Aggiornamento 17 marzo 2014
Il merito della scoperta va al signor Paolo Giordani, cercatore
amatoriale di fossili, che si imbatte alla fine del 2010 in una cava in
località Secchiano (Novafeltria) in un grande blocco dal quale si
potevano intravedere imponenti denti fossilizzati. La segnalazione
arriva all’attenzione del geologo Loris Bagli (conoscitore esperto dei
siti geologici e paleontologici di Romagna e Marche) e alla dottoressa
Maria Luisa Stoppioni del Museo della Regina di Cattolica che per primi
si fanno garanti della tutela del reperto. La ricerca scientifica viene
affidata dalla Soprintendenza per i beni archeologici dell' Emilia
Romagna a Federico Fanti del Museo Geologico Giovanni Capellini
dell’Università di Bologna che oggi presenta, assieme ad Andrea Cau e
Alessandra Negri, la pubblicazione scientifica sul ritrovamento
nella rivista Cretaceous Research.
Il team ha messo insieme diverse competenze per ottenere uno studio
approfondito sia della successione sedimentaria da cui è stato estratto
il reperto, sia per definire chiaramente di quale animale si trattasse.
Lo studio di dettaglio dei microfossili contenuti nelle rocce (note come
Argille Scagliose e distribuite su ampie zone della dorsale appenninica)
ha permesso ad Alessandra Negri di datare il fossile alla fine del
periodo Cretaceo, circa 75 milioni di anni fa. Il fossile, preparato e
studiato nei minimi dettagli da Federico Fanti ed Andrea Cau, è
risultato da subito essere la parte anteriore del cranio di un grosso
rettile, un mosasauro per la precisione. I mosasauri erano grandi
rettili marini, lontani parenti dei serpenti e delle lucertole, comparsi
100 milioni di anni fa ed estinti – assieme ai dinosauri – 65 milioni di
anni fa. I mosasauri erano “tornati” a vivere in mare, adattando il loro
corpo all'ambiente acquatico. Sotto molti aspetti, il loro stile di vita
ricorda quello delle balene e delle orche, e come queste ultime i
mosasauri erano feroci predatori armati di denti molto robusti. Alcuni
mosasauri sono, dopo i dinosauri, i più grandi rettili vissuti sulla
Terra, con specie lunghe una dozzina di metri e pesanti fino a 10
tonnellate. In Italia, finora, i resti di mosasauro sono relativamente
pochi, e rinvenuti in maggioranza in Veneto.
Il nuovo mosasauro, superbamente ricostruito da Davide Bonadonna, era un animale gigantesco: lungo dalla punta del muso alla fine della coda più di 11 metri e con una testa lunga un metro e mezzo, si tratta del più grande rettile fossile rinvenuto in Italia. Quello che certamente cattura l’attenzione di questo reperto sono i denti, lunghi fino a 10 centimetri e possenti:i denti dell'esemplare romagnolo mostrano i segni di usura tipici dei grandi predatori, come le orche, e confermano che questo animale era in grado con il suo morso di provocare profonde ferite e di frantumare le ossa delle sue prede.
La pubblicazione di riferimento è la seguente: Fanti F., Cau A., Negri A. 2014 - A giant mosasaur (Reptilia, Squamata) with an unusually twisted dentition from the Argille Scagliose Complex (late Campanian) of Northern Italy. Cretaceous Research 49: 91-104. doi: 10.1016/j.cretres.2014.01.003.
Comunicato stampa
(28/02/2012)
Invito a
conferenza stampa 29/02/2012
Trovati nella cava di Monte Ceti i resti di un cranio fossile di un
grande predatore
Comune di Novafeltria, Località Secchiano
Il 4 ottobre 2010 il geologo Loris Bagli (esperto di fossili e siti paleontologici della Romagna e delle Marche) ha segnalato al Museo della Regina di Cattolica il rinvenimento nel Comune di Novafeltria (in località Secchiano presso la cava di “Monte Ceti”, altrimenti nota come “Le Ceti”), di un resto fossile costituito da una parte del cranio di un vertebrato. Anche se molto massiccio, il blocco con il fossile non è particolarmente grande (diametro massimo circa 60 cm x 30), e il fatto che si tratti di una porzione di cranio fornisce ottimi indizi per una corretta identificazione.
I resti di cranio fossile rinvenuti a Novefeltria nel settembre 2010
Il ritrovamento, che risaliva agli inizi di settembre 2010, era in
realtà opera di Paolo Giordani, un competente conoscitore di reperti
mineralogici che, resosi conto dell'anomalia del pezzo rispetto agli
altri reperti presenti in zona, si era messo in contatto proprio con il
prof. Bagli, naturalista autore di numerose pubblicazioni e
collaboratore alla realizzazione del Museo del Territorio di Riccione e
dei Musei di Mondaino per i settori paleontologici.
Interpellato dal Bagli, il Museo della Regina di Cattolica, tramite la
responsabile Maria Luisa Stoppioni, ha immediatamente segnalato il
reperto alla Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna,
rendendosi contemporaneamente disponibile a garantirne il deposito e la
conservazione in luogo idoneo e facilmente accessibile a sopralluoghi e
analisi, come richiesto dall’allora Soprintendente Luigi Malnati (oggi
Direttore Generale per le Antichità del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali)
Due i principali interrogativi cui bisognava dare risposte il prima
possibile: a quale vertebrato appartenesse il cranio e a quale periodo
geologico fosse attribuibile; come garantire la miglior conservazione
del reperto, il luogo e tipo di restauro necessari, il tutto rapportato
all’analisi dei costi.
Il fossile era apparso subito antichissimo, ma solo paleontologi esperti
in vertebrati potevano valutarne appieno caratteristiche e natura. Lo
stesso dicasi per il restauro, che per questo genere di reperti richiede
a sua volta la competenza paleontologica.
In collaborazione con l'attuale Soprintendente per i Beni Archeologici
dell’Emilia-Romagna, dott. Filippo Maria Gambari, e il funzionario
dott.ssa Monica Miari, sono stati interpellati il Prof. Benedetto Sala,
curatore del Museo di Paleonotologia dell'Università di Ferrara (che ha
effettuato un sopralluogo a Cattolica) e alcuni restauratori. Sala ha
immediatamente riconosciuto nel resto fossile il cranio di un vertebrato
antichissimo, risalente presumibilmente al Mesozoico e dunque a un
periodo per il quale non si conoscono analoghe testimonianze, in Romagna
e non solo. I restauratori hanno consigliato un intervento guidato ed
eventualmente direttamente condotto da paleontologi.
Su questa base, il Museo di Cattolica ha contattato il Direttore del
Museo Capellini di Bologna, importantissimo Museo Paleontologico con
sede nella Facoltà di Geologia dell’Università. A un primo incontro è
seguito un sopralluogo sia presso il Museo della Regina, sia nella cava,
guidati da Loris Bagli e dallo stesso rinvenitore Paolo Giordani.
Si è stabilito che a condurre l'analisi del pezzo e il suo restauro sia
il dott. Federico Fanti, paleontologo del Museo Capellini e dottorando
presso la Facoltà di Geologia, esperto e impegnato in numerosi scavi e
ricerche dedicate ai dinosauri. Per questo, il resto fossile sarà
trasferito a Bologna, presso il Museo Capellini: una volta liberato dai
sedimenti che lo avvolgono, ma soprattutto una volta identificato, si
potrà affrontare la questione del suo deposito e della sua collocazione
definitiva, oltre che modi e tempi dell'esposizione.
Il 29 febbraio 2012, presso la Provincia di Rimini, il Soprintendente per i Beni Archeologi dell'Emilia-Romagna prof. Filippo Maria Gambari, l'Assessore alla Cultura della Provincia di Rimini prof. Carlo Bulletti, il Sindaco di Novafeltria dott. Lorenzo Marani, il Sindaco di Cattolica dott. Piero Cecchini e il Prof. Gian Battista Vai, Direttore del Museo Capellini dell'Università di Bologna, hanno illustrato il rinvenimento, risalente all'autunno 2010, di un importantissimo resto fossile di vertebrato vissuto tra 90 e 65 milioni di anni fa, pertinente a un grande predatore che viveva nel vasto mare che un tempo separava Africa ed Europa.
La Cava di Monte Cevi, a Novafeltria, dove è stato rinvenuto il prezioso
fossile
Il reperto è stato trovato nell'autunno 2010 nella cava di Monte Ceti:
non immediatamente identificato con esattezza, ma riconosciutane
l'antichità e consapevoli della sua importanza e della sua
eccezionalità, è stato fino ad allora conservato presso il Museo della
Regina di Cattolica, dove è stato oggetto di analisi autoptiche da parte
di paleontologi delle Università di Ferrara (Prof. Benedetto Sala) e di
Bologna (dott. Federico Fanti), che hanno proceduto a un primo
riconoscimento.
Una piena conoscenza del reperto sarà possibile tuttavia solo dopo la
pulitura, il restauro e le analisi da effettuare, oltre che sul fossile,
anche sulle argille e sulle sabbie che ancora lo avvolgono. Per questa
ragione, il fossile sarà quanto prima trasferito presso il Museo
Capellini di Bologna, dove paleontologi esperti e attualmente impegnati
in numerosi scavi e ricerche dedicati ai dinosauri, guidati dal dott.
Federico Fanti, procederanno alle analisi e al necessario restauro,
oltre che allo studio. Terminate le ricerche, e una volta conosciuta la
vera identità di questo grande predatore, il fossile certamente
costituirà un'attrazione di primo livello e rappresenterà una nuova,
preziosa pietra miliare per la conoscenza delle antichità –a questo
punto remotissime- del territorio riminese.
Alla conferenza stampa erano presenti anche il rinvenitore, sig. Paolo
Giordani, il primo “scopritore” della importanza del reperto, prof.
Loris Bagli, la funzionaria archeologa della Soprintendenza Dott.ssa
Monica Miari e colui che ne affronterà lo studio, il dott. Federico
Fanti, salito recentemente alla cronaca per aver individuato una
“covata” di dinosauri. Con loro, a sottolineare l'importanza del
rinvenimento, l'Assessore alla Cultura del Comune di Novafeltria, ing.
Giuseppe Cangiotti e l'Assessore alla Cultura del Comune di Cattolica,
dott.ssa Anna Sanchi.
Riportiamo di seguito, la breve relazione stilata dal Prof. Bagli al
momento della segnalazione al Museo della Regina di Cattolica (4 ottobre
2010)
Il reperto, consistente in un resto cranico di cm 60 x 30, è stato
rinvenuto dal sig. Paolo Giordani agli inizi di settembre 2010 e
consegnato alla d.ssa Stoppioni dallo scrivente, che ne ha riconosciuto
la natura e la rilevanza scientifica, affinché possa seguire un adeguato
iter di studio e conservazione.
Il ritrovamento è avvenuto all’interno della cava di Monte Ceti (Novafeltria-RN).
Sulla base della Carta geologica dell’area compresa tra i fiumi Savio e
Foglia (S. Conti, 1988), il reperto proviene da terreni liguridi della
cosiddetta “Coltre alloctona della Valmarecchia”, risalenti a un arco
temporale compreso tra l’Eocene e il Cretaceo (110 – 55 milioni di anni
fa), caratterizzato essenzialmente da argilliti policrome.
All’interno della cava, nel luogo di ritrovamento, le argilliti
alloctone ricoprono i calcari della epiliguride Formazione di San
Marino, risalente al Miocene inferiore-medio (17 – 15 milioni di anni
fa), formazione anch’essa appartenente alla “Coltre alloctona della
Valmarecchia”, depositatasi in aree non corrispondenti all’attuale
collocazione geografica.
A causa della collocazione, sovrastante le bancate calcaree di interesse
estrattivo, le argille sono state asportate per anni, mettendo in luce
sempre nuove sezioni, costantemente erose da agenti esogeni, con il
conseguente affioramento del contenuto in minerali in esse presenti.
Il sito è noto a geologi e mineralogisti per la ricchezza di septarie,
concrezioni naturali che includono cristalli di gesso, calcite,
aragonite e barite. Nelle argille sono comuni anche isolati cristalli di
gesso e noduli di pirite-marcasite.
In occasione di un sopralluogo a fini mineralogici presso il settore
nord della cava, il sig. Paolo Giordani ha rinvenuto il reperto,
affiorante dalle argille in seguito alle intense precipitazioni dei
giorni precedenti, inizialmente ritenuto una delle tante septarie
presenti.
In seguito al distacco di frammenti per riconoscerne la natura e
avvertita la singolarità dell’oggetto, lo scopritore ha contattato lo
scrivente per una prima identificazione.
Le argille alloctone sono in genere povere di contenuto paleontologico
pertinenti a vertebrati, in ogni mai segnalati nella Valle del Marecchia.
Si ritiene quindi che per i caratteri anatomici e per la rarità nella
tipologia, il reperto assuma rilevante valore scientifico per le
informazioni paleozoologiche e paleoambientali da esso ricavabili,
nonché un importante significato espositivo e museale.