Nel rispetto dei tempi previsti, il 21 dicembre 2007 si sono concluse le indagini archeologiche nell'area interessata dalla nuova linea ferroviaria e nuova Stazione dell'Alta Velocità di Bologna. I lavori, intrapresi dal 2004 sotto la direzione scientifica di Caterina Cornelio, archeologa della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, hanno rivelato la presenza di alcuni siti di chiaro interesse archeologico.
Bologna, nuova stazione TAV: veduta generale dell'area di necropoli
con la strada glareata al centro
Le indagini, che non hanno in alcun modo interferito
con la realizzazione delle opere civili, procedono tuttora secondo i tempi
programmati, grazie a una fattiva collaborazione tra archeologi e TAV, nel
rispetto delle reciproche esigenze.
Gli scavi hanno consentito di evidenziare la trasformazione di questo
comparto a nord di Bologna dalla preistoria all’età moderna. In
particolare sono state riconosciute le tracce di numerosi interventi che
attestano la vitalità di quest’area in epoca romana.
Tra i rinvenimenti più significativi si segnalano le infrastrutture
(canalizzazioni e strade), gli impianti produttivi (fornaci sia per la
produzione di laterizi che di calce) e gli interventi di bonifica agraria.
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In questa zona, ubicata nel suburbio settentrionale della Bononia romana, è stata infine individuata una vasta area funeraria con tombe a rito misto (cremazioni e inumazioni), dotate di preziosi corredi. Tra i reperti più significativi citiamo una gemma in agata zonata con incisione di cavallo e una gemma in onice con incisa una testa d’aquila. Molto interessanti, anche ai fini della datazione della necropoli, alcune monete in bronzo, talvolta forate in un secondo tempo per riutilizzarle come pendenti.
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Sono poi stati rinvenuti alcuni balsamari
(porta profumi) in vetro, una conocchia (strumento in osso per la filatura)
in osso, bottiglie ed ollette monoansate in terracotta e numerose lucerne con i
diversi
marchi di fabbrica chiaramente leggibili: “FORTIS”, “CDESSI” o “ATIMET".
Una parte del materiale recuperato è in corso di restauro presso il
laboratorio della Soprintendenza.
Un pannello didattico sarà esposto all'interno della Nuova Stazione per
ricordare ai passeggeri questi ritrovamenti.
Sepolture anomale nell'area di necropoli della Stazione centrale di Bologna
La rivista curata dal Museo Civico
Archeologico di Castelfranco Emilia "Pagani e Cristiani. Forme ed
attestazioni di religiosità del mondo antico in Emilia" ha pubblicato, nei
volumi VII (2008) e VIII (2009), alcuni articoli sulle sepolture "anomale"
rinvenute negli scavi archeologici alla Stazione di Bologna
Nel riportare una sintesi degli interventi, vi rimandiamo ai relativi
articoli degli archeologi Caterina Cornelio, Cinzia Cavallari, Luca Cesari e
Pierangelo Pancaldi e degli esperti del Laboratorio di di Bioarcheologia e
Osteologia Forense dell’Università di Bologna, Maria Giovanna Belcastro,
Valentina Mariotti e Marco Milella
Gli scavi hanno individuato diversi nuclei
sepolcrali che configurano la zona come una vasta area funeraria di 222
tombe di cui 39 a rito inumatorio. Le sepolture si riferiscono ad una
necropoli di età romano-imperiale databile tra il I e il III sec. d. C.; il
complesso è di grande interesse perché alcune inumazioni presentano
particolari (oggetti con probabile funzione simbolica -chiodi e balsamari- e
tracce sulle ossa riferibili a interventi sul cadavere) che suggeriscono la
presenza di particolari rituali funerari.
L’attestazione in quest’area cimiteriale di particolari pratiche di
sepoltura, scarsamente documentate per l’epoca in esame nel resto del
territorio italiano, ha portato alla costituzione di un gruppo di ricerca
multidisciplinare costituito da archeologi della Soprintendenza per i beni
Archeologici dell’Emilia-Romagna e studiosi del Laboratorio di
Bioarcheologia e Osteologia Forense dell’Università di Bologna (Marco
Milella, Valentina Mariotti e Maria Giovanna Belcastro).
Tomba 109 (area D). Femminile, giovane o
maturo (tra i 20 e i 50 anni), cranio ripiegato in posizione innaturale,
viso rivolto verso l’alto e nuca che quasi tocca l’omero destro. Trovati 13
grossi chiodi in ferro, di cui uno quasi completamente conficcato nel
cranio. Tutte le lesioni sono riconducibili ad interventi praticati un certo
tempo dopo la morte, a scheletrizzazione relativamente avanzata. La
possibilità di una riapertura della tomba dopo un certo periodo
dall’inumazione pare progettata o comunque intenzionale anche per la
presenza di un probabile segnacolo che avrebbe permesso di identificare con
certezza il luogo della sepoltura. Quanto alla presenza dei 13 chiodi,
apparentemente privi di un valore funzionale, il fatto che, a parte quello
infisso nel cranio, tutti gli altri siano stati rinvenuti vicino alla testa,
lungo la parte inferiore delle gambe e nei pressi dei piedi, suggerisce una
relazione di tipo simbolico tra queste aree e i chiodi, attribuendo a questa
sepoltura una connotazione rituale molto particolare.
Nel I-II secolo d.C. la pratica di posizionare dei chiodi all’interno della
tomba a fini propiziatori (come amuleto a beneficio del defunto) era
diffusa. Per gli Etruschi, i Celti, i Romani e fino al Medioevo i chiodi
erano portatori di un significato magico-religioso, il che ne spiega il
frequente rinvenimento nei corredi delle tombe. A questa valenza magica
potrebbe collegarsi l’infissione di chiodi nel cranio, attestata a partire
dall’epoca romana fino al 1800 in vari paesi europei. L’antropologo Renato
Grilletto, a proposito dei crani chiodati di XI-XV secolo dell’abbazia della
Novalesa (Torino), fornisce una spiegazione rituale necrofobica, motivata
dall’intento di “far uscire il genio malefico o distruggere lo spirito del
morto affinché non desse fastidio ai vivi”. Nella Tomba 109 di Bologna, il
particolare posizionamento di cranio e piedi, in associazione alla presenza
dei chiodi, potrebbe essere spiegato come un tentativo di inabilitare il
defunto per impedirne il ritorno.
Bologna, scavi nuova Stazione TAV. Particolare della tomba 109: si può
notare un grosso chiodo conficcato alla sommità del cranio ed altri deposti
all’interno della sepoltura
Tomba 161 (area A-D). Maschio adulto giovane (25-35 anni), altezza stimata tra i 168 e i 174 cm, ossatura robusta, deposto in posizione prona, forse avvolto da un sudario o legato. Nel bacino (ileo destro) è stato rilevato un foro circolare e recuperato un chiodo in ferro collocato tra le ossa del bacino e la cassa toracica. Vicino al cranio, disposti a piccoli grappoli, sono stati rinvenuti 45 ribattini in ferro, probabilmente pertinenti a calzature. Una frattura (saldata ma non allineata) all’ulna sinistra, compatibile con la posizione della cosiddetta “frattura da parata”, quella causata dal colpo ricevuto all’avambraccio nel tentativo di ripararsi da un’aggressione diretta alla testa, potrebbe indicare un episodio di violenza interpersonale. Secondo gli esperti di Bioarcheologia e Osteologia Forense dell’Università di Bologna, lo studio delle ossa rivelerebbe che il soggetto della tomba 161 era un giovane individuo, quotidianamente sottoposto ad attività fisica gravosa, forse associata al trasporto di carichi pesanti. La frattura all’ulna, probabilmente causata da un atto di violenza ma non adeguatamente curata, rende plausibile ipotizzare una scarsa attenzione nei confronti di questo individuo, dotato peraltro di altrettanto scarsi mezzi. La posizione prona, in generale rara ma rarissima nelle necropoli di età imperiale, è un ulteriore elemento di curiosità. Non è chiaro il significato delle sepolture prone nel mondo romano, anche se sono state ricondotte al tentativo di stornare un possibile ritorno del defunto. In quest’ottica, anche il rinvenimento dei chiodini da calzatura vicino al cranio (le calzature sono state posizionate lontano dai piedi) conforta l’ipotesi di un impedimento al defunto di tornare tra i vivi, così come la possibile legature dei piedi.
Bologna, scavi nuova Stazione TAV. La tomba 161 in
cui l’inumato è stato deposto in posizione prona (pancia in giù)
Tomba 244 (area B). Inumazione femminile,
giovane, probabilmente intorno ai 20 anni, altezza stimata 160 cm, ossatura
fragile, sepolta in posizione prona. Dello scheletro si conserva solo la
porzione inferiore (dal bacino ai piedi) che presenta un balsamario in vetro
inserito in un foro circolare praticato nell’ileo del bacino; quasi
completamente asportata la parte superiore.
È stata ipotizzata una violazione della tomba e un’asportazione intenzionale
della parte superiore del corpo in antico, a scheletrizzazione avvenuta
almeno in gran parte. Anche la lacerazione dell’ileo contenente il
balsamario potrebbe essere il risultato di un intervento postumo sulla
sepoltura, forse in occasione del “taglio”. L’apertura della lesione sulla
cresta iliaca parrebbe essere stata praticata per permettere il passaggio
del collo del balsamario in vetro, visto la compatibilità tra le dimensioni
della sua bocca e della lesione. Altri due balsamari rinvenuti nella stessa
sepoltura implicano una domanda: questi oggetti avevano una qualche funzione
pratica (conservazione di quanto restava del corpo, copertura dei cattivi
odori causati dai resti non completamente scheletrizzati) oppure avevano un
significato rituale?
La tomba 76 (area A, in posizione isolata).
Datata entro il II sec. d.C., presenta un inumato in posizione supina, con
cranio rivolto ad Ovest-Nord-Ovest. Il pessimo stato di conservazione dello
scheletro ha impedito l’attribuzione del sesso del soggetto e mentre l’età
al momento della morte, seppur difficoltosa, è stata stimata (sulla base del
grado di usura dei pochi denti mascellari visibili) tra i 25 e i 35 anni
(adulto giovane). Gli arti superiori sono incrociati sul petto e il polso
destro è fissato allo sterno con un chiodo. Altri tre chiodi, di cui due
frammentari, sono conficcati nel cranio all’altezza dell’orecchio destro,
della cavità orbitale e della cervice; altri ancora sono stati recuperati
vicino alla clavicola destra, allo sterno e lungo il taglio della fossa.
All’altezza della spalla destra è stato individuato un anello in ferro
fissato al terreno da due chiodi.
Tutti questi chiodi in ferro non sono riferibili a strutture lignee
contenitive o di supporto al cadavere (bara o altro) ma sembrano
apparentemente infissi nel corpo dell’inumato.
Le analisi forensi, in virtù della posizione dei chiodi e dell’assenza di
reazioni infiammatorie a carico del tessuto osseo, tendono ad escludere che
l’individuo abbia subito forme di tortura intra vitam a cui sarebbe
per qualche tempo sopravvissuto. È invece ammissibile l’ipotesi che i tre
chiodi conficcati nel cranio siano stati applicati successivamente agli
altri, forse come colpo di grazia al termine di qualche forma di supplizio
peri mortem che non avrebbe lasciato traccia sui pochi frammenti
ossei pervenuti. È comunque possibile che le caratteristiche osservate si
riferiscano ad un intervento praticato sul cadavere non ancora scheletrizzato, probabilmente nell’ambito di comportamenti rituali tesi ad
immunizzare i vivi dalla nefasta influenza del morto o a confinare nella
sepoltura le cause che avevano condotto al suo decesso. La posizione isolata
di questa tomba rispetto alle altre presenti nella stessa area cimiteriale
potrebbe essere connessa a questo tipo di credenze e comportamenti.
Posizionare una tomba in una zona appartata può essere un modo per
sottolineare la particolarità di alcuni defunti.
Il fatto che nella vasta area funeraria rinvenuta nella Stazione Centrale di
Bologna siano presenti diversi casi di inusuale trattamento del defunto e
almeno due inumazioni caratterizzate dalla presenza di chiodi conficcati in
reperti scheletrici suggerisce che quanto osservato per la sepoltura 76
possa rientrare in un preciso insieme di comportamenti rituali ancora poco
noti perché finora scarsamente indagati in modo sistematico ma che con ogni
probabilità facevano parte dei costumi funerari in territorio emiliano
durante l’età romano-imperiale.