Riprenderanno tra pochi giorni (per leggere il "giornale di scavo" clicca qui) le indagini archeologiche nell'ex Cinema Teatro Modernissimo di Imola che, già avviate nel 2003 in seguito al progetto di ristrutturazione dello storico edificio, hanno individuato un complesso culturale di età romana, già parzialmente segnalato nel 1925. Si tratta di un complesso dedicato alle divinità della Bona Dea e dei Fauni che, edificato nella tarda età repubblicana (fine del I secolo a.C.), ha continuato ad essere utilizzato, con continue ristrutturazioni, fino al III secolo d.C.
Gli spazi del complesso si presentano ben differenziati sia dal punto di vista architettonico che funzionale: i settori I e II definiscono le zone e gli edifici propriamente dedicati al culto, il III settore è caratterizzato da strutture di minore importanza (forse ambienti di servizio affacciati direttamente su un asse stradale) mentre il settore IV è ancora di difficile definizione.
Saliamo adesso sulla macchina del tempo e immaginiamo di essere un
visitatore di 2000 anni fa.
Ipotizzando che l'accesso all'area sacra fosse da nord (anche se non
abbiamo certezze assolute al riguardo), il primo ambiente che avremmo
incontrato, una volta superati gli edifici del settore III, sarebbe
stato un recinto semiaperto (vano A) dotato di tettoia almeno su tre
lati. Al centro, fulcro evidente di questo vano, stava un'ara lapidea di reimpiego -precedentemente dedicata ai Fauni- cui si accedeva
solcando una pavimentazione in cotto.
Alla sinistra di questo recinto si apriva un passaggio coperto che dava
a sua volta accesso ad un lungo ambulacro (vano G) dotato di ulteriori
elementi di carattere culturale quale, ad esempio, una grande ara
addossata ad una parete. Si accedeva così alla parte più interna
dell'area sacra, dedicata probabilmente alla Bona Dea. Dopo aver
superato un vestibolo ci saremmo trovati in uno spazio semiaperto (vano
D) occupato da una piccola platea con pavimentazione in cotto al cui
centro un preciso incasso indica la posizione di un altro altare. Tutto
questo settore aveva una specifica destinazione culturale e sacrificale
come attestano i reperti epigrafici e numerosi depositi di carboni e
terreno arrossato dal calore che occupavano gran parte dell'area e
alcuni ambienti vicini.
Infine, oltre un doppio colonnato, si aprivano verso ovest ambienti
coperti più protetti e nascosti (vano D1) che avevano come fulcro un
vano con pavimentazione in conglomerato: nonostante quest'area sia stata
scavata negli anni Venti in modo non sistematico, ci restano ugualmente
numerosi reperti di carattere decisamente culturale quali l'ara della
Bona Dea, un frammento di statua femminile e le statuette bronzee
dedicate ai Nixi. E tale carattere va senz'altro attribuito anche
al vicino ambiente B contraddistinto da un pregevole pavimento in
opus spicatum e da un profondo e largo pozzo.
Disegno ricostruttivo del complesso sacro
visto da nord (ipotesi di Paola Desantis e Claudio Negrelli)
I rinvenimenti del 2003 hanno confermato quel carattere sacro dell'area
già annunciato dalle scoperte degli anni Venti quando, accanto a
cospicue strutture romane, vennero alla luce due eccezionali monumenti
votivi, un'ara dedicata alla Bona Dea e un cippo dedicato ai
Fauni. Se allora nemmeno si ipotizzò un rapporto tra queste
testimonianze votive e le strutture murarie rinvenute, gli scavi del
2003 hanno consentito un'interpretazione che ricompone i tasselli di un
quadro complesso.
Tutto ruota attorno all'altare cilindrico, con cavità per le offerte, che
Fabia Marcellina dedica nel II secolo d.C. ad una divinità indicata come
b D, vale a dire Bona Dea.
Altare dedicato alla Bona Dea
(Imola, Musei Civici)
Era questo il nome con cui i Romani indicavano la dea della fecondità e
della salute, invocata perchè facesse fruttificare la terra e concedesse
alle donne il dono di procreare. Ritenuta a volte figlia a volte
moglie del dio Faunus, pronunciare il vero nome di questa
divinità (Fenteia, Fatua o Fauna) era per tutti un
tabù. Indigena del Lazio, il suo culto -esclusivamente muliebre-
culminava agli inizi di dicembre in una festa pubblica a carattere
misterico durante la quale le venivano offerti una scrofa e del vino
(nominato però con il nome di latte).
Se del tempio romano della dea,
sull'Aventino, restano solo testimonianze letterarie, cospicui sono
invece i resti strutturali dei templi della Bona Dea a Trieste,
Aquileia ma soprattutto ad Ostia, resti che attestano caratteristiche
planimetriche costanti: un potente muro di cinta che racchiude l'area,
ambienti interni destinati allo svolgimento dei riti segreti e non
direttamente accessibili dall'esterno, presenza di podi quadrangolari
variamente pavimentati.
Tale modello planimetrico è sostanzialmente coerente con il complesso di
Imola che oltretutto sorge, come negli altri casi già noti, in un luogo
periferico della città. Confrontando i dati degli anni Venti con le
ultime scoperte, il monumento votivo alla Bona Dea risulta
significativamente collocato nel settore meridionale del complesso, il
più recondito e lontano dall'entrata: ed è probabilmente qui, nella
parte più ritirata del tempio, con ingresso colonnato, che si svolgevano
i più segreti riti per propiziare il favore della dea.
Nel santuario di Forum Corneli (nome romano di Imola) il culto della
Bona Dea era associato a quello del padre/marito Faunus,
antica divinità agreste latina cui si attribuiva il potere di fecondare
le greggi e difenderle dai lupi. Al cippo con la dedica ai
Sanctissimis Faunibus, trovato negli anni Venti in un punto non
precisato dell'area, si è aggiunto ora l'altare in pietra calcarea con
la dedica ai Fauni, reimpiegato capovolto nel settore immediatamente
prospiciente l'ingresso. Veniva forse da qui anche l'altro monumento ai
Fauni? Se così fosse potremmo ipotizzare che il culto dei Fauni,
ubicato in prossimità dell'ingresso, rappresentasse la prima tappa del
percorso devozionale che introduceva il devoto nel luogo sacro e quindi
nella sfera iniziatica della divinità femminile.
Le testimonianze religiose rinvenute nell'area dell'ex cinema
Modernissimo dipingono l'immagine di un pantheon locale atteggiato al
clima dell'Urbe, segno di una comunità che riflette nell'aderenza ai
moduli di Roma la sua forte coscienza di appartenenza ad un ceppo latino
trapiantato al nord. L'adesione ai moduli del culto della Bona
Dea o dei Fauni dà la misura di quanto potesse accomunare gli
abitanti di Forum Corneli con quelli di Roma, Ostia o di altre
zone di intensa romanizzazione come Aquileia.
La vivezza di questa sensazione di "spiare" Roma da un'ottica diversa, e
per taluni aspetti capovolta, si concretizza nell'assoluta eccezionalità
di un altro ritrovamento, quello delle statuette dei Dii Nixi,
venuto alla luce nel settore caratterizzato dal cippo della Bona Dea.
L'iscrizione dedicatoria alla base dell'immagine votiva, che precisa il
nome della divinità rappresentata, consente di rivisitare fonti antiche
e fare luce su alcuni aspetti non secondari della religiosità romana.
I tre personaggi maschili (di cui uno disperso), inginocchiati su basette modanate, rappresentano le divinità cui l'imolese Lucania Fadilla rivolge il suo ringraziamento "per grazia ricevuta", come diremmo oggi. Finora mancavano rappresentazioni certe di queste divinità, note solo in virtù di testimonianze letterarie peraltro poco precise. Da Festo apprendiamo che erano così definite tre statue situate in Campidoglio davanti alla cella di Minerva nel tempio di Giove Capitolino. Le tre sculture, rappresentate inginocchiate nell'atteggiamento del parto, erano state offerte come preda di guerra da Marco Acilio Glabrione dopo la sua vittoria su Antioco III di Siria nel 190 a.C.; secondo un'altra ipotesi, sempre di Festo, sarebbero invece giunte a Roma da Corinto come bottino di guerra dopo la presa della città nel 146 a.C. L'aspetto di divinità protettrici del parto è ripreso anche da Ovidio (Metamorfosi IX, 294) che le mette in relazione con la dea Juno Licinia, assimilabile con la greca Eileithya.
Ricostruzione del Campidoglio e del Foro
Romano prima di Giulio Cesare. In alto a sinistra, svetta la mole del
Tempio Capitolino dove, davanti alla cella di Minerva, erano situate le
tre statue dei Nixi
Il gruppo con gli dei dei Nixi rinvenuto nel tempio della Bona
Dea di Forum Corneli fornisce una risposta al lungo dibattito
se si trattasse di divinità maschili o femminili. L'aspetto arcaizzante
delle figurine maschili nude, sedute sui talloni e caratterizzate da una
lunga acconciatura raccolta nei tipici moduli medio orientali, rende
ragione della notizia di Festo che riconduce il culto alla Siria e ne
data l'introduzione a Roma nel II secolo a.C.
Con esse penetra a Roma l'iconografia del parto inginocchiato di matrice
prettamente orientale e ben presente anche nel mondo greco più antico (cfr.
Inni Omerici V, 115 ss.).
I nostri Nixi ci hanno permesso di recuperare un codice
interpretativo che a lungo è parso perduto. Nella realizzazione di
queste statuette in bronzo, pertinenti quasi certamente alla fase di II
secolo del santuario, si riflette l'immagine lontana delle statue di ben
maggiori dimensioni e splendore che facevano mostra di sé nel luogo
della memoria più rappresentativo di Roma.
E tra i molti interrogativi
suscitati da questa scoperta, ce n'è uno particolarmente affascinante:
se quasi quattro secoli separano l'archetipo del Campidoglio dalla
realizzazione del gruppo bronzeo di Imola, la trasmissione del modello
può essere stata diretta? In altre parole, mentre nel II secolo d.C. le
donne di Imola pregavano ancora le divinità maschili dei Nixi di
assisterle nel parto, le statue preda di guerra facevano ancora bella
mostra di sé davanti al tempio di Giove Capitolino a Roma?