I lavori di restauro e ristrutturazione dello stabile dell’ex Monte di Pietà, attualmente sede della Fondazione della Cassa dei Risparmi di Forlì, hanno contemplato lo scavo archeologico di tutto il piano terreno (circa 800 metri quadri) allo scopo di realizzare i vani cantinati che mancavano. Prima si sono svolte le indagini preliminari, poi tra il febbraio 2004 e l'agosto 2005 è stato condotto uno scavo estensivo di tutta l'area, cui è seguito il restauro dei numerosissimi materiali rinvenuti.
Il Palazzo dell'ex Monte di Pietà in corso Garibaldi n. 45 a Forlì (FC)
Visto l'interesse di quanto si andava via via scoprendo, la Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna e la proprietaria Fondazione Cassa dei
Risparmi di Forlì hanno deciso di conservare una parte delle strutture che
andavano emergendo e di rendere i sotterranei un luogo archeologico visitabile
dal pubblico, in grado di offrire alla città un’occasione per conoscere il
proprio passato, tanto ricco quanto poco conosciuto.
Sono proprio questi ambienti di profonda suggestione i protagonisti del percorso espositivo
permanente "Il Monte prima del Monte" che sono stati inaugurati
venerdì 5 aprile 2013 nel PALAZZO DEL MONTE DI PIETÀ in Corso Garibaldi n. 45 a
Forlì.
Il percorso e la mostra sono visitabili (previo appuntamento) tutti i giorni dal lunedì al venerdì. Per info 0543.1912011 / 0543.1912025 -
www.fondazionecariforli.it
vedi anche la pagina dedicata agli scavi archeologici effettuati tra il 2004 e il 2005
L’indagine è stata condotta dalla Ditta Akanthos -Ricerche Archeologiche sotto
la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici
dell’Emilia-Romagna ed è stata finanziata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di
Forlì.
Gli scavi hanno portato in luce la storia di un isolato urbano di particolare
importanza per Forlì, consentendo di sfogliare “a ritroso” le vicende di
quest’area della città e di ricostruirne le fasi di occupazione più
significative, fino alla costruzione
dell’attuale Palazzo del Monte di Pietà. Sono anche riemerse alcune vasche
di scarico per i rifiuti (butti) dove sono stati trovati numerosi manufatti in ceramica, vetro e leghe metalliche,
oltre a resti botanici ed ossei.
Questi ritrovamenti (fulcro della
mostra “Il Monte prima del Monte”
allestita nel Palazzo di residenza della Fondazione dal 9 maggio al 12 luglio
2009) e i successivi studi sono poi confluiti nel libro strenna curato, per conto della Fondazione, da Chiara Guarnieri,
archeologa della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna che
ha anche diretto gli scavi.
Gli scavi archeologici condotti all’interno del Palazzo dell’ex Monte di Pietà hanno permesso di
ricostruire la storia di questa parte della città nei secoli centrali del
Medioevo.
La prima occupazione dell’area
Quest’area della città, sebbene si trovasse in una posizione centrale,
sembra sia stata frequentata solamente a partire dal Medioevo. Il suo primitivo
aspetto era quello di una zona aperta, priva di abitazioni, con una marcata
pendenza naturale del terreno che fu subito eliminata nel momento in cui nella
zona si insediò un’attività artigianale. La sua esistenza è documentata dalla
presenza di buche di forma circolare, probabilmente resti di impianti legati a
lavorazioni che prevedevano l’utilizzo dell’acqua, come ad esempio le concerie.
L’esistenza in questa zona della città di imprese artigianali di vario tipo è
peraltro documentata dalle cronache, dagli atti notarili e dagli Statuti
cittadini; la vicinanza del canale di Ravaldino forniva infatti abbondante acqua
ed energia anche attraverso canalizzazioni secondarie.
Il quartiere tardomedievale
Tra la metà del XIV e gli inizi del XV secolo l’area fu completamente
occupata. Si dovette trattare di un’azione quasi simultanea che avvenne con la
costruzione di almeno quattro diversi edifici in muratura che in uno stretto
lasso temporale subirono ampliamenti e modifiche. Accanto a questi edifici,
prospiciente l’attuale corso Garibaldi, sorgeva anche una torre, di cui sono
rimaste le possenti fondazioni in grossi ciottoli di fiume. Forlì, come tutte le
città medievali, era infatti dotata di un considerevole numero di torri -la cui
ubicazione si è perduta nel tempo- che furono atterrate o livellate a partire
dal 1283 e durante il secolo successivo.
Ricostruzione del quartiere medievale (disegno di
Riccardo Merlo, ©
2009)
Le case degli Orsi
La situazione appare radicalmente cambiata già attorno alla metà del XV
secolo per un generale intervento di ristrutturazione che modifica totalmente
l’aspetto di questa parte del quartiere. Viene infatti realizzato un unico e
vasto complesso edilizio, il cui andamento planimetrico appare sostanzialmente
esteso in senso N-S, che viene ad obliterare, in parte riutilizzandole, le
fondazioni degli edifici precedenti.
Questa imponente operazione di presa di possesso di un’area così vasta nel cuore
cittadino non poteva che essere il frutto di un’operazione legata ad una
famiglia di prestigio. Siamo con ogni probabilità di fronte a quello che rimane
delle famose “case degli Orsi”. La data di costruzione del palazzo, che in
realtà doveva essere costituito da una serie di edifici contigui, è da
individuare tra il 1430 e il 1460. Gli Orsi infatti possedevano già lungo la
Strada Maestra (attuale corso Garibaldi) una serie di case e botteghe che
decisero di accorpare in un’unica domus magna; le cronache ci restituiscono la
descrizione di un complesso di edifici piuttosto articolato, che veniva ad
occupare un ampio spazio in questa zona della città, solo in parte coincidente
con l'attuale palazzo nel quale ci troviamo. L’indagine archeologica che ha
interessato tutto il sotterraneo ha permesso di individuare almeno sedici
ambienti facenti parte di un imponente complesso edilizio la cui estensione
proseguiva verso settentrione, in direzione dell’attuale corso Garibaldi e verso
meridione, nell’area che in seguito sarà occupata dalla chiesa di S. Filippo
Neri.
L’impossibilità di estendere l’indagine archeologica verso settentrione, oltre
il fronte dell’attuale palazzo, non ha permesso di definire se l’accesso
principale della casa fosse su questo lato; sicuramente il suo fronte stradale
era occupato da una serie di botteghe ed attività artigianali Le fonti inoltre
ci raccontano che il palazzo era dotato di una torre colombara “che dava verso
l’orto”. Appare a questo punto assai suggestivo pensare che la torre rinvenuta
nello scavo, una volta dismessa la sua originaria funzione difensiva, fosse
stata riadattata dagli Orsi a colombaia, con funzione di abbellimento
dell’edificio. Come i precedenti edifici anche il palazzo degli Orsi era dotato
di una serie di vani interrati per lo scarico dei rifiuti.
Il “guasto”delle case degli Orsi
Come sappiamo dalle fonti storiche, questa situazione non durò a lungo: le
case degli Orsi, responsabili dell’assassinio di Girolamo Riario, marito di
Caterina Sforza, furono incendiate ed abbattute nel 1488. Per lungo tempo l’area
rimase un “guasto” nella città, una zona lasciata appositamente vuota, a monito
della terribile punizione. I segni di questa immane distruzione sono stati
puntualmente portati in luce con lo scavo: su tutta l’area indagata le murature
appartenenti al palazzo degli Orsi appaiono rase al suolo e ricoperte di uno
massiccio strato di macerie.
Del palazzo sono rimaste parzialmente intatte solamente le strutture relative a
vani ipogei.
Si costruisce il Monte di Pietà
La punizione era stata durissima. In quella zona della città rimase per
lungo tempo un immenso cumulo di macerie a monito di quanto era accaduto. Solo
dopo molti decenni, per volontà della comunità, si costruì su di una parte
dell’area il palazzo che doveva ospitare il Monte di Pietà. Ma la zona
interessata dalle demolizioni era molto più vasta; un intero quartiere, secondo
le cronache forlivesi, era stato abbattuto durante il furore del 1488. Ancora
nel 1534 la maggior parte dell’area del guasto doveva apparire come un cumulo di
macerie, visto che in un documento si parla della necessità di abbassare il
terreno per poi iniziare a costruire. Ma in questo momento non si era comunque
ancora arrivati ad occupare tutta l’area del Guasto: anche più di cento anni
dopo, nel 1643, l’area accanto al Monte di Pietà era un luogo abbandonato che si
presentava come un terreno ammassato che per la sua smisurata altezza pareva
quasi impossibile levarla per lo spatio di molti giorni. Ci volle più di un mese
per liberare e spianare l’area in modo tale che fosse possibile costruire la
chiesa di S.Filippo Neri.
L’abbassamento di circa 80 centimetri del piano di calpestio dell’attuale
palazzo, realizzato intorno alla fine del XIX secolo, non ha permesso la
conservazione delle pavimentazioni e delle strutture originali del palazzo del
Monte. Restano solamente, a testimonianza di quanto si svolgeva tra le sue mura,
una serie di grandi fosse ricavate direttamente nel terreno. Si tratta di quanto
rimane dell’attività -che trovò ospitalità sui terreni di pertinenza del Monte-
del macello, che fu anche luogo di vendita: ne sono appunto testimonianza queste
fosse - ne sono state contate almeno quindici - di forma ovoidale; riempite di
neve fresca, grazie alla temperatura costante, fungevano da veri e propri
frigoriferi. Le botteghe, le cui chiavi furono consegnate ai macellai nel 1566
erano ancora in funzione nel 1609 visto che in quella data il Monte riscuote
l’affitto di 90 bolognini.
La ricostruzione delle vicende storiche ed architettoniche di questa zona della
città, ricavata sulla base dei dati dello scavo archeologico, finisce in questo
punto saldandosi con il presente, sostanziato nel palazzo così com’è possibile
vedere vederlo ora, grazie al suo complesso restauro.
Il percorso espositivo: Prima stanza
Le case medievali
In questa sala (sulla sinistra) si trovano due fondazioni di spessi muri
perimetrali. Si tratta del muro sud dell’ Edificio 4 (USM 1704) e del muro nord
dell’Edificio 2 (USM 1016), di cui è ben visibile la fondazione realizzata in
ciottoli, frammenti di mattoni e mattoni interi. L’USM è un’abbreviazione
archeologico che significa Unità Stratigrafica Muraria. Questi due muri sorgono
a pochissima distanza tra loro e risultano lievemente disassati, così com’è
logico che accada in assenza di una ripartizione regolare, stabilita
preventivamente, degli spazi da edificare.
Seconda stanza
La torre
I resti sul lato destro sono quanto rimane delle fondazioni in grossi
ciottoli di una torre, strutture di cui era ricca Forlì come molte altre città
medievali. Le torri, persa la loro iniziale funzione difensiva, furono atterrate
o livellate a partire dal 1283 e durante il secolo successivo. Molto
probabilmente questa torre venne riadattata dalla famiglia Orsi a colombaia, con
funzione di abbellimento del loro grande palazzo.
Sul lato sinistro, è visibile lo spazio, ricavato nel terreno, relativo a due
ghiacciaie pertinenti alle macellerie che furono impiantate nell’area nel XVI
secolo.
Le vasche di scarico
Si tratta di vani sotterranei, di forma rettangolare e dotati di una
copertura a volta. Ai lati presentavano delle caditoie che si aprivano a livello
del pavimento, in modo da gettarvi i rifiuti e tutto quanto era giudicato
inservibile o forse anche passato di moda, a giudicare dall’ottimo stato di
conservazione di molti reperti recuperati.
Strutture di questo tipo, la cui esistenza sembra peculiare del periodo
tardo-medievale, si trovano anche in altre centri della regione, in particolare
a Ferrara dove si rinvengono nei palazzi estensi, in conventi di prestigio ed in
abitazioni di ceto medio-alto. All’interno dell’area dell’ex- Monte di Pietà sia
i palazzi medievali che il palazzo degli Orsi erano dotati di questo tipo di
discariche
Palazzo dell'ex Monte di Pietà - Particolare della seconda stanza dell'ambiente
sotterraneo
Terza stanza
Le ghiacciaie delle macellerie
Al giorno d’oggi il ghiaccio e il raffreddamento per la conservazione dei
cibi è alla portata di tutti, ma ancora alla metà del secolo scorso, quando i
moderni frigoriferi non esistevano, il ghiaccio veniva distribuito casa per casa
e conservato in ghiacciaie casalinghe, inventate solo nel 1920. Ma com’era la
situazione prima di queste invenzioni? Sino dai tempi dei Romani la neve e il
ghiaccio venivano immagazzinati in buche o in grotte naturali e utilizzati sia
per rinfrescare le bevande che per conservare i cibi. Nel Medioevo l’uso della
conservazione del ghiaccio decade per riprendere poi intorno al XV secolo,
grazie all’influsso arabo. Vengono così realizzate ghiacciaie che servivano i
ricchi e le comunità. Queste strutture potevano essere costruire in mattoni, ma
quelle più semplici erano comuni buche nel terreno dove il ghiaccio o la neve
venivano pressati alternati a strati di paglia e coperti da foglie secche o
stracci di lana.
Un esempio sono quelle conservate al Monte di Pietà, appartenenti alle
macellerie le cui botteghe vennero aperte nel 1566 e che rimasero in funzione
almeno fino al 1609 visto che il Monte riscuote l’affitto di 90 bolognini per le
beccherie. Accedendo alla terza stanza, si entra per l’appunto in una di esse.
Lo scavo archeologico stratigrafico
In questi ultimi decenni la ricerca archeologica ha modificato il suo metodo
di indagine, giungendo a una definizione più raffinata rispetto al passato.
Il metodo attualmente utilizzato è quello stratigrafico. Nello scavo
stratigrafico il terreno non viene rimosso casualmente ma indagato togliendo i
singoli componenti nell’ordine esattamente inverso a quello della loro
formazione, come se si leggesse un libro (a cui mancano molte pagine!) partendo
dalla fine.
Ciascuno degli elementi che si incontra viene schedato, fotografato e disegnato,
per essere poi messo in relazione con gli altri: la finalità è ricostruire la
storia di un’area o di un edificio o meglio ancora la storia degli uomini che
hanno abitato quell’area o costruito quell’edificio.
Ciascun elemento che si identifica, ad esempio buche, strutture o strati di
terreno come in questo caso, è chiamato unità stratigrafica (abbreviato con US);
per evitare confusioni ciascuna US è identificata con un numero.
I cartellini bianchi appesi alla parete di terreno sono i numeri dati dagli
archeologi alle singole US di questa zona.
Le vasche di scarico
Le vasche utilizzate per lo scarico dei rifiuti sono in genere molto ricche
di tutto quanto è utilizzato nella vita di tutti i giorni.
Ad esempio, il riempimento di questo vano (us 1536), oltre ad oggetti presenti
sulla tavola come ceramiche, bottiglie e bicchieri ha restituito anche un
discreto numero di fiale in vetro, che servivano per contenere medicinali e
cosmetici, e di orinali, utilizzati dai medici per valutare il colore delle
urine. Oltre agli oggetti, in questi scarichi si buttava anche la spazzatura,
costituita per lo più dagli avanzi della cucina. L’analisi dei resti di pasto ha
consentito di appurare che il consumo della carne ovina presso la famiglia Orsi
era inferiore a quella bovina, che in effetti risulta essere quella preferita
dai cuochi delle famiglie nobili. A questa si affianca anche l’utilizzo di
selvaggina e molluschi.
Orinali pressoché integri rinvenuti negli scavi. Erano usati come pitali ma
anche, come nel disegno, per l'osservazione delle urine
Cucina e tavola nel tardo medioevo
Nella cucina era sempre presente il camino con il fuoco acceso su cui veniva
appeso, tramite un gancio, un calderone in metallo. Alcuni cibi venivano cotti
per lungo tempo in pentole solo accostate alla fiamma, azione che ha lasciato
ampie aree di affumicatura sulle pareti di questi oggetti; i catini-coperchio
erano utilizzati come fornetti domestici per cuocere il pane sul piano del
focolare.
Per la preparazione e la conservazione dei cibi ci si serviva di ciotole e
catini di diverse dimensioni, mentre l’acqua veniva conservata in brocche di
terracotta o ricoperte da invetriatura. Se il panorama degli oggetti utilizzati
in cucina non varia molto durante tutto il Medioevo, per quanto riguarda la
tavola assistiamo a un notevole cambiamento negli usi intorno al XV secolo,
momento dal quale inizierà ad affermarsi l’utilizzo delle stoviglie individuali,
costume che porterà sulla mensa una notevole varietà di oggetti, principalmente
prodotti nelle manifatture locali.
In particolare nella Romagna ci fu un prevalere degli oggetti in ceramica
smaltata -soprattutto forme chiuse come boccali- su quelli in ceramica graffita,
più diffusi nell’area settentrionale della regione. Sulle tavole più ricche
potevano essere presenti anche oggetti esotici, come nel caso delle ceramiche di
produzione spagnola, di cui lo scavo nel Monte di Pietà ha restituito qualche
esemplare. Completavano il servizio da tavola gli oggetti in vetro, consistenti
in bottiglie dalla caratteristica forma panciuta, bicchieri troncoconici senza
piede e rare coppe.
Sulla tavola le posate più utilizzate erano i coltelli e i cucchiai. I coltelli,
con lama in ferro, avevano l’immanicatura realizzata in diversi materiali, quali
il legno, il metallo o l’osso; i cucchiai erano per la maggior parte realizzati
in legno ma esistevano anche esemplari in bronzo o in metalli preziosi. Molto
più rara la forchetta che troverà diffusione tra gli oggetti comuni in tavola
solo dal XVIII secolo; in sua assenza -anche sulle mense più ricche- per portare
il cibo alla bocca si utilizzavano le dita
IL
MONTE PRIMA DEL MONTE
ARCHEOLOGIA E STORIA DI UN QUARTIERE URBANO DI FORLÌ TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO
Percorso espositivo
Chiara Guarnieri
Progetto di allestimento
Studio Lucchi & Biserni
Chiara Guarnieri
Testi dei pannelli presenti lungo il percorso espositivo
Chiara Guarnieri (Lo scavo del Monte)
Fabiana Di Giulio (Le tecniche di scavo archeologico)
Disegni ricostruttivi originali
Riccardo Merlo
Scavo archeologico: Akanthos SRL
Direzione scientifica: Chiara Guarnieri (Soprintendenza per i Beni
Archeologici dell’Emilia Romagna )
Direzione sul campo: Fabiana Di Giulio
Partecipanti: Carolina Ascari Raccagni, Enrico Casali, Matteo Costa,
Nicola Fadini, Cecilia Milantoni, Michelangelo Monti, Cristina Pambianchi,
Rosandra Rivalta, Valentina Secci, Fabiano Sportelli, Luca Tagliani, Serena
Tarlazzi, Lorenzo Urbini
Restauri materiali
Ardea Fabbri, Micol Siboni, Enrico Bertazzoli (Soprintendenza per i
Beni Archeologici dell’Emilia Romagna )
Elena Agnini (vetri)
Florence Caillaud (metalli)
Ana Hillar (ceramiche)
Il percorso espositivo permanente è stato inaugurato
Venerdì 5 aprile 2013 - ore 16.30
nel PALAZZO DEL MONTE DI PIETÀ
in Corso Garibaldi n. 45 a Forlì
IL MONTE PRIMA DEL MONTE
Sono intervenuti
Piergiuseppe Dolcini
Presidente della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
Roberto Balzani
Sindaco del Comune di Forlì
Monica Miari e Chiara Guarnieri
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
La mostra è rimasta aperta nelle giornate di sabato 6 e domenica 7 aprile, dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18
Per info 0543.1912011 / 0543.1912025 - www.fondazionecariforli.it