Il paesaggio centuriato in Emilia-Romagna
di Renata Curina

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Pubblichiamo l'intervento dell'archeologa Renata Curina nell'ambito della X Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, Paestum 15 -18 Novembre 2007, in <IL PAESAGGIO “ARCHEOLOGICO”. Resti e contesti: prospettive di condivisione su tutela e valorizzazione> Edizioni MP MIRABILIA srl, a cura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Generale per l’Innovazione Tecnologica e la Promozione

Il patrimonio archeologico territoriale costituisce in Italia un elemento ed una presenza che caratterizzano in modo determinante il paesaggio; il paesaggio che può essere considerato come ambiente naturale ma modificato dall’attività produttiva e costruttiva dell’uomo, risultanza fisica e geografica quindi di questo cambiamento e un “bene” in continua trasformazione. In Italia la densità degli avvenimenti storici umani che hanno lasciato traccia sul terreno è molto rilevante proprio per la quantità di vicende che si sono succedute, ma la loro incidenza sul territorio è ancor più consistente rispetto ad altri paesi proprio per la sua struttura fisica; da ciò deriva una maggiore correlazione fra fatti storici umani e fatti naturalistici e geografici.
Se si valuta questo aspetto del paesaggio, la disciplina archeologica -in uno degli aspetti che essa riveste- può essere considerata come un ottimo strumento di interpretazione dell’ambiente, volto a documentare i fenomeni di continuità o di trasformazione, tracce lasciate dalle comunità umane nel corso delle varie epoche storiche, fino a determinare la forma attuale. L’archeologia possiede infatti alcuni strumenti diagnostici che permettono di verificare e riconoscere l’uso che l’uomo ha fatto del paesaggio attraverso le attività estrattive, agricole intensive che possono aver creato fenomeni di dissesto idrogeologico, attività di disboscamento, di bonifica delle zone paludose, tutte pratiche che hanno lasciato un segno sul territorio.
La stretta interdipendenza tra uomo e ambiente è particolarmente importante ed evidente soprattutto per il periodo romano in cui, pur essendoci una considerevole capacità di trasformare il territorio, tale capacità mantiene una situazione di parità tra la componente umana e quella fisiomorfologica; le modifiche e le profonde trasformazioni attuate nel paesaggio in questo periodo storico hanno sempre infatti tenuto conto della geografia fisica del territorio in cui si veniva ad intervenire, legando strettamente l’intervento umano alle caratteristiche morfologiche del terreno.
L’esempio più evidente delle trasformazioni che in età romana hanno interessato il territorio è senza dubbio fornito dal sistema della centuriazione; la sua realizzazione ha trasformato in maniera radicale il paesaggio con l’abbattimento del bosco, il prosciugamento e la bonifica di ampie zone paludose attraverso un sistema capillare di scolo delle acque adattato alla morfologia del terreno, la regimentazione dei corsi d’acqua; il regolare disegno della centuriazione, scandito dalla presenza di un reticolo di strade poderali o di lunga percorrenza che definiscono gli spazi agricoli, è arricchito dalla presenza di impianti produttivi, edifici rurali isolati di varia volumetria e piccoli agglomerati che si distribuiscono in maniera organica sul territorio. Al paesaggio prettamente agricolo e così bonificato, dove le zone incolte si riducono sempre più alle fasce golenali o alle aree topograficamente più depresse, si salda, in uno stretto e imprescindibile binomio, lo spazio urbano e la fondazione delle città può essere considerata uno degli aspetti più importanti e significativi della romanizzazione.
La pianura emiliana conserva ancora ben visibili ampi tratti del sistema centuriato, che si sviluppa tra la metà del III ed il I secolo a.C. e il cui scopo principale era quello di assicurare lo scorrimento delle acque di superficie attraverso una serie di canali di scolo e di drenaggio necessari alla bonifica e all’irrigazione del territorio. Proprio per la natura stessa del sistema così strettamente legato alla morfologia del territorio, i reticoli centuriali conservati in Emilia-Romagna -e che interessano ampi areali- sono quasi tutti orientati secundum naturam, ad eccezione di quello riminese-cesenate che segue l’orientamento celeste. Accanto alla scelta dell’orientamento, però, anche la geografia sembra aver in parte condizionato l’impianto della centuriazione; limitati settori territoriali, quali ad esempio i pianori separati da profonde incisioni distribuiti nei territorio di Fidenza e Fiorenzuola, alcune fasce di territorio costiero o fasce distribuite lungo l’asta fluviale del Po, sembrano infatti presentare moduli propri ed un proprio orientamento.

plastico centuriazione (realizzazione Maurizio Molinari)
Plastico del territorio centuriato: lo schema della centuriazione (Plastico di Maurizio Molinari, Foto Claudio Negrelli)

Nel complesso si può ritenere che nella regione emiliano-romagnola, come peraltro in buona parte della pianura padana, sia ancora ben visibile il disegno centuriale, testimonianza dello stretto rapporto tra l’uomo e l’ambiente e dello sfruttamento razionale di un territorio, ancora oggi attuale. Nello stesso tempo la conoscenza di questo rapporto uomo/ambiente spinge ad approfondire la conoscenza del territorio anche da un punto di vista storico, e quindi riconoscere il paesaggio come opera dell’uomo e della natura, come un palinsesto ricco di tracce. Proprio tale conoscenza può diventare inoltre uno strumento fattivo di pianificazione urbanistica e del paesaggio, strumento che ha avuto e riveste sempre di più un importante ruolo per la tutela; proprio dalla possibilità di leggere il rapporto che i manufatti archeologici hanno avuto con il paesaggio, infatti, può essere possibile valutare tali presenze all’interno di relazioni di sistema e creare un’occasione di uso e di valorizzazione di vaste parti di territorio, formando percorsi articolati e complessi. Attraverso una pianificazione territoriale, per la quale si dovrebbe auspicare il coinvolgimento degli Enti rappresentativi del Territorio e in cui la scienza archeologica può essere proposta come strumento diagnostico di conoscenza sempre più approfondita, sarebbe possibile una tutela dei resti archeologici emergenti, di quelli accertati ma non emergenti o di quelli non accertati ma potenziali, più mirata e più completa.