motivi tipici del mosaico bianconero del
I-II secolo, anche se solo ad uso riempitivo.
La ricostruzione dell’edificio, o almeno la sua ristrutturazione con la
trasformazione degli ambienti e i nuovi pavimenti, potrebbe essere collegata
all’arrivo della corte imperiale a Ravenna che comportò la riqualificazione di
tutta l’area emiliano-romagnola e una trasformazione sia degli impianti rustici
che delle strutture urbane, ampiamente confermata da esempi soprattutto nel
Ravennate e Riminese. I funzionari della corte e i loro associati e
collaboratori, ritennero infatti necessario costruire ex novo o, quando
possibile, riadattare strutture che fossero rappresentative sia delle loro
funzioni specifiche che del nuovo gusto. Gli edifici cittadini vennero dotati di
ambienti, anche absidati, in cui il proprietario poteva esibire l’importanza del
proprio ruolo, evidenziata anche dalla ricchezza delle decorazioni, non
esclusivamente pavimentali (anche se, nel nostro caso, le uniche rimaste). Lo
stesso successe nelle ville rustiche, la cui funzione agricola ed economica fu
spesso trasformata in quella, più rappresentativa, di villa di caccia.
Nel caso dell’edificio di Melda, non è però possibile né definirne l’uso
preciso, né riconoscerne la tipologia architettonica, dato che ne è stata
scavata una parte minima, appena sufficiente a definirne l’inquadramento
cronologico.
In occasione della mostra sarà pubblicata l’edizione scientifica dello scavo a
cura di Luca Mercuri con contributi di Donato Labate, Silvia Pellegrini, Ilaria
Pulini, Carla Corti, Maria Grazia Maioli, Stefano Lugli, Matteo Reghizzi, Cesare
Andrea Papazzoni, Paolo Pallante, Giorgia Della Casa e Ugo Capriani.
Mappa degli scavi nella villa romana nel podere Melda di Sotto, presso Savignano
sul Panaro, lungo l’asse stradale dell’antica Strada Claudia
estratto da "Atlante dei Beni Archeologici della Provincia di Modena". III, Collina e Alta Pianura. Tomo 1, Firenze 2001, pagg. 190-191, a cura di Carla Corti
Mulino, Melda di Sotto, Casinazzo, Strada Magazzino
Villa I – V/VI d.C.
Fornace (?) tarda età romana
Ricerche effettuate: escavazione (1878), lavori agricoli (1897), Scavo
Arsenio Crespellani (1897), raccolta di superficie I. Zaccarelli (1998)
2010-2011 completamento indagini archeologiche e strappo mosaico
Nel febbraio 1897 vennero in luce “nella possessione Melda di Sotto posta
nella parte bassa del territorio comunale denominato le Campagne” resti di
un “fabbricato signorile”. Al rinvenimento fece seguito lo scavo,
effettuato tra il 20 aprile e il 1 maggio con la supervisione di Arsenio
Crespellani. Tra le carte Crespellani conservate alla Biblioteca Estense di
Modena, ci sono due testimonianze di quell’intervento, uno schizzo planimetrico
dello scavo e il disegno acquerellato delle pavimentazioni musive.
La presenza dell’edificio era tuttavia già nota. Resti della struttura (al tempo
non ulteriormente indagati) erano già emersi nel 1878 durante i lavori di
allargamento della Strada Magazzino. Il sito archeologico venne allora
considerato come “una delle tante appendici alle costruzioni scoperte
nell’attiguo podere Bassone” e comunque due unità insediative distinte.
Lo
scavo del 1897 fu effettuato su una superficie di circa 100 m² asportando il
terreno fino a una profondità di cm 75 dal piano di campagna. Vennero così alla
luce alcuni vani contigui le cui murature, sia quelle perimetrali che i divisori
interni, erano già state completamente asportate in antico. Anche i pavimenti
risultavano molto danneggiati. Tra questi si conservavano però due ampie
porzioni di opus tessellatum policromo, contrassegnate nello schizzo
planimetrico con le lettere A e B
L’ambiente A era il più grande e di forma rettangolare (6,90 x 4,50 m) mentre il
vano B , più danneggiato dal passaggio della strada, era di forma quadrata con
lati di m. 4,30; lo spessore dei muri perimetrali di entrambi gli ambienti era
di 40 cm.
I mosaici erano composti da tessere lapidee (bianche, grigio nere e rosa) e in
pasta vitrea (azzurro, verde e rosso) “disposte irregolarmente sopra uno strato
di calce sottilissimo … ed aderenti al terreno comune misto a qualche frammento
di mattone o embrice”. Entrambi presentavano uno schema compositivo con elementi
a treccia che ripartivano geometricamente lo spazio campito, nel caso
dell’ambiente A da elementi geometrici e fitomorfi stilizzati alternati al nodo
di salomone, e nel caso dell’ambiente B da raffigurazioni quali coppia di pesci,
kantharos e delfino, anche questi alternati a elementi fitomorfi. È molto
probabile che anche il tondo centrale del mosaico dell’ambiente A, costituito da
una corona di lauro, delimitasse una decorazione figurata, presumibilmente di
natura simbolica.
Resti così scarsi di una ben più ampia residenza non ci consentono di definire
la planimetria e le caratteristiche dell’edificio tardo antico, e quindi il
prototipo di riferimento sia ideologico che culturale.
Ciononostante l’eccezionalità del ritrovamento è palese
Considerando nel suo complesso schema compositivo, stile e accentuata
policromia, possiamo attribuire i mosaici a maestranze attive in regione tra il
V e il VI secolo d.C.; il mosaico dell’ambiente B, poi, ricorda il lacerto
musivo nell’atrio della cattedrale maggiore di Milano, riferibile al rifacimento
dell’edificio conseguente all’incendio attilano del 452 d.C.
La
scarsità di dati sull’edilizia pubblica e privata della Mutina tardo antica e
l’impossibilità di poter leggere la planimetria complessiva del podere Melda di
Sotto non ci consentono di proporre un’interpretazione univoca della
tipologia-funzione dell’edificio. Arsenio Crespellani ipotizzava potesse essere
o il primo nucleo di un polo religioso, da lui identificato con la chiesa
medievale di San Nicolò di Olmeda, o una residenza palaziale legata a un
rappresentante dell’amministrazione franca. Anche l’archeologa Nicoletta
Giordani non esclude una valenza cultuale dell’edificio, inserendo il
ritrovamento tra i contesti che testimoniano l’introduzione del culto cristiano
nelle campagne.
A prescindere dalla destinazione dell’intero complesso, i due ambienti mosaicati
appartenevano certamente a un edificio di prestigio, riferibile a
quell’architettura palaziale ufficiale che ha influenzato prima l’architettura
residenziale privata (urbana ed extraurbana) e poi quella religiosa
L’area interessata dallo scavo ottocentesco è stata oggetto di ricognizione
nel 1998. Il materiale recuperato testimonia una frequentazione che va dalla
tarda età repubblicana-prima età imperiale al Tardoantico.
Il primo periodo è attestato da frammenti in ceramica a vernice nera e rossa
(inquadrabile tra il I sec.a.C e il I d.C.) e di alcuni recipienti in vetro
(parete di coppa sbaccellata, fondo di balsamario e fondo ad anello di
coppetta).
La frequentazione di tarda età romana (III/IV-V/VI sec.d.C.) è invece attestata
da ceramiche fini da mensa, ceramiche d’uso comune, vetri e anfore di produzione
africana. Particolarmente significativo il recupero di alcuni scarti di fornace:
un gruppo di recipienti collassati e fusi insieme fa pensare a una produzione di
forme chiuse in ceramica fine mentre un orlo di scodella annerito da un’errata
cottura spinge a ipotizzare in questo insediamento la presenza di un impianto
destinato alal produzione di ceramica a rivestimento rosso, inquadrabile
genericamente nella tarda età romana.
dall’area indagata nel 1998 provengono poi varie tessere musive in pietra bianca
e nera e in pasta vitrea (azzurra e verde) e un frammento di vetro da finestra.
Se è quasi impossibile tracciare un quadro completo dell’occupazione di questo
sito nel suo complesso, è però fuori discussione la sua frequentazione per tutta
l’età romana e un notevole potenziamento insediativo in epoca tarda che riguarda
non solo gli edifici residenziali e di culto ma probabilmente anche quelli
produttivi. La presenza di una residenza legata all’elite della società tardo
antica ha certamente influenzato sensibilmente le dinamiche insediative del
territorio circostante
Foto d'epoca della "Collezione Crespellani. Strada Claudia alle falde dei colli
modenesi"
Bibliografia
Atlante III: A. CARDARELLI, L. MALNATI, Atlante dei beni archeologici della
provincia di Modena, Collina e Alta Pianura, Firenze 2009
Décor I: Le Décor géometrique de la mosaique romaine, a cura di C. Balmelle,
M. Blanchard-Lemée, J.P. Darmon, S. Gozlan, M.P.Raynaud, I, Repertoire graphique
et descriptif des compositions linéaires et isotropes, Barcelone 2002
Décor II : Le Décor géometrique de la mosaique romaine, a cura di C. Balmelle,
M. Blanchard-Lemée, J.P. Darmon, S. Gozlan, M.P.Raynaud, I, Repertoire graphique
et descriptif des décors centrés, Barcelone 2002
CARANDINI 1982 : A. CARANDINI, A. RICCI, M. DE VOS, Filosofiana, La villa di
Piazza Armerina, Immagine di un aristocratico romano al tempo di Costantino,
Palermo 1982
CRESPELLANI 1899: A. CRESPELLANI, Scavi nel Modenese (1896-1897), AMDST
Province Modenesi, serie IV, IX, pp. 269-288
CUSCITO 1975: G. CUSCITO, Riquadri musivi a destinazione liturgica, Antichità
Altoadriatiche, VIII, 1975, p. 192.
DEGANI 1993: M. DEGANI, Reggio Emilia, Scoperte e nuovi dati topografici, NSc
1953, p. 214
PICCIRILLO 1981 : M. PICCIRILLO, Chiese e mosaici della Giordania
settentrionale, Gerusalemme 1981
ZOVATTO 1971 : P.L. ZOVATTO, Grado, Antichi Monumenti, Bologna 1971
Sabato 16 marzo, alle ore 16.30, nella Sala Nuova dei Musei Civici (Palazzo dei Musei), Largo Porta Sant’Agostino 337 a Modena, è stato presentato il volume “Il mosaico ritrovato. Indagini archeologiche a Savignano sul Panaro”.
Sono intervenuti Luigi Malnati, Direttore
Generale per le Antichità Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
Mario Galli, Vicepresidente della Provincia di Modena, Roberto Alperoli, Assessore alla Cultura, Turismo e Promozione della città, e
Ilaria Pulini, Direttrice del Museo Civico Archeologico Etnologico.
Ha presentato il volume Filippo Maria Gambari, Soprintendente per i Beni
Archeologici dell'Emilia-Romagna
Promosso da: |
Comune di Modena, Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena, in collaborazione con Provincia di Modena e Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna |
Quando: |
da domenica 16 dicembre 2012 a domenica 1
settembre 2013 (prorogata) |
Orari: | dal lunedì al venerdì 8-19 sabato e domenica 9.30-19 25 dicembre e 1 gennaio 15-19 |
Ingresso: | gratuito |
Città: | Modena |
Luogo: | Lapidario Romano dei Musei Civici, Palazzo dei Musei |
Indirizzo: | Largo Porta Sant'Agostino |
Provincia: | Modena |
Regione: | Emilia-Romagna |
Info: | tel. 059.2033125 www.comune.modena.it/museoarcheologico |
Informazioni scientifiche di
Donato Labate e Luca Mercuri
(archeologi SBAER), Silvia
Pellegrini e Ilaria Pulini
(Museo Civico Archeologico di Modena),
Carla Corti (archeologa)
Pagina a cura di
Carla Conti e
Alessia Pelillo