Comune di Sassuolo, Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna, Fondazione Cassa di Risparmio di Modena
Marzabotto (BO).
Tra vulcani di fango e rituali di guarigione. A Sassuolo una mostra allestita nell'ambito del festivalfilosofia®ereditare illustra gli scavi archeologici che a Montegibbio, nel Modenese, hanno portato in luce un santuario dedicato a Minerva frequentato dal II sec. a.C. al II secolo d.C.
Minerva Medica. Un santuario romano a Montegibbio
dal 18 settembre al 18 ottobre 2015
(per gli orari di apertura clicca qui)
Galleria Paggeriarte
Piazzale della Rosa
Sassuolo (MO)
Inaugurazione venerdì 18 settembre, ore 19.30 nell’ambito del festivalfilosofia®ereditare (ModenaCarpiSassuolo 18_19_20 settembre 2015)
Una distesa di coni, crateri e vulcani in miniatura, un placido ribollire di
fango che, colando, si solidifica in un grande manto grinzoso, immagine
allarmante di un fenomeno nel complesso innocuo.
È lecito supporre che la vista delle Salse abbia suscitato timore da tempo
immemorabile. Ma l’effetto benefico di argilla, fanghi, bitume, acqua salmastra
e gas deve aver presto prevalso sulla visione apocalittica, legando questo
evento naturale ai culti religiosi connessi alle acque salutari e al mondo
sotterraneo, primo fra tutti quello incentrato sulla dea Minerva.
Gli scavi archeologici condotti a partire dal 2006 a Montegibbio, sulle prime
colline di Sassuolo, nel Modenese, hanno portato in luce un santuario dedicato a
Minerva in prossimità dell’omonima salsa, il maggiore vulcano di fango d’Italia,
quiescente da quasi due secoli.
La mostra “Minerva Medica”, curata da Francesca Guandalini e Donato Labate e
allestita alla Galleria Paggeriarte di Sassuolo, illustra questi scavi,
descrivendo il culto della dea attraverso i reperti recuperati e proponendo la
ricostruzione tridimensionale del santuario definitivamente abbandonato dopo due
eventi catastrofici.
In area padana, i Romani concentrano in Minerva le divinità femminili di origine
celtica legate alle acque e ai culti di sanatio: oltre a invocarla come
dea Sanctissima et Augusta, i devoti la ricordano come Minerva Memor e
Medica.
Memor perché memore delle preghiere dei fedeli, Medica perché li
cura con i benefici influssi delle acque, dei fanghi e delle polle di petrolio
che le sono consacrati.
A Montegibbio il nome della dea appare inciso sul vasellame deposto dai fedeli,
in un caso integralmente come dedica ([Eg]o Miner(vae) sum, “io sono
dedicata a Minerva”), più spesso solo con la M iniziale o la doppia MM di
Minerva Medica o Memor. Gli oggetti rinvenuti negli scavi, spesso modesti e
di uso comune, testimoniano una frequentazione del sito già nell’età del Rame e
in epoca celtica. Il sito si struttura poi come santuario in epoca romana a
partire dal II sec. a.C., restando in uso fino agli inizi del II sec. d.C.
Risalgono a questo periodo bicchieri, coppe, brocche e bacili utilizzati per
banchetti o abluzioni rituali, numerose monete, lucerne, stili e aghi in osso e
bronzo, pesi da telaio e altri oggetti che rimandano a una delle caratteristiche
divine di Minerva, quella di protettrice delle arti, tra cui la tessitura e la
cucitura di pelli e tessuti.
La presenza dei paleo-vulcani di fango noti come “salse” dà vita in età antica
al culto incentrato sulla dea Minerva connesso non solo alle proprietà curative
di acque, fanghi e bitume ma anche ad una sorta di pratica oracolare in cui
l’attività eruttiva viene vista come un contatto tra il mondo degli umani e
quello sotterraneo.
L’eccezionalità del sito di Montegibbio risiede peraltro non solo nel carattere
cultuale dell’insediamento ma nella possibilità di leggere una serie di fenomeni
catastrofici legati al vulcanesimo di fango.
Il primo santuario costruito dai Romani sulla “salsa di Minerva” in età
repubblicana (II sec. a.C.) è infatti distrutto dopo pochi decenni da una
catastrofe naturale, forse un terremoto.
Alla metà del I sec. a. C. il tempio viene non solo ripristinato ma ampliato e
strutturato in più ambienti. Lo spazio sacro è organizzato in una serie di
stanze con pavimenti a cocciopesto con tessere musive (opus signinum) disposte
intorno a un cortile interno. La “salsa di Minerva”, prima delimitata da un
recinto, viene ora raggiunta tramite una scala, posta a valle del santuario.
I continui dissesti geologi accaduti a Montegibbio non consentono di ricostruire
l’intera pianta del santuario: sappiamo però che le pareti erano rivestite da
affreschi policromi di pregio realizzati con tecniche sofisticate da maestranze
di grande abilità e che al santuario era associata una fornace usata sia per la
cottura dei laterizi da costruzione che per produrre vasellame e statuette
fittili deposti dai fedeli come offerta votiva.
Agli inizi del II sec. d.C. una seconda catastrofe naturale distrugge le
strutture sacre di Montegibbio e, dopo un periodo di abbandono del sito, nel III
sec. d.C. viene costruita una casa colonica dotata di un pozzo che attinge acqua
nello stesso punto in cui prima si venerava la “salsa di Minerva”. Anche questo
rustico viene distrutto da un altro evento catastrofico nel corso del VI sec.
d.C.
La mostra è promossa, nell'ambito del festivalfilosofia®ereditare, da Comune di Sassuolo, Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna e Fondazione Cassa di Risparmio di Modena in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali e Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università degli Studi di Bologna e Laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università di Modena e Reggio Emilia
orari di apertura:
18 e 19 settembre 10-23
20 settembre 10-21
domenica 27 settembre, 4 ottobre, 11 ottobre e 18 ottobre 10-13 e 15-19
Dal 21 settembre al 17 ottobre, dal lunedì al sabato, solo su prenotazione
telefonando all’Ufficio Relazioni con il Pubblico del Comune di Sassuolo: tel.
0536 1844801
urp@comune.sassuolo.mo.it