Gli scavi nella Chiesa di San Francesco a Modena: medaglie, monete, un sigillo pontificio e 440 frammenti del Begarelli perduto
Home - Scavi/Valorizzazione - Chiesa di San Francesco a Modena (scavo 2007)
Comunicato stampa

I lavori di manutenzione straordinaria e consolidamento statico nella chiesa di S. Francesco a Modena hanno fornito un’importante occasione per indagare in modo approfondito una delle più antiche chiese della città. Gli scavi, condotti tra settembre e dicembre 2007, hanno individuato 33 sepolture contenenti diversi reperti di interesse archeologico, quali rosari, medagliette, monete, anelli, targhette in piombo ed in bronzo e numerosi spilli.
Dalla sottofondazione dei livelli pavimentali più antichi provengono inoltre numerose monete bassomedievali, un singolare sigillo pontificio plumbeo riferibile a papa Celestino V e soprattutto 440 frammenti del Monumento Belleardi, un’opera dello scultore rinascimentale Antonio Begarelli distrutta a colpi di martello nel 1807 (esattamente due secoli fa), quando la chiesa fungeva da stalla per le truppe di Napoleone Bonaparte.

L'interno della chiesa di San Francesco durante le indagini archeologiche effettuate tra settembre e dicembre
L'interno della chiesa di San Francesco durante le indagini archeologiche effettuate tra settembre e dicembre

Gli scavi archeologici
La chiesa di San Francesco è una delle più antiche di Modena: il suo impianto originale risale al 1244 anche se fu in parte ricostruita all'inizio del Cinquecento a causa di un terremoto. Nel 1807 la chiesa fu sconsacrata e ridotta ad una stalla per la cavalleria napoleonica di passaggio.
Il cantiere è stato sottoposto fin dall’inizio al controllo dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna. I lavori di scavo, sotto la direzione scientifica del Soprintendente Luigi Malnati e dell’archeologo Donato Labate, sono stati coordinati sul campo da Francesco Benassi, della cooperativa Ares di Ravenna. Le indagini archeologiche sono state condotte in accordo con la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le province di Bologna, Modena e Reggio Emilia.
Dopo la rimozione dei piani pavimentali del secolo scorso, operazione necessaria al consolidamento strutturale delle fondazioni dell’edificio, sono emerse strutture murarie pertinenti a sepolcri contenenti resti umani. Si tratta di tombe, databili tra XIII e XVIII secolo, appartenenti a illustri famiglie modenesi, come documentato dalle antiche cronache. I sepolcri, distribuiti su quasi tutta la superficie interna della chiesa, si trovano appena al di sotto di una pavimentazione in ciottoli fluviali realizzata in epoca napoleonica, a seguito della trasformazione della chiesa in scuderia (1807).

Navata Centrale, Sepolcro 1: le tombe, realizzate in laterizi legati con malta, sono di forma rettangolare con copertura a volta
Navata Centrale, Sepolcro 1: le tombe, realizzate in laterizi legati con malta, sono di forma rettangolare con copertura a volta

I sepolcri, realizzati in laterizi legati con malta, sono di forma rettangolare con copertura a volta; le volte dei sepolcreti sono state abbattute per realizzare la pavimentazione ottocentesca in acciottolato.
La tipologia prevalente dei sepolcri presenta, sul lato maggiore del vano, un letto funebre in laterizi, dotato di cuscino, su cui veniva deposto il defunto: quando si doveva procedere ad una nuova deposizione, i resti precedenti venivano composti e sistemati ai piedi del letto funebre, sul fondo del sepolcro, oppure in appositi loculi ricavati al di sotto del giaciglio funerario. Originariamente i defunti erano semplicemente avvolti in sudari, chiusi con spilli in bronzo; in altri casi erano deposti all’interno di casse lignee, documentate dalla presenza di piccoli frammenti di legno e di numerosi chiodi in ferro. Il corredo funerario, spesso non cospicuo, era costituito da medagliette sacre in bronzo e rosari (con grani in legno o steatite), raramente associati a piccoli crocefissi, anellini o monete.

  
Monete medievali (a sinistra) e un rosario in metallo di età moderna rinvenuto nella tomba 1 (a destra)

In occasione della demolizione del pavimento in cocciopesto della chiesa furono rimosse anche le lapidi sepolcrali che originariamente coprivano le botole di accesso ai sepolcri e ne permettevano l’identificazione. Molte lapidi sono state salvate dalla distruzione e sono oggi conservate al Museo Lapidario di Modena anche se la loro asportazione ha reso impossibile l’identificazione dei rispettivi sepolcri.

Il sigillo papale di Celestino V
A seguito della distruzione della parte superiore delle volte, i sepolcri sono stati colmati con macerie e terreno di riporto che hanno coperto le deposizioni funebri. In questa terra di riempimento e nei depositi archeologici da riferire alla fase di costruzione della chiesa è stato individuato parecchio materiale archeologico risalente all'impianto duecentesco dell'edificio, tra cui monete, medaglie e un sigillo pontificio in piombo riferibile a colui che, secondo numerose fonti, fu l'unico papa dimissionario della storia, Celestino V.
Ancora oggi, la storiografia ufficiale fornisce pareri controversi sul gesto di Celestino V. Volendo credere ad un'interpretazione molto popolare, anche se contestata dai critici moderni, è forse Dante Alighieri quello che si espresse in maniera più critica nei suoi confronti. Secondo questa ipotesi, sarebbe proprio Celestino V il personaggio di cui Dante parla nel III Canto dell'Inferno quando dice: « Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l'ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto. » (Dante Alighieri, Divina Commedia: Inf. III, 59/60).

Su questo lato del frammento si legge il nome di Papa Celestino     Su questo lato del frammento si vede l'effige di San Pietro
I due lati del sigillo papale: quello con il nome di papa Celestino (a sinistra) e quello con l'effige di San Pietro (a destra)

Prima di salire al soglio pontificio, Pietro Angeleri -questo era il suo nome secolare- aveva trascorso molti anni di vita eremitica, soprattutto in una grotta sul monte Morrone, sopra Sulmona, ricevendo dai suoi devoti l’appellativo di Pietro del Morrone. Nato in Molise nel 1215, il 5 luglio 1294 fu designato dal conclave riunito a Perugia come successore di papa Niccolò IV, la cui morte (1292) aveva lasciato la sede vacante per più di due anni. Dall’eremo di Sant’Onofrio al Morrone nel quale si era ritirato, Pietro, a dorso di un asino e avendo come palafrenieri re Carlo II d’Angiò e suo figlio Carlo Martello, mosse alla volta di L’Aquila.  Fu incoronato il 29 agosto con il nome di Celestino V  e fu l'unico papa ad adbicare, il 13 dicembre 1294, due anni prima della morte avvenuta il 19 maggio 1296 nella rocca di Fumone, in Ciociaria, dove era richiuso dal maggio precedente per disposizione del suo successore Bonifacio VIII.
Posto che diverse interpretazioni della frase dantesca individuano nel personaggio le figure di Esaù o di Ponzio Pilato e che Dante ripone il concetto di viltà in tutt'altra categoria di "anime", c'è da sottolineare che Francesco Petrarca aveva invece dato a questo gesto una interpretazione diametralmente opposta. Secondo il Petrarca, una persona come l'Angeleri, dotata di alta spiritualità, non avrebbe mai potuto attendere ai doveri papali se quei doveri, come accadeva a quei tempi, prevalevano sui principi morali. Forse Celestino V, uomo prettamente spirituale e quasi eremitico, non aveva proprio le caratteristiche per fare il  Pontefice, ruolo che si trovò a svolgere senza essersi candidato, contro la propria volontà e al termine di un Conclave estremamente conflittuale seppur composto da soli 11 cardinali.
Sia come sia, il sigillo di un pontefice rimasto in carica per pochissimi mesi, trovato per giunta in una chiesa di Modena, è cosa assai singolare.

Il "Monumento funebre Belleardi "di Antonio Begarelli
Tra il terreno di riempimento di un sepolcro (tomba 30) rinvenuto nella navata centrale della chiesa, sono stati poi recuperati 440 frammenti in terracotta relativi al monumento funebre commissionato nel 1528 ad Antonio Begarelli da Giacomo Belleardi o Beliardi, Conservatore della Comunità di Modena (una sorta di Consigliere Comunale). La distruzione gratuita, a colpi di martello, del Monumento funebre Belleardi, è uno degli episodi più sciagurati della storia modenese: quando la chiesa, sconsacrata, fu "ridotta ad uso stalla per la cavalleria di passaggio" (Valdrighi 1823) il 1 luglio 1807 si iniziò la demolizione che in realtà non era dettata da alcuna necessità.

In basso a destra, la tomba 30 dove sono stati rinvenuti i frammenti del Minumento funebre Belleardi
In basso a destra, la tomba 30 dove sono stati rinvenuti i frammenti del Minumento funebre Belleardi

Di questo Monumento non possediamo alcuna testimonianza grafica, né disegni né stampe. Solo la descrizione dell’avvocato Giulio Besini, che racconta la demolizione della tomba a Don Angelo Rovatti, ci consente di ricostruirne l’aspetto. Sempre di Besini, cultore modenese di cose antiche, è il monito a cui, in qualche modo, questo rinvenimento fornisce ragione: “… non mancate vi prego di farne memoria, se non volete che i nostri posteri accusino come generale ignoranza una barbarie, che fu soltanto di pochi“ (Giulio Besini, Modena 1807)
L’attribuzione al Begarelli, inizialmente supposta dagli archeologi Labate e Benassi sulla base delle fonti bibliografiche consultate nel corso delle indagini archeologiche, è stata confermata dagli storici dell’arte Sonia Cavicchioli, dell’Università degli Studi di Bologna, e da Daniela Ferriani, della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le Province di Modena e Reggio Emilia.
Chi sia stato Antonio Begarelli (1499-1565), artista fuori Modena oggi poco noto ai più, lo lasciamo dire a Michelangelo che, secondo quanto riportato nelle "Vite" del Vasari,  "passando da Modena, vedde di mano di maestro Antonio Bigarino modanese, scultore, che aveva fatto molte figure belle di terra cotta e colorite di colore di marmo, le quali gli parsono una eccellente cosa; e perché quello scultore non sapeva lavorare il marmo, disse (Michelangelo, ndr): «Se questa terra diventassi marmo, guai alle statue antiche»". (Le Vite di Giorgio Vasari, volume VI, Edizione Giuntina, Vita di Michelagnolo Buonarruoti Fiorentino pittore scultore et architetto).
Il monumento coroplastico commissionato da Giacomo Belleardi ad Antonio Begarelli era considerato una delle sue opere più pregevoli nonché uno dei rari monumenti funebri realizzato dallo scultore modenese. Ritraeva il fratello di Giacomo, Lionello, ed il loro padre Francesco. La statua di Francesco era posta sul coperchio dell’arca funeraria; il padre era ritratto con tutti i segni della vecchiaia, gli occhi chiusi, il capo -coperto da un berretto- appoggiato alla mano sinistra mentre con la destra reggeva una borsa, simbolo della sua professione di banchiere. Seduto accanto all’arca, il figlio Lionello indossava una toga dottorale, tenendo fra le mani un codice, allusivo alla sua professione di giureconsulto.
Nella parte superiore della composizione il complesso statuario era arricchito dalla figura del Cristo Redentore, seduto, il braccio destro levato in atto benedicente, la mano sinistra a reggere una croce; ai suoi piedi, due putti emergenti a mezzo busto dalle nubi mentre due angeli a figura intera, ciascuno con un cartiglio recante un motto relativo alla morte del giusto, erano posti ai lati della composizione.

frammenti della testa: a sinistra un orecchio, a destra una parte del volto  frammento del cartiglio
Alcuni dei circa 400 frammenti del gruppo scultoreo del Begarelli al momento della scoperta: a sinistra la testa di Francesco Belleardi, a destra uno dei cartigli sostenuto dagli angeli

I frammenti rinvenuti nel corso delle recenti indagini archeologiche sono generalmente ricoperti di biacca, ad eccezione di alcuni elementi non decorati o con particolari dorati. Sono riconoscibili parti pertinenti al volto di Francesco Belleardi, una porzione di toga con un fermaglio dorato, le zampe leonine che costituivano i quattro appoggi dell’arca funeraria, il busto del Cristo Redentore, parti del corpo dei putti, i due cartigli iscritti e ghirlande vegetali, riccamente adorne di frutti e foglie di alloro.
Di questo monumento, distrutto a colpi di martello il 1 luglio del 1807 (esattamente due secoli fa), quando la chiesa era ormai ridotta a stalla per la cavalleria francese, erano noti finora solo tre frammenti, di cui due conservati nella Galleria Estense di Modena (la testa di un angioletto ed il busto di Lionello Belleardi) e il terzo nel Museo Civico di Modena (un'altra testa di angelo). Il recente rinvenimento rappresenta pertanto un evento assolutamente straordinario che arricchisce il panorama dell’opera begarelliana.
In origine il monumento doveva essere posto in un’ampia nicchia scavata nel muro laterale della navata sinistra della chiesa, in corrispondenza di un’antica finestra. La composizione plastica, alloggiata sotto un arco coperto da un elegante cornicione, circondava l’arca sepolcrale con l’effige della famiglia Belleardi, sotto la quale era l’iscrizione funeraria, datata 1529.


A 200 anni esatti dalla sua distruzione a colpi di martello, possiamo "rivedere" il volto di Francesco Belleardi così come fu modellato da Antonio Begarelli

Antonio Begarelli (Modena 1499-1565)
La data di nascita di Antonio Begarelli si ricava da una notizia del cronista Lancillotto che, nel marzo 1524, scrive del Compianto -oggi in S. Agostino- che lo ha "fatto M. Antonio Begarelli, giovane di anni 25".
Antonio Begarelli. Busto di Lionello Belleardi. Galleria Estense, ModenaLa prima commissione importante per il giovane scultore è la Madonna di Piazza, che segue un iter anomalo: a quanto pare, Antonio la creò indipendentemente dalla commissione e propose al Consiglio della Comunità l’acquisto della statua già pronta. Nel 1528, quando Begarelli ha già dato prova delle sue capacità (il Compianto di S. Agostino, il Monumento Boschetti a S. Felice, il Presepe in Duomo), il Comune delibera per l’artista il pagamento di uno stipendio fisso per l’artista iscrivendolo al bilancio delle Bollette Ordinarie. La sua committenza, che aveva conosciuto figure di notevole risalto non solo modenese, come Giacomo Belleardi, diviene presto esclusivamente ecclesiastica, con netta preferenza per i Benedettini che reggevano l’abbazia di S. Pietro, presso i quali lo stesso Begarelli si fa oblato. Il successo della Madonna di Piazza comporta nuovi incarichi: il Compianto oggi in S. Agostino, il Monumento funebre per Gian Galeazzo Boschetti e un Presepe (quello del Duomo). Nel 1529 Begarelli riceve da Giacomo Bellardi la commissione per una statua di Maddalena, purtroppo andata perduta e inaugurata il primo agosto 1531, nello stesso giorno della Deposizione di S. Francesco. L’anno successivo, il 1532, abbiamo notizia della prima commissione benedettina per l’artista: Begarelli realizza alcune statue per il monastero di S. Pietro che condivideva la Regola Cassinese (La Madonna col Bambino,Santa Giustina, S. Pietro, S. Benedetto, databili tutte tre il 1532 e il ’36) e, a cavallo degli anni Ottanta, inizia la sua operosità per S. Giovanni di Parma e S. Benedetto Po. Gli impegni di lavoro sono numerosissimi e, addirittura, pare ci siano sovrapposizioni cronologiche fra opere diverse: il Monumento Bellardi, la Maddalena per Giacomo Bellardi e il gruppo di S. Francesco e, più avanti, fra la Pietà di S. Pietro e la Madonna di Monteorsello di Guiglia (1545, unica opera cui Begarelli abbia apposto una data). A fine decennio, nel 1559, Begarelli stipula con i monaci di S. Benedetto in Polirone un contratto per la fornitura di ventidue statue nelle nicchie della navata e del portico della chiesa abbaziale, incarico che porta a termine lavorando contemporaneamente anche all’altare di S. Pietro e al restauro di alcune sue statue fatte vent’anni prima per il monastero di S. Giovanni a Parma. Lo scultore muore il 28 dicembre 1565, all’età di sessantasei anni e viene sepolto dapprima nella chiesa di S. Pietro, per poi essere traslato, nel 1875, sotto la grande ancona fittile che lo stesso Begarelli aveva lasciato di poco incompiuta al momento della morte.
Conservati nella Galleria Estense sono la Testa di putto e la Testa di un angelo ed il Busto di Lionello Belleardi facenti parte del monumento funebre di Belleardi stesso commissionata nel 1528 dal fratello Giacomo, conservatore della comunità perché riunisse in un solo monumento sia il fratello che il padre banchiere.
Il monumento funebre, del quale diversi risultano gli apprezzamenti di cronisti e storici locali del tempo, fu collocato nella chiesa di S. Francesco. Nel 1807 la chiesa fu sconsacrata e ridotta ad una stalla per la cavalleria napoleonica di passaggio, e il monumento funebre fu inopinatamente demolito; la chiesa fu poi recuperata e riconsacrata dopo la Restaurazione, ma del monumento restavano ormai solo le parti sopracitate pur pregevoli e rappresentative dell'arte begarelliana.
Nella chiesa di S. Francesco è oggi ospitato il grande gruppo di tredici figure di grandezza al vero della Deposizione dalla croce del 1530 - 1531. Quest'opera è considerata il capolavoro del Begarelli, ammirato dai contemporanei tanto che all'epoca della Repubblica Cispadana il presidente dell'Accademia Luigi Cerretti si meravigliò che i francesi, nella razzia operata da Napoleone nei suoi diversi passaggi e soggiorni a Modena, abbiano risparmiato una tale opera d'arte apprezzata persino, sembra, da Michelangelo. Un bozzetto per la Deposizione con la Madonna svenuta e tre pie donne si trova oggi al Victoria and Albert Museum di Londra.