Valorizzare un’antica città è impresa ben difficile.
Soprattutto se per "valorizzare" si intende renderla comprensibile senza
però mettere a repentaglio la conservazione delle strutture, per loro
stessa natura spesso fragili e certamente sempre fragilissime a causa
della vetustà.
Il problema è particolarmente evidente in una città come l’etrusca
Marzabotto-Kainua, la cui eccezionalità è data dallo stato di
conservazione dell’impianto planimetrico che è però privo di alzato.
È anche (fortunatamente) tramontata l’epoca delle coperture invadenti e poderose
in cemento armato che avevano caratterizzato gli anni ’70, come pure le
tettoie in lamiera, talvolta in eternit, che avevano marcato con la
provvisorietà di lavori in corso i punti più delicati delle nostre aree
archeologiche.
Tutte queste problematiche si presentavano e si presentano compattamente
nella città etrusca di Marzabotto.
In attesa di elaborare un sistema coerente, efficace ed efficiente per
proteggere i monumenti senza snaturare il profilo piano della città, in
anni recenti si
è provveduto anzitutto a rimuovere le tettoie che
in un caso soprattutto, la copertura della fornace in cemento armato,
apparivano come veri e propri “ecomostri”.
Come primo passo è stata restaurata e reinterrata la
fornace romana al
margine orientale della città che, impostata sui resti etruschi, di
fatto rendeva meno comprensibile la lettura dell’impianto urbano di
quella fase, di gran lunga la più significativa del pianoro.
Il problema del restauro e della valorizzazione è stato esaminato sia da
un punto di vista teorico che economico. La domanda a cui rispondere
era: quale impronta dare alla visita della città, viste anche le scarse
risorse in essere?
Si è scelto di privilegiare alcuni punti nodali per creare un percorso
comprensibile e contemporaneamente meno esposto ai pericoli del degrado.
Ecco che allora, con i fondi del Piano Nazionale per l’Archeologia, si è
puntato a offrire una lettura migliore dell’impianto planimetrico di una
fra le case note più importanti della città, la cosiddetta casa 6
(foto sotto),
rendendone ben visibile l’impianto planimetrico e mettendo in evidenza
anche una parte di strutture sottostanti a quelle coeve al resto
dell’impianto urbano, che evidenziano la preesistenza in loco di
strutture di circa un secolo più antiche.
La casa 6 al termine dei lavori di restauro
Nella stessa tornata di lavori è stato portato in luce un
tratto
stradale (foto sotto) che, grazie a opportuni e costanti diserbi, consente al
visitatore di vedere il reale fondo acciottolato con i passaggi pedonali
e i marciapiedi di una delle principali strade della città.
Una delle strade principali della città (cd Plateia A) dopo il restauro
I fondi Lotto del 2010 sono stati utilizzati per sanare la situazione
della grande fornace che serviva le necessità del
tempio di Tinia, nella
parte settentrionale della città, deturpata da una copertura in cemento
armato sovradimensionata e tra l'altro ormai fatiscente.
Per rimuovere l’imponente copertura senza danneggiare le sottostanti
fragili strutture, queste sono state preliminarmente ripulite,
consolidate e reinterrate in attesa di un progetto specifico e coerente
di valorizzazione dell’officina nell’ambito dell’intera città.
Un problema del tutto particolare ponevano le strutture del vicino
tempio (foto sotto). Quanto si conserva di esso è infatti essenzialmente
sottofondazione, di strutture murarie e colonne, che a loro volta erano
inglobate nel podio, sopraelevato di qualche gradino. I resti di queste
fondazioni, nate per stare sepolte e portate in luce dagli scavi, erano
chiaramente destinate a perdere in breve tempo ogni evidenza, per
dilavamento e perdita di coesione delle strutture, realizzate a secco.
Né era pensabile creare una tettoia protettiva, sia per le grandi
dimensioni dell’area da coprire (m 21 x 35) che per l’impatto eccessivo
di una tale struttura sul pianoro.
La suggestiva planimetria del Tempio di Tinia messa in risalto dai
restauri
Si è dunque optato per un consolidamento delle fondazioni esistenti, in
alcuni casi conservate per un solo corso e lasciate interrate, proteggendole
con una superfetazione
realizzata con un corso di ciottoli o di lastre di travertino, a seconda
del materiale lapideo sottostante. Ciò ha consentito una lettura più evidente
dell’impianto planimetrico del tempio, compresa la peristasi di colonne
e, nel contempo, la conservazione delle strutture originali sottostanti.
Particolarmente problematica è stata la scelta del travertino, a causa
della difficoltà di trovare una tecnica di taglio economicamente
accessibile e nel contempo idonea ad allontanare il più possibile
l’effetto “mattonella”. Ci si è avvicinati molto a un tale obiettivo
tagliando blocchi della stessa misura di quelli originali sottostanti e
rendendo più scabrosa la superficie e gli spigoli delle lastre in
travertino con una lavorazione manuale molto accurata. Il tempo e le
intemperie faranno il resto.
Un altro dei punti focali della valorizzazione è
certamente l’Acropoli dove già si era intervenuti per contenere, reinterrandolo parzialmente, il muro occidentale del tempio cosiddetto E
(che, messo a nudo dagli scavi, rischiava di collassare) nonché
ripulendo da muschi e licheni i travertini che sostanziano sia il
monumento più rilevante e meglio conservato dell’Acropoli, l’altare D,
che il tratto di acquedotto etrusco rinvenuto nell’800 a grande
profondità e riposizionato sul primo terrazzamento dell’Acropoli.
Acropoli. Da sin. l'acquedotto etrusco, la "sorgente etrusca" e il
monumento commemorativo del 1865
Ma un riassetto dell’Acropoli non poteva prescindere anche dal restauro
dei monumenti realizzati dai proprietari della villa nella seconda metà
dell’800 (nelle foto), liberamente ispirati al mondo etrusco, che compongono
l’immagine suggestiva di uno straordinario parco archeologico-storico-naturalistico: dalla
riproduzione di alcuni cippi
segnacolo rinvenuti nella stessa città e riprodotti in dimensioni assai
maggiori, fino alla "sorgente etrusca” realizzata spostando il vero
acquedotto.
Monumenti destinati a celebrare i fasti di una città che si stava
inaspettatamente svelando in quegli anni aprendo squarci su un mondo
etrusco ancora assai poco definito.
Il restauro di questi monumenti moderni ha riportato in vista anche le
iscrizioni ottocentesche con particolare riguardo alla commemorazione
dello svolgimento del V congresso di Preistoria e Protostoria del 1871
che ebbe, nella città Etrusca di Marzabotto, una tappa prestigiosa.
Il monumento a forma di cippo etrusco (nella foto sopra) riporta sul
fronte la scritta "Giuseppe Aria scoperta e investigata questa necropoli
etrusca ne pubblicò i monumenti e la illustrazione con opera e studio di
G. Gozzadini nel MDCCCLXV" mentre sul fianco ha inciso, in caratteri
etruschi, la prima iscrizione etrusca trovata a Marzabotto e in Etruria,
il nome maschile AKIUS.
Il piccolo obelisco sulla sinistra della "sorgente etrusca" ricorda
invece l'apertura delle tombe galliche durante il congresso del 1871:
"Alla presenza del Principe Umberto di Piemonte e dei convenuti al V
Congresso Internazionale d'Antichità Preistorica furono qui aperte ed
esplorate sei tombe galliche il V ottobre MDCCCLXXI. Giuseppe Conte Aria
a perpetua memoria pose"
Alcuni dei manufatti dell'acropoli restaurati con i Finanziamenti del
Piano Nazionale di Archeologia e dei Fondi Lotto
I lavori sono stati realizzati con i Finanziamenti
del Piano Nazionale di Archeologia e Fondi Lotto
Stazione appaltante Direzione Regionale per i beni culturali e
paesaggistici dell'Emilia-Romagna (DRBCPER)
Responsabile del procedimento
Paola Desantis (SBAER)
Progettisti e Direttori Lavori:
Antonella Pomicetti,
Paola Desantis (SBAER), Andrea
Sardo, Dario Fabio Biondi, Domenico Rivalta (DRBCPER)
Hanno eseguito i lavori le ditte ARS Archeosistemi di Reggio Emilia,
Gerso restauro opere d'arte s.r.l. di Ravenna, In Opera società
cooperativa conservazione e restauro di Faenza (RA)
Informazioni
scientifiche dell'archeologa
Paola Desantis e
della restauratrice
Antonella Pomicetti
Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna (SBAER) |