Il Museo Archeologico Nazionale di Sarsina accoglie le testimonianze relative all’antica città romana di Sassina ed è distribuito su due piani che corrispondono sostanzialmente ad altrettante sezioni. Il piano terreno ha, fin dal 1890, ospitato i resti monumentali degli edifici urbani e della necropoli, illustrando nel contempo i vari aspetti della vita pubblica, a cominciare dalle epigrafi funerarie che per prime segnalarono agli studiosi la presenza della città romana. Il primo piano ospita la sezione del Museo dedicata ai vari aspetti della vita privata e ai rinvenimenti effettuati in due domus residenziali urbane (Via Finamore, ex via Roma) nonché, dal 2009, il riallestimento dell’ultima e più ampia sala, dedicata alla vita quotidiana, dove gli aspetti della tavola e della preparazione dei cibi sono stati resi più evidenti dalla ricostruzione a scala reale della sala triclinare di una della due domus, proposta sopra il pavimento originale, cosiddetto di "Ercole ebbro", risalente al I secolo.
Nel 2011, il progetto di revisione espositiva del museo ha vissuto una nuova, importante fase con l'inaugurazione -al primo piano- del nuovo allestimento di una sala dedicata alla sezione preromana e al territorio della Valle del Savio. Domenica 25 settembre, il Soprintendente per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna, Filippo Maria Gambari, e la Direttrice del Museo, Monica Miari, hanno tagliato il nastro della rinnovata Sala A, completamente rivisitata sul piano didattico ed espositivo, e arricchita con ricostruzioni grafiche, plastici e nuovi reperti emersi nel corso degli scavi effettuati dalla Soprintendenza.
Il percorso espositivo si snoda attraverso le principali tappe del
popolamento preistorico e protostorico della valle del Savio, dai
manufatti paleolitici raccolti da Antonio Veggiani alla nascita
dell'insediamento umbro di Sarsina.
Completa l'esposizione l'importante testimonianza cultuale del santuario
di Bagno di Romagna, noto per la persistenza di un culto delle fonti e
delle acque salutari, di antica matrice umbra.
Ricostruzione grafica del santuario di Bagno di Romagna (disegno di
Claudio Negrelli, 2011)
L'allestimento, curato da Monica Miari e Maria Teresa Pellicioni, è
stato realizzato da In Opera. Società Cooperativa Conservazione e
Restauro, Faenza.
L'apparato grafico è di Rita Ravaioli (Piperita Design. Disegni
Grafici/Illustrazioni, Forlì) e Rossana Gabusi (SBAER).
Un ringraziamento particolare, per la collaborazione scientifica, a Federica Fontana
(Università di Ferrara) ed Elisa Mazzetto.
LA SEZIONE PREROMANA
Quando, nel 1890, il Comune di Sarsina chiamò Antonio Santarelli per
dare vita al Museo Archeologico cittadino, le collezioni esposte
coincidevano sostanzialmente con la raccolta epigrafica riunita agli
inizi del Seicento dall'erudito Filippo Antonini.
L'assoluta assenza di testimonianze precedenti l'età romana appariva,
però, allo sguardo attento dello studioso, esclusivamente frutto della
mancanza di indagini più approfondite:
“ … non è supponibile che in un centro così importante dell'Umbria
antica designata col nome speciale di TRIBÙ SAPINIA, cercando bene non
siano a rinvenirsi le capanne e le tombe degli italici primitivi. Il
sottosuolo di Sarsina dunque in fatto di oggetti antichi è uno dé più
interessanti e promettenti d'Italia (...)” (Relazione di A.
Santarelli al Comune di Sarsina, 1890).
Negli anni immediatamente successivi l'inaugurazione del Museo, quindi,
fu proprio Antonio Santarelli che, grazie anche al suo ruolo di Regio
Ispettore dei Monumenti e degli Scavi, effettuò le prime scoperte di età
preromana del circondario di Sarsina.
Talvolta si trattò soltanto del recupero di oggetti isolati, come
l'armilla conservata presso il Museo Archeologico di Forlì con
l'indicazione “Sarsina 1891”, o l'ascia di bronzo proveniente da un
campo della parrocchia di Ranchio, lungo la valle del torrente Borello.
In altri casi, invece, grazie alle descrizioni raccolte sul luogo e
fedelmente riportate nei suoi scritti, i rinvenimenti lasciavano intuire
l'esistenza di realtà più complesse, come per i due bronzi rinvenuti nel
1885 in località Turrito, parte di un corredo funerario di VI secolo
a.C. e dell'insieme eterogeneo di oggetti in bronzo (databili tra il VII
e il V secolo a.C.), raccolti da un colono lungo un pendio in località
“Le Murcinaglie”, non distante dalla necropoli romana di Pian di Bezzo e
provenienti da una necropoli ormai perduta.
Eppure, complice anche il fatto che i ritrovamenti ottocenteschi
entrarono a far parte delle collezioni del Museo Archeologico di Forlì,
nonostante che già alla fine dell'Ottocento esistessero i presupposti
per la scoperta delle più antiche origini di Sarsina, occorrerà
aspettare quasi un secolo per la formazione della sezione preromana del
Museo.
Fu solo grazie all'opera di Antonio Veggiani, infatti, che ebbero inizio
le indagini sistematiche sul popolamento preistorico di Sarsina e della
valle del Savio.
Ingegnere minerario, originario di Mercato Saraceno, esperto di geologia
e appassionato di archeologia, nel 1951 Veggiani divenne ispettore
onorario per l'Archeologia dei comuni di Sarsina e Mercato Saraceno. A
lui si deve la scoperta dei giacimenti paleolitici di San Damiano, la
raccolta minuziosa di notizie e manufatti litici lungo la valle del
Savio, dal Monte Fumaiolo a San Carlo di Cesena e il recupero di nuove
testimonianze che avvaloravano l'esistenza di un popolamento umbro della
valle e del comprensorio sarsinate. Il frutto delle sue ricerche
costituisce ancora oggi il nucleo più consistente di questa sala che si
è andata poi progressivamente arricchendo con i risultati dell’attività
di tutela e di indagine svolta dalla Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna.
IL POPOLAMENTO DELLA VALLE DEL SAVIO DALLA PREISTORIA ALLA
ROMANIZZAZIONE
La posizione geografica della valle del Savio, nel cuore
dell'Appennino romagnolo, ne favorì fin dalla preistoria un importante
ruolo di collegamento con i territori transappenninici.
Ai piedi dei gruppi del Falterona e del Fumaiolo, da cui nascono i due
principali fiumi dell'Italia centrale, l'Arno e il Tevere, si estendono
ben quattro regioni: Romagna, Marche, Toscana e Umbria.
La valle si trova dunque al centro di alcuni dei più importanti
itinerari che raccordavano l'Italia centrale alla pianura Padana: in
primo luogo la via del Savio, per Sarsina, Cesena e Ravenna, con una
diramazione per la valle del Marecchia, Rimini e i territori
marchigiani; tramite il Colle del Carnaio si raggiungeva, invece, quella
del Bidente, verso Galeata e Forlì.
Sul versante meridionale due gli itinerari principali: attraverso il
passo di Montecoronaro, quello della Valtiberina, per Perugia e Roma;
attraverso i passi di Serra e dei Mandrioli quello per Arezzo e Firenze.
La frequentazione di queste antiche direttrici di traffico è ben
rispecchiata dalla distribuzione dei più antichi rinvenimenti della
valle del Savio; da essi si coglie, inoltre, come la valle del torrente
Borello potesse costituire una valida alternativa per raggiungere la
pianura cesenate.
Anche il progressivo concentrarsi del popolamento nella media valle è
inequivocabile. E' infatti a partire dai secoli centrali del I millennio
a.C. che si registra il formarsi di una presenza stabile nel
comprensorio sarsinate, che sfocerà, tra la fine del IV e gli inizi del
III secolo a.C., nella nascita dell'insediamento umbro di Sarsina.
La conservazione dell'originaria identità perdurò a lungo, anche dopo la
conquista romana del 266 a.C. e la trasformazione, tra la fine del II e
gli inizi del I secolo a.C., del centro indigeno di Sassina in
municipium di piena cittadinanza.
Nella suddivisione amministrativa di Augusto, Sarsina venne dunque
assegnata alla regio IV, ossia all'Umbria e con lei anche il centro di
Balneum (Bagno di Romagna), noto per la persistenza di un antico culto
delle fonti e delle acque salutari, di comune matrice umbra.