La duecentesca Casa del
Capitano, al centro dell'antico borgo di Castello di Serravalle, ospita questa
piccola mostra che offre uno spaccato della vita di un
insediamento rustico di età romana attraverso alcuni reperti
tipici della vita contadina antica recuperati nei recenti scavi
di Mercatello.
Sono esposti manufatti attinenti alle attività agricole (falcetti in ferro),
alla trasformazione dei prodotti (macina in pietra) e alla loro
conservazione-stoccaggio (grande dolio). La mostra è corredata da pannelli
che illustrano alcuni aspetti ambientali desunti delle indagini paleobotaniche
"Vivere in villa:
Mercatello in età romana"
Ecomuseo della Collina e del Vino,
Via della Rocca n. 130 a Castello di Serravalle (BO)
Da domenica 28 settembre 2008 a domenica 31 maggio 2009 (prorogata a tempo
indeterminato)
Domenica 15-18; feriali 10-12 e 14-16, solo su prenotazione, tel. 051. 6710728 (Biblioteca Comunale)
Ingresso gratuito
La rilevanza archeologica del sito di Mercatello, situato sulle prime
propaggini dell’Appennino bolognese a un’altitudine di circa 200 m s.l.m., era
già nota per alcuni ritrovamenti di superficie avvenuti negli ultimi anni. La
realizzazione di un complesso residenziale ha consentito di effettuare uno scavo
archeologico (concluso nel 2007) che, oltre a confermare una frequentazione
pre-protostorica della zona, ha posto in luce significative tracce di un
insediamento rustico di età romana.
L’abitato attuale di Mercatello è situato sulla sinistra idrografica della valle
del torrente Ghiaia di Mercatello, affluente del torrente Samoggia, che scorre
poco più ad est.
L’area è interessata da un ampio pianoro che digrada a sud e ad est verso il
torrente Ghiaia, mentre è circondata a nord ed a ovest da increspature del
terreno di maggior rilievo. Il torrente disegna una vallata probabilmente
utilizzata fin dall’antichità come via di comunicazione tra l’alta collina, i
valichi appenninici a sud e la pianura a nord.
I recenti scavi archeologici hanno consentito di ricostruire le vicende
geologiche del sito fin dalla preistoria.
Sul pianoro sono stati identificati i relitti di almeno due paleoalvei: il più
antico, attivo in età pre-protostorica, correva a monte, alle pendici dei
rilievi che delimitano ad ovest il sito, e in età romana esso doveva essere già
parzialmente estinto.
Più a valle è testimoniata l’attività di un secondo paleoalveo, sicuramente
ancora attivo in età romana e fossilizzato nel tardo antico, quando tutta la
zona viene sigillata da colluvi limosi di colore giallo-bruno, sui quali si
deposita un ultimo livello sabbioso-ghiaioso, che è quello intaccato dalla
moderna aratura.
Veduta aerea dell'area di scavo a Marcatello in Comune di Castello di Serravalle
(BO)
Anche se lo scavo stratigrafico ha indagato solo una parte del vasto
complesso, sono state individuate almeno quattro fasi costruttive (dal I secolo
a.C. fino al V-VI secolo d.C.) caratterizzate da trasformazioni planimetriche
che, seppur notevoli, non hanno mutato la vocazione residenziale e produttiva
del complesso.
In età repubblicana è attestata la presenza di un piccolo edificio rustico
-sorto sulle sponde del paleoalveo più a monte- con fondazioni in ciottoli ed
alzato in materiali deperibili quali legno e mattoni crudi.
Nel I secolo d. C. l’edificio si amplia con la creazione di una pars urbana, ad
uso residenziale del dominus, cui si affianca una pars rustica, con vani, in
gran parte porticati, adibiti alla conservazione degli alimenti (granaio). Anche
l’alveo del piccolo corso d’acqua, ormai in fase di senescenza, appare
incanalato per utilizzi legati alle attività produttive della villa.
Un incendio di vaste proporzioni distrugge in larga parte gli alzati di questo
complesso, che viene restaurato nel III secolo d.C.: di questa fase si
conservano pavimenti in cocciopesto ed un settore, con adiacente cortile,
adibito allo stoccaggio di derrate alimentari.
La profonda crisi che caratterizzò tutto il mondo antico nel III secolo pare
leggersi anche nell’ultima fase di vita del sito di Mercatello: il complesso
mostra infatti una profonda contrazione dell’impianto. Mentre il granaio diventa
spazio abitato, come dimostra la presenza di un grande focolare, la pars urbana
viene trasformata in area adibita alle attività produttive e di trasformazione.
La pars rustica dell'edificio nell'ultima fase del sito di Mercatello: l'ex
granaio diventa spazio abitato, come attesta la presenza del grande focolare
quasi al centro della stanza
Sono gli oggetti, attrezzi e utensili, a raccontare la storia di questo
complesso rustico, a tratteggiare le pratiche della vita rurale che dovevano
caratterizzare il sito.
La presenza di bovini, utilizzati nelle operazioni di aratura o di semplice
traino, è evocata dal ritrovamento, sul pavimento in battuto del settore
produttivo dell’impianto di un campanaccio in bronzo (tintinnabulum) che,
ieri come oggi, doveva pendere dal collo delle bestie per segnalarne il
movimento.
Se i numerosi coltelli in ferro (culter) restituiti dagli ultimi strati
di vita del complesso non possono ritenersi di uso esclusivamente agricolo, i
due esemplari con codolo desinente in anello di sospensione riconducono a spazi
interni di uso rustico, quali stalla o magazzino.
Coppia di buoi al giogo con tintinnabula in bronzo al collo (Rilievo in
pietra calcarea da Saalberg, Germania)
Strettamente legati all’agricoltura sono invece con ogni evidenza il falcetto
e la zappa. Il primo, rinvenuto nel grande ambiente con focolare di ultima fase
di vita dell’insediamento, poteva essere utilizzato sia per la falciatura dei
cereali coltivati sia per operazioni di potatura e soprattutto per la falciatura
dell’erba (falx faenaria). In ottimo stato di conservazione la zappa (ligo)
che poteva essere utilizzata per sradicare arbusti o erbacce, per spezzare le
zolle dopo l’aratura e per interrare le sementi.
Assai significativo è il contesto di rinvenimento della parte basale di una
macina in pietra: era accantonata in un lato del vano, originariamente porticato
ed adibito a granaio, distrutto nel III secolo dall’incendio che bruciò gran
parte del complesso, come dimostrano le tracce di cereali carbonizzati sparsi
all’intorno. Della macina in pietra trachitica e ridotte dimensioni sopravvive
soltanto la parte basale, di forma troncoconica (meta) con foro centrale
per l’inserimento del perno di rotazione della parte superiore della macina (catillus).
Si tratta di una macina del tipo manuale girevole (mola trusatilis),
attestata nel mondo romano già nel III secolo a.C., di uso prettamente domestico
e mono-familiare, sostituita successivamente da quella, di dimensioni maggiori,
a trazione
animale (mola asinaria).
La macina in corso di scavo
Nell’ultima fase di vita del sito, un vasto settore
dell’insediamento -in precedenza adibito a residenza del dominus, con
pavimenti in coccio pesto e
ambienti forniti di acqua corrente, come dimostra il rinvenimento di fistule
plumbee- fu trasformato in area produttiva. Lo scavo ha messo in luce una piccola fornace per la produzione di
ceramica, una vasca isolata in opus signinum per la decantazione
dell’argilla e un turcularium. Di tale impianto, utilizzato per la
produzione del vino, resta la base del torchio (in ciottoli e copertura isolante
in coccio pesto) e il dolio, quasi completamente interrato per facilitare le
operazioni di raccolta dei liquidi derivati dalla spremitura. Dal torchio
ligneo, di cui non rimangono tracce, si dipartiva una canaletta, costituita da
coppi di reimpiego, che agevolava il flusso del liquido all’interno del dolio.
Il dolio, rinvenuto in situ in ottimo stato di conservazione, rientra nella
categoria di quelli di più grandi dimensioni. La sua capacità è stata calcolata
attorno ai 1000 litri, equivalenti a circa 40 anfore (1 amphora = litri
26 circa), una capacità che evoca i grandi contenitori di 40 e anche 50 anfore
citati da Catone e Columella e destinati prevalentemente a contenere vino e, a
volte, anche granaglie. Il particolare contesto del dolio di Mercatello ne
implica un utilizzo come contenitore per vino. Come accade di frequente nei
contenitori di così grandi dimensioni, realizzati senza l’uso del tornio, anche
questo dolio subì un collassamento laterale ancor prima della cottura, cui si
ovviò con l’infissione di grappe e risarciture in piombo, chiaramente visibili.
Il grande dolio da vino in fase di scavo: si vedono chiaramente le grappe in
piombo poste per riparare la frattura creatasi prima della cottura a causa delle
grandi dimensioni
Molto grande doveva essere anche il dolio più antico, cui era pertinente il frammento reimpiegato all’interno del grande ambiente con focolare dell’ultima fase di vita del complesso. L’importanza del frammento è costituita dalla presenza di un numerale inciso sulla parete esterna prima della cottura riferibile, con ogni evidenza, ad una misura di capacità di 42 amphorae, come suggeriscono il numerale X (10), parzialmente conservato, seguito da una T capovolta con apici allungate (50), e dal numerale II (2). L’utilizzo della T capovolta, che riprende il simbolo etrusco indicante il numero 50, prima della evoluzione in L (il numero 50 romano), denota una certa arcaicità e permette di datare il dolio entro il I secolo d.C.