IL
MONTE PRIMA DEL MONTE
Archeologia e storia di un quartiere medievale a Forlì
Palazzo del Monte di
Pietà, Corso Garibaldi n. 45
(sede della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì)
Forlì (FC)
da sabato 9 maggio a domenica 12 luglio 2009
dal martedì al venerdì 16.30 - 19
sabato e domenica 10-13.30 e 14.30-19
Ingresso gratuito
Info 0543 191 20 00
e mail:
eventi@fondazionecariforli.it
Nei week end sarà inoltre possibile visitare l'area archeologica sottostante il Palazzo del Monte di Pietà, accompagnati da una guida
Un secchio in bronzo della metà del 1400 trovato in un pozzo, dadi da gioco
in osso, pettini, spilloni, bottoni e tantissimi frammenti ceramici, un'ampia
selezione del materiale archeologico recuperato durante gli scavi del piano
terra del Palazzo del Monte di Pietà, il prestigioso edificio in Corso
Garibaldi, che ospita la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì. Il tutto
affiancato da suggestivi pannelli didattici che illustrano, attraverso i reperti
rinvenuti, vita pubblica e privata dei forlivesi del tardo medioevo, aprendo uno
squarcio nella storia cittadina e nei secoli che precedettero la costruzione
dell'edificio.
Questo, in sintesi, il cuore del percorso espositivo di "Il Monte prima del
Monte. Archeologia e storia di un quartiere medievale a Forlì", piacevole mostra curata dall’archeologa Chiara Guarnieri e
organizzata dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna con
il contributo della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì. I restauri del
materiale archeologico sono stati eseguiti da Florence Caillaud, Elena Agnini,
Ana Hilar e dai restauratori della Soprintendenza Enrico Bertazzoli, Ardea
Fabbri e Micol Siboni mentre le ricostruzioni grafiche e i disegni che corredano
i pannelli sono opera di Riccardo Merlo.
La fondazione del Monte di Pietà e la costruzione del monumentale edificio fu
decretata il 21 marzo 1511. Nell' Aprile del 1514, sull'area del "guasto degli
Orsi", furono poste le fondamenta del nuovo palazzo, al quale Pauluccio dei
Paulucci donò, il 12 Aprile 1535, ben cinquantamila mattoni bollati con la sigla
del Sacro Monte di Pietà.
Le scoperte archeologiche
In occasione dei lavori di restauro e ristrutturazione dello stabile dell’ex
Monte di Pietà, attualmente sede della Fondazione della Cassa dei Risparmi di
Forlì, è stato eseguito lo scavo archeologico di tutto il piano terreno -circa
800 mq- con l’obiettivo di realizzare quei vani cantinati che mancavano.
L’indagine è stata condotta dalla Ditta Akanthos -Ricerche Archeologiche sotto
la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici
dell’Emilia-Romagna ed è stata finanziata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di
Forlì.
Gli scavi hanno portato in luce la storia di un isolato urbano di particolare
importanza per Forlì, consentendo di sfogliare “a ritroso” le vicende di
quest’area della città e di ricostruirne le fasi di occupazione più
significative (che in seguito definiremo come "periodi") fino alla costruzione
dell’attuale Palazzo del Monte di Pietà.
Man mano che procedevano i lavori, visto l’interesse di quanto si andava
scoprendo e il cospicuo numero di oggetti che riemergevano dalle numerose vasche
di scarico per i rifiuti rinvenute durante lo scavo, si è deciso di
conservare “a vista” quanto rinvenuto e di rendere i sotterranei un luogo
archeologico visitabile, in grado di offrire alla città un’occasione per
conoscere il suo passato, tanto ricco quanto poco conosciuto.
Gli archeologi al lavoro al pianterreno del Palazzo del Monte di Pietà di Forlì
LA VITA DI UN QUARTIERE URBANO
La prima occupazione dell’area (Periodo I, Fase 1)
Sebbene si trovasse in una posizione centrale, quest’area della città sembra
sia stata frequentata solamente a partire dal Medioevo. Il suo primitivo aspetto
era quello di una zona aperta, priva di abitazioni, con una marcata pendenza
naturale del terreno da nord verso sud, caratteristica che fu subito eliminata
al momento del primo insediamento.
Su di una serie di riporti, che hanno avuto appunto la funzione di regolarizzare
il piano di calpestio, si insediò un’attività artigianale la cui esistenza è
documentata dalla presenza di sette buche di medie e grandi dimensioni di forma
circolare; queste fosse presentavano un fondo piatto, in taluni casi rivestito
in frammenti di laterizi o in assi lignee posate su malta idraulica. Purtroppo
la lacunosità di quanto venuto in luce e la quasi totale assenza di muri non ha
consentito un inquadramento completo dei resti che risultavano concentrati
solamente nella zona sudorientale dello scavo; si doveva trattare comunque di
impianti artigianali legati a lavorazioni che prevedevano l’utilizzo di acqua,
come ad esempio le concerie.
Fossa a fondo piatto, rivestito in frammenti di laterizi
Fossa con fondo in assi lignee posate su malta idraulica
L’esistenza in questa zona della città –compresa tra le attuali piazza Duomo e piazzetta S. Crispino- di imprese artigianali di vario tipo è documentata in cronache, atti notarili e Statuti che descrivono quest’area come una tra quelle a maggiore densità insediativa di botteghe ed imprese artigianali, una caratteristica che ha mantenuto anche nei periodi successivi. La vicinanza del canale di Ravaldino forniva infatti abbondante acqua ed energia anche attraverso canalizzazioni secondarie.
Tintori, coramai, venditori di stoffe o di formaggi
Il quartiere tardomedievale (Periodo I, Fase 2)
Tra
la metà del XIV e gli inizi del XV secolo l’area inizia ad essere frequentata
stabilmente. Si dovette trattare di un’occupazione quasi simultanea con la
costruzione di diversi edifici in muratura di medie dimensioni, individuati in
almeno quattro unità. Questi appaiono giustapposti uno all’altro e
caratterizzati da lievi disassamenti, com’è logico che accada in assenza di una
ripartizione regolare, stabilita prioritariamente, degli spazi da edificare.
Gli edifici che in uno stretto lasso temporale hanno subito ampliamenti e
modifiche, sono caratterizzati dalla presenza, in adiacenza ai muri perimetrali,
di fosse di scarico per i rifiuti. Queste ultime sono di forma rettangolare,
realizzate in laterizio e dotate di una copertura a volta o a falsa cupola; la
presenza costante di caditoie, in genere in numero di due o tre, situate a
livello del piano di calpestio, consente di ipotizzarne l’utilizzo come
discariche di rifiuti, destinate ad essere abbandonate una volta colme.
Probabilmente vi si gettavano tutti i materiali giudicati inservibili, o passati
di moda, visto l’ottimo stato di conservazione di molti dei reperti recuperati.
Accanto agli edifici menzionati, prospiciente l’attuale corso Garibaldi, sorgeva
anche una torre, di cui sono rimaste le possenti fondazioni in grossi ciottoli
di fiume. Di forma quadrangolare (m 6,50 x 9) presentava murature possenti dello
spessore di circa m 1,20. Forlì, come tutte le città medievali, era infatti
dotata di un considerevole numero di torri -la cui ubicazione si è perduta nel
tempo- che furono atterrate o livellate a partire dal 1283 e durante il secolo
successivo.
Le possenti fondazioni della torre, in ciottoli di fiume
Approfondimento - Lo smaltimento dei rifiuti
Il contenuto delle vasche di scarico dei rifiuti offre un’occasione di
studio particolare per la presenza di oggetti di uso comune oltre ad abbondanti
resti di pasto, la cui analisi permette di ricostruire svariati aspetti della
vita quotidiana, dall’utilizzo delle stoviglie in tavola e in cucina, alle
abitudini alimentari. Vani di questo tipo, la cui esistenza sembra peculiare del
periodo tardo-medievale, sono presenti anche in altre centri della regione, in
particolare a Ferrara dove si rinvengono nei palazzi estensi, in conventi di
prestigio ed in abitazioni di ceto medio-alto, come nel caso di Forlì. Il
riempimento di uno di questi vani di scarico (us 1536) FOTO 75 A ha restituito
oggetti in ceramica smaltata e ceramiche ingobbiate ed invetriate di
fabbricazione veneta, databili entro la prima metà del XV secolo. Numerosi anche
i vetri, quasi tutti riferibili ad oggetti in uso sulla tavola come bottiglie e
bicchieri dalla semplice foggia troncoconica apoda, a cui si aggiungono un
discreto numero di fiale, che servivano per contenere medicinali e cosmetici e
di orinali, utilizzati dai medici per valutare il colore delle urine.
Uno dei vani utilizzati come vasca di scarico per i rifiuti
LE CASE DEGLI ORSI E IL LORO GUASTO
Le case degli Orsi (Periodo II, Fase1)
La situazione cambia completamente già attorno alla metà del XV secolo per
un generale intervento di ristrutturazione che modifica radicalmente l’aspetto
di questa parte del quartiere.
Viene realizzato un unico e vasto complesso edilizio, il cui andamento
planimetrico appare sostanzialmente esteso in senso Nord-Sud, che viene ad
obliterare, in parte riutilizzandole, le fondazioni gli edifici precedenti.
Questa imponente operazione di presa di possesso di un’area così vasta nel cuore
cittadino non poteva che essere il frutto di un’operazione legata ad una
famiglia di prestigio. Siamo con ogni probabilità di fronte a quello che rimane
delle famose “case degli Orsi”. La data di costruzione del palazzo, che in
realtà doveva essere costituito da una serie di edifici giustapposti, è da
individuare tra il 1430 e il 1460. Gli Orsi possedevano già lungo la Strada
Maestra (attuale corso Garibaldi) una serie di edifici e botteghe che quindi
decisero di accorpare in un’unica domus magna; le cronache ci restituiscono
infatti la descrizione di un complesso di edifici piuttosto articolato, che
veniva ad occupare un ampio spazio in questa zona della città, solo parzialmente
coincidente con quello del futuro palazzo del Monte.
L’indagine archeologica ha permesso di individuare all’interno dell’area
indagata almeno sedici ambienti, facenti parte di un imponente complesso
edilizio la cui estensione proseguiva verso settentrione, in direzione
dell’attuale corso Garibaldi, e verso meridione, nell’area che in seguito sarà
occupata dalla chiesa di S. Filippo Neri. Gli scavi archeologici condotti nel
corso dei restauri all’interno dell’edificio religioso hanno evidenziato un
cortile porticato -di cui è stato portato in luce parte del muro perimetrale ed
alcuni pilastri- mentre lungo il fianco orientale dell’ampio cortile vi era
un’area aperta con un pozzo. La parte del palazzo individuata con l’indagine era
con ogni probabilità un’area di servizio, con vani destinati a magazzino, oppure
ospitanti attività artigianali, vista la povertà dei piani pavimentali, quasi
sempre in terra battuta ed in un solo caso in mattonelle; la zona nobiliare era
forse situata più a sud, attorno al cortile porticato menzionato in precedenza.
L’impossibilità di estendere l’indagine archeologica verso settentrione, oltre
il fronte dell’attuale palazzo, non ha permesso di definire se l’accesso
principale della casa fosse su questo lato; sicuramente il suo fronte stradale
era occupato da una serie di attività artigianali testimoniate dalla presenza di
piani di concotto, focolari e fornacette, oltre a buche per l’alloggiamento di
pali e tramezzature lignee. Si doveva trattare di piccole attività, ospitate
entro i vani porticati del palazzo, che, come in analoghi altri casi, venivano
affittati ad artigiani e bottegai. In particolare da una serie di atti è
possibile ipotizzare, nel tratto di strada in cui sorgeva il palazzo degli Orsi,
la presenza di una spezieria.
Così doveva presentarsi la spezieria ubicata nei pressi del palazzo degli Orsi
Le fonti inoltre ci raccontano che il palazzo era dotato di una torre
colombara “che dava verso l’orto”. Appare a questo punto suggestivo pensare che
la torre rinvenuta nello scavo, una volta dismessa la sua originaria funzione
difensiva, fosse stata riadattata dagli Orsi a colombaia, con funzione di
abbellimento dell’edificio ma anche come status symbol, visto che gli Statuti
impedivano l’abbattimento dei colombi domestici a scopo alimentare.
Come i precedenti edifici anche il palazzo degli Orsi era dotato di una serie di
vani interrati per lo scarico dei rifiuti. In particolare uno di questi ha
restituito una cospicua serie di oggetti –ceramiche da cucina e da tavola, tra
cui graffite e smaltate, e numerosi vetri- databili attorno alla prima
metà/ultimo venticinquennio del XV secolo.
Approfondimento - Cucina e tavola nel Tardo Medioevo
Nella
cucina era sempre presente il camino ed il fuoco acceso, su cui veniva appeso,
tramite un gancio, un calderone in metallo; altri cibi venivano cotti per lungo
tempo in pentole che venivano accostate alla fiamma, azione che ha lasciato
ampie aree di affumicatura sulle pareti di questi oggetti; i catini- coperchio
erano utilizzati come fornetti domestici per cuocere il pane sul piano del
focolare. Per la preparazione e la conservazione dei cibi ci si serviva di
ciotole e catini di diverse dimensioni, mentre l’acqua veniva conservata in
brocche di terracotta o ricoperte da invetriatura.
Se il panorama degli oggetti utilizzati in cucina non varia molto durante
tutto il Medioevo, per quanto riguarda la tavola assistiamo ad un notevole
cambiamento negli usi intorno al XV secolo, momento dal quale inizierà ad
affermarsi l’utilizzo delle stoviglie individuali, costume che portò sulla mensa
una notevole varietà di oggetti, principalmente prodotti nelle manifatture
locali.
In particolare nella Romagna ci fu un prevalere degli oggetti in ceramica
smaltata - soprattutto forme chiuse come boccali - su quelli in ceramica
graffita, più diffusi nell’area settentrionale della regione. Sulle tavole più
ricche potevano essere presenti anche oggetti esotici, come nel caso delle
ceramiche di produzione spagnola, di cui qualche esemplare è stato rinvenuto
nello scavo del Monte di Pietà.
Completavano il servizio da tavola gli oggetti in vetro, consistenti in
bottiglie dalla caratteristica forma panciuta, bicchieri troncoconici apodi e
rare coppe.
Sulla tavola le posate più utilizzate erano i coltelli ed i cucchiai; questi
ultimi erano per la maggior parte realizzati in legno ma esistevano anche
esemplari in bronzo o in metalli preziosi; i coltelli, con lama in ferro,
avevano l’immanicatura realizzata in diversi materiali, quali il legno, il
metallo o l’osso. Molto più rara la forchetta che troverà diffusione tra gli
oggetti comuni in tavola solo dal XVIII secolo; in sua assenza - anche sulle
mense più ricche - per portare il cibo alla bocca si utilizzavano le dita.
Il “guasto” delle case degli Orsi (Periodo II, Fase 2)
Come sappiamo dalle fonti storiche, questa situazione non durò a lungo: le
case degli Orsi, responsabili dell’assassinio di Girolamo Riario, marito di
Caterina Sforza signora della città, furono incendiate ed abbattute nel 1488.
Per lungo tempo l’area rimase un “guasto” nella città, una zona lasciata
appositamente vuota, a monito della terribile punizione. I segni di questa
immane distruzione sono stati puntualmente portati in luce con lo scavo: su
tutta l’area indagata le murature appartenenti al palazzo degli Orsi appaiono
spogliate e ricoperte di uno massiccio strato di riporto di terreno e macerie.
Rimangono parzialmente intatte solamente le strutture relative a vani ipogei,
non visibili al momento del “guasto”.
IL MONTE DI PIETÀ
Si costruisce il Monte di Pietà (Periodo III)
La punizione era stata durissima. In quella zona della città rimase per
lungo tempo un immenso cumulo di macerie a monito di quanto era accaduto. Solo
dopo molti decenni, per volontà della comunità, si costruì su di una parte
dell’area il palazzo che doveva ospitare il Monte di Pietà. Ma la zona
interessata dalle demolizioni era molto più vasta: secondo le cronache
forlivesi, un intero quartiere era stato abbattuto durante il furore del 1488.
Ancora nel 1534 la maggior parte dell’area del guasto doveva apparire come un
cumulo di macerie, visto che in un documento si parla della necessità di
abbassare il terreno per poi iniziare a costruire. Ma in questo momento non si
era ancora arrivati ad occupare tutta l’area del Guasto: più di cento anni dopo,
nel 1643, l’area accanto al Monte di Pietà continuava ad essere un luogo
abbandonato che si presentava come un "terreno ammassato che per la sua
smisurata altezza pareva quasi impossibile levarla per lo spatio di molti
giorni". Ci volle più di un mese per liberare e spianare l’area in modo che
fosse possibile costruire la chiesa di S. Filippo Neri.
L’abbassamento di circa 80 centimetri del piano di calpestio dell’attuale
palazzo, realizzato intorno alla fine del XIX secolo, non ha permesso la
conservazione delle pavimentazioni e delle strutture originali del palazzo del
Monte. A testimonianza di quanto si svolgeva tra le sue mura, restano solamente
una serie di grandi fosse ricavate direttamente nel terreno.
Si tratta di quanto rimane dell’attività -che trovò ospitalità sui terreni di pertinenza del Monte- del macello, che fu anche luogo di vendita: ne sono appunto testimonianza queste fosse - ne sono state contate almeno quindici - di forma ovoidale; riempite di neve fresca, grazie alla temperatura costante, fungevano da veri e frigoriferi. Le chiavi delle nuove botteghe dei macellai vennero consegnate nel 1566. Le botteghe erano sicuramente ancora in funzione nel 1609 visto che il Monte riscuote l’affitto di 90 bolognini per le beccherie.
Macellai al lavoro nella loro bottega
La ricostruzione delle vicende storiche ed architettoniche di questa zona della città, ricavata sulla base dei dati dello scavo archeologico, finisce in questo punto saldandosi con il presente, sostanziato nel palazzo così com’è possibile vederlo ora, grazie al suo complesso restauro.
Approfondimento - La ghiacciaia, un ingegnoso sistema di conservazione dei
cibi
Al giorno d’oggi il ghiaccio e il sistema del freddo per la conservazione
dei cibi è alla portata di tutti, ma ancora alla metà del secolo scorso, quando
i moderni frigoriferi ancora non esistevano, il ghiaccio veniva distribuito casa
per casa e conservato in ghiacciaie casalinghe, inventate solo nel 1920.
Ma
com’era la situazione prima di queste invenzioni?
Sino dai tempi dei romani la neve e il ghiaccio venivano immagazzinati in buche
o in grotte naturali ed utilizzati sia per rinfrescare le bevande che per
conservare i cibi. Nel Medioevo l’uso della conservazione del ghiaccio decade
per riprendere poi intorno al XV secolo, grazie all’influsso arabo.
Vengono così realizzate ghiacciaie che servivano i ricchi e le comunità. Un caso
è la ghiacciaia del XVI secolo appartenente al Monastero di S. Ambrogio a
Milano, o le ghiacciaie di Cesenatico, utilizzate dai pescatori o ancora quelle
conservate al Monte di Pietà, che servivano alle macellerie che qui avevano
sede.
Le ghiacciaie potevano essere costruire in mattoni, ma quelle più semplici era
semplici buche nel terreno ove il ghiaccio o la neve venivano pressati alternati
a strati di paglia e coperti da foglie secche o stracci di lana.