Il Tesoro di
Spilamberto. Signori Longobardi alla frontiera
Storie di guerrieri, donne e cavalli e di una ragazza dal velo d’oro
Fibule,
armille, pettini, collane, raffinati manufatti in vetro o in bronzo fuso,
gioielli di rara fattura ma soprattutto armi, di tutti i tipi: spade a doppio
taglio, coltelli, cuspidi di lancia, punte di freccia, umboni di scudi. E poi
decine di fibbie, perché il mondo di un Longobardo stava appeso alla cintura.
La piccola necropoli scoperta nel 2003 alle porte di Spilamberto non racconta
solo la storia degli uomini e donne vissuti qui circa 1500 anni fa. Portando
alla luce alcuni aspetti della loro vita privata, restituisce loro carne, sangue
e sentimenti. Nulla intacca i resoconti delle loro celebri virtù guerriere. Ma
dalle 34 sepolture in semplice fossa rinvenute a Ponte del Rio (di cui un terzo
femminili) emerge un’epoca solo in parte lontana che torna a vivere nella forma
di un sedile in tutto simile a quelli che usiamo ancora oggi o nell’eleganza di
un cammeo che, creato per una matrona romana, si trasforma prima in raffinato
gioiello per qualche nobile vissuta in epoca bizantina e infine in prezioso
monile per una giovane “principessa” longobarda.
La necropoli longobarda di Spilamberto non è solo ciò che resta di un gruppo di
guerrieri con le loro famiglie, forse un clan gentilizio (fara), insediatosi qui
per occupare e controllare un territorio di confine. È soprattutto la
testimonianza della più antica presenza stabile di immigrati longobardi nel
Modenese. Un ritrovamento quindi che, per varietà di reperti e alta cronologia,
fa di Spilamberto un luogo nodale per la storia dell’Emilia-Romagna nell’altomedioevo.
È dedicata a questa straordinaria scoperta archeologica la mostra “Il tesoro di
Spilamberto. Signori Longobardi alla frontiera” allestita fino al 25 aprile 2011
nello Spazio Eventi “L. Famigli”. Organizzata da Comune di Spilamberto e
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, con l’importante
collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, la
mostra espone quattro tra le sepolture più significative rinvenute nella vasta
area di Cava di Ponte del Rio, nei pressi del fiume Panaro. I corredi sono
presentati in una piattaforma centrale, insieme a uno dei tre cavalli
sacrificati con i padroni defunti; ampie nicchie di contorno trattano i temi
dell’abbigliamento, degli ornamenti, della cura della persona, delle armi e del
vasellame da tavola. Tra i reperti, illustrati da un ampio apparato reso più
suggestivo dalla grafica ricostruttiva, spiccano i filamenti in oro di un
tessuto di broccato che probabilmente velava il volto di una giovane defunta, un
raffinato corno potorio in vetro e un’eccezionale sedia pieghevole in ferro
(sella plicatilis) decorata con agemina in ottone a motivi geometrici e
vegetali.
Ma chi erano i Longobardi? Invasori selvaggi che rasero al suolo quanto restava
della civiltà classica, oppure popolo di emigranti già ampiamente romanizzato
che avrebbe potuto trasformare l’Italia in una Nazione, come i Franchi stavano
facendo al di là delle Alpi? Il dibattito su questo popolo guerriero sceso dalla
Pannonia e padrone della Penisola per più di due secoli è ancora aperto.
Una cosa è certa. Quando i Longobardi arrivano al seguito di re Alboino, nel
568, le città hanno perso da tempo lo splendore dell’età imperiale: le strade
sono disselciate, i commerci languono e le condizioni di vita sono fortemente
deteriorate, soprattutto nelle regioni del nord.
Nelle città i nobili guerrieri occupano le dimore signorili e i palazzi
superstiti mentre il resto della popolazione ricava modeste case nelle antiche
domus romane. Nelle campagne, come a Spilamberto, piccole comunità si insediano
nelle fattorie di età romana o in nuovi villaggi di capanne e terra fin dalla
prima fase migratoria. Il confine tra regno longobardo ed Esarcato bizantino è a
pochi chilometri; in attesa di chiarire i rapporti di forza con gli scomodi
vicini è qui che serve un avamposto militare presidiato dagli uomini migliori.
La necropoli longobarda di Ponte del Rio getta nuova luce sulle vicende
ancora poco note di un periodo cruciale per la formazione dell’identità
regionale. Scavata nel 2003 sotto la direzione scientifica della Soprintendenza
per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna (finanziamento Era 2000), ha
restituito 34 tombe a inumazione, a semplice fossa rettangolare, in pochi casi
dotate di casse in legno, forse a indicare un più elevato status sociale del
defunto. Tutte le sepolture sono orientate est-ovest (con cranio ad ovest), come
di regola nei cimiteri di questo periodo, e paiono distinte in piccoli gruppi,
forse familiari. Uomini e donne sono deposti supini, molti con il proprio abito
quotidiano di cui restano quasi esclusivamente le parti metalliche; nella tomba
sono spesso lasciati doni funebri di diverso tipo.
I guerrieri sono sepolti con le armi individuali che connotavano il rango
dell’uomo libero quando la popolazione longobarda era ancora stanziata nelle
aree pannoniche (Ungheria) prima della migrazione in Italia nel 568-569. Sono
state rinvenute spathe (spade con larga lama a doppio taglio), coltelli, fibbie
da cintura in bronzo, cuspidi di lancia, punte di freccia e la parte centrale e
sporgente in ferro degli scudi (umbone).
Anche le ceramiche, trovate sia nelle deposizioni maschili che in quelle
femminili, fanno riferimento alla tradizione longobarda extra-italica. Si tratta
in genere di bicchieri e bottiglie realizzati al tornio lento e decorati con la
tecnica «a stralucido» e «a stampiglia» con motivi geometrici semplici o
compositi.
Di grande importanza l’analisi degli accessori pertinenti all’abbigliamento
rinvenuti nei corredi funerari: mai, come parlando di questo popolo, possiamo
dire che l’abito fa il Longobardo.
Risale al tradizionale costume femminile tipico della prima fase di
immigrazione, una fibula (spilla) a «S», composta da due figure zoomorfe
stilizzate e contrapposte, che chiudeva probabilmente il mantello indossato
sopra la tunica. Le fibbie appartengono invece a cinture di cuoio, portate da
entrambi i sessi, a cui venivano fissate strisce di cuoio di varia lunghezza cui
erano appesi coltellini, dischi, perle in vetro ed anche perle semipreziose
interpretabili come amuleti. Fibbie di dimensioni più piccole servivano
probabilmente a chiudere borsette in cuoio (anch’esse appese alla cintura) che
contenevano oggetti di uso quotidiano per la toilette personale, per cucire o
accendere il fuoco. Tra i manufatti d’uso quotidiano figurano anche acciarini e
pettini in osso a dentatura semplice e doppia. I pettini -in altri casi deposti
nelle sepolture per il loro valore apotropaico, a protezione del defunto dagli
spiriti maligni- compaiono a Spilamberto solo in sepolture femminili e
potrebbero quindi essere stati inseriti come oggetti personali piuttosto che per
il loro significato magico.
Le numerose collane e braccialetti rinvenuti sono composti da perle multicolori
in pasta vitrea, ambra, ametista e pietre dure, con inserzione di elementi in
oro negli esemplari più ricchi.
Le variazioni della moda avvenute per i contatti con il mondo romano-bizantino
determinarono la sostituzione delle fibule a «S» con una sola fibula a disco. In
una delle tombe femminili più ricche è stato trovato un esemplare eccezionale
costituito da un cammeo romano montato in argento dorato e circondato da perle
di fiume, paste vitree e motivi a filigrana.
In generale, pare che le donne di questa comunità abbiano abbandonato abbastanza
presto i costumi funerari di stampo etnico più antichi, per accogliere in tempi
brevi le usanze locali
Anche se nella necropoli di Spilamberto le tombe davvero ricche sono poche, esse
contengono oggetti personali e complementi di corredo di altissimo livello
qualitativo.
La sepoltura di una fanciulla certamente di alto lignaggio ha restituito i resti
di un velo intessuto di sottili striscioline d’oro. Il broccato aureo è sicuro
indizio di dovizia e status sociale elevato: basti pensare che era la legge a
stabilire chi fosse autorizzato a indossarlo. L’alto rango della defunta è
confermato dalla presenza di una sella plicatilis in ferro (sgabello pieghevole)
decorata ad agemina in ottone, con motivi geometrici e vegetali; un oggetto di
grande lusso e tecnologicamente sofisticato, di cui si conoscono per il periodo
ben pochi esempi in tutta Europa.
Altri raffinati manufatti in vetro (corni potori, bicchieri, coppe e bottiglie)
ed in bronzo fuso di produzione italica e mediterranea (una brocca, una padella,
una lucerna guarnita di catena di sospensione e bossolo bruciaprofumi in
argento) compongono corredi sontuosi e lasciano pensare che tali oggetti fossero
stati prescelti non tanto per il loro valore intrinseco quanto per il
significato simbolico che rivestivano.
Il corno potorio è retaggio di una tradizione assai antica, condivisa anche da
altre popolazioni germaniche, mentre gli oggetti in bronzo delle sepolture
femminili sono manifatture di ambito romano-bizantino che per quanto rare si
ritrovano anche nel territorio modenese (Montale).
Il rinvenimento di questo tipo di bronzi e di un cucchiaio in argento con
iscrizione augurale in latino, anch’esso di tradizione romana, costituisce un
dato socio-economico e “politico” di grande interesse perché attesta il
sussistere di rapporti commerciali (e con ogni probabilità anche personali)
permanenti con le aree bizantine, nonostante la continua pressione espansiva dei
Longobardi nei confronti della Romania che durerà in sostanza fino alla fine del
regno.
Di particolare interesse infine le tre deposizioni di equini, due delle quali
sicuramente acefale e associate a sepolture femminili. Questa pratica rituale,
testimoniata da una casistica abbastanza ampia riscontrata in Italia, Germania e
in Austria, si differenzia da quella nomadica di origine euro-asiatica,
caratterizzata invece dalla inumazione nella medesima tomba di cavallo e
cavaliere. Essa nacque nell’Europa occidentale tra III e V secolo e si diffuse
successivamente nei territori estesi ad est del Reno fra le popolazioni
germaniche che comprendevano Franchi orientali, Alemanni, Longobardi e Turingi.
La mostra è promossa da Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna (Dott. Luigi Malnati) e Comune di Spilamberto (Sindaco Francesco Lamandini e Assessore alla Cultura Daniela Barozzi), in collaborazione con Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia e Gruppo Naturalisti di Spilamberto, con il patrocinio di Presidenza della Repubblica, Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Regione Emilia-Romagna e Provincia di Modena. Contributo della Fondazione di Vignola. Main sponsor Era 2000; sponsor Gruppo Cremonini, Banca Popolare dell’Emilia-Romagna, Cassa di Risparmio di Vignola e Banco Popolare di Verona-Banca S. Geminiano e S. Prospero.
Catalogo in italiano e inglese
Mostra
Il Tesoro di Spilamberto. Signori Longobardi alla frontiera
dall’11 dicembre 2010 al 25 aprile 2011
Spilamberto (MO), Spazio Eventi “Liliano
Famigli”
Viale Rimembranze, 19
Orari di apertura
venerdì 18.30-22 (con visite guidate alle ore 20 e 21)
prefestivi e festivi 10-12.30 e 15-18.30 (con visite guidate alle ore 10.30,
11.30, 16.30 e 17.30)
(chiusa 24 e 31 dicembre, 1 gennaio)
Per prenotazione visite guidate in altri giorni ed orari telefonare allo 059.789929
Visite guidate a pagamento in giorni e orari diversi da quelli di apertura (gruppi min. 10, max. 30 persone): per info AR/S Archeosistemi
Informazioni
Comune di Spilamberto
Ufficio Cultura - Tel. 059.789.964
Ufficio Eventi - Tel. 059.789.929
info@comune.spilamberto.mo.it
www.comune.spilamberto.mo.it
IAT-Unione Terre di Castelli
Tel. 059.781.270
info@turismoterredicastelli.it
AR/S Archeosistemi
Tel. 0522.532.094 - Fax 0522.533.315
info@archeosistemi.it
web-site
www.comune.spilamberto.mo.it
www.archeobologna.beniculturali.it
Curatori della mostra: Andrea Breda e Paolo De Vingo
Progetto espositivo: Fausto Ferri
Ideazione Grafica: Enzo Pancaldi
Staff organizzativo: Antonella Tonielli, Donato Labate, Paola Corni e Alessandra
Anderlini
Ufficio Stampa: Ombretta Guerri e Carla Conti
Restauro reperti: Laboratorio SBAER (Antonella Pomicetti, Mauro Ricci, Anna
Musile Tanzi, Monica Zanardi, Micol Siboni, Virna Scarnecchia, Morena Del
Gaudio, Roberto Monaco, Gianfranco Paruccini, Giuliano Mengoni)
Foto: Roberto Macrì, Paolo Terzi, Massimo Trenti