Il suo nome era Eutyches, veniva da Oriente, forse dalla Grecia,
grande esperienza medica su solida cultura ellenistica. Giunge ad
Ariminum agli inizi del III secolo d.C. dove acquista e va ad
abitare in una casa costruita circa un secolo prima ristrutturando parte
di un edificio preesistente. Alle pareti affreschi policromi, sotto i
piedi pavimenti a mosaico con motivi geometrici e figurati, tra cui un
pregevole Orfeo tra gli animali. Nella Rimini di allora, forse una casa
come tante. Per noi la testimonianza unica e straordinaria di
un’abitazione/clinica giunta quasi intatta con tutti gli strumenti del
mestiere del suo proprietario, che proprio da lui ha preso il nome:
Domus del Chirurgo.
La domus è giunta fino a noi in ottimo stato, grazie ai tragici eventi
che la colpirono, con ogni probabilità intorno all’anno 257 d.C.. Un
incendio, forse provocato dalla furia dei barbari, probabilmente in
occasione di una scorreria germanica avvenuta ai tempi dell’imperatore
Gallieno, distrusse l’intera abitazione ma ha permesso di preservare nei
secoli gran parte degli oggetti e mosaici, strutture, intonaci, arredi e
suppellettili che offrono una “fotografia” unica ed importantissima
della vita nella Rimini antica.
Ricostruzione grafica della "domus del Chirurgo" (Disegno
Claudio Negrelli)
Tra questi un oggetto che mette in luce ulteriori sfaccettature della
personalità del chirurgo: un frammento di vetro decorato, fondo di una
coppa di cui è impossibile definire le dimensioni ma di valore
decisamente importante.
La coppa è in vetro incolore, con una leggera sfumatura verdognola, e
poche piccole bolle che ne denunciano l’elevata qualità. L’intaglio è
stato realizzato all’esterno della coppa, in modo da potersi leggere in
trasparenza anche dall’esterno. Ritrae una testa di figura femminile,
con nome, in un possibile paesaggio di elementi vegetali.
La testa è caratterizzata da un profilo forte, il mento arrotondato,
occhi tondeggianti e guance paffute. La pettinatura a calotta scende
sulla schiena con un boccolo e una ciocca allungata; i capelli sono
fermati da una banda decorata, forse con piccoli fiori. La figura sembra
indossare una veste decorata -di cui si intravede lo scollo- mentre
dietro di lei sopravvive la sommità di una grande ala di cui sono rese
le piume.
Alle spalle della figura femminile si vedono alcuni dettagli di un altro
personaggio, quasi certamente maschile. Si riconosce una parte del
volto, con naso e barba a taglio quadrato, e una porzione di petto o
forse del vestito, reso con elementi tondeggianti. Davanti a questa
figura parte un oggetto a forma di uncino che potrebbe essere un
elemento vegetale con foglia piegata e stelo grezzo, ma anche un bastone
tipo pedum, retto dal personaggio.
Il resto dello spazio del frammento è occupato da una serie di motivi
vegetali disposti radialmente fra cui si riconosce una palma con grandi
foglie lanceolate da cui forse pendono frutti. Sono poi presenti altri
riempitivi lanceolati (forse altre foglie) ed elementi a linee
serpeggiati di difficile identificazione.
Dietro la testa femminile è incisa una scritta in lettere greche
maiuscole, leggibile dall’interno della coppa. L’iscrizione HPI-GONH,
Erigone, nome femminile greco, reca la P incisa a rovescio, tanto da far
pensare che l’incisore non conoscesse il significato di ciò che
incideva, come del resto succedeva spesso con la manodopera servile.
Secondo
l’archeologa Maria Grazia Maioli, autrice del saggio “Una coppa di vetro
inciso dalla ‘domus del chirurgo’ di Rimini", in Pagani e Cristiani.
Forme ed attestazioni di religiosità del mondo antico in Emilia, pagg.
83-94, Castelfranco Emilia 2008, la tecnica di incisione del manufatto,
non comune nel mondo romano ma diffusa in Oriente, denuncia una
produzione sicuramente levantina del nostro pezzo. La coppa proverrebbe
dai confini orientali dell’impero e sarebbe stata fatta da mani locali
con una raffigurazione particolare databile all’epoca romana imperiale,
tra il II e il III secolo d.C.
Il nome di Erigone è collegato ad un mito poco conosciuto, riferito ad
uno dei più antichi luoghi di culto di Dioniso in Attica. Il nome
sarebbe un attributo di Eos, Aurora, con il significato di pre-nata,
ovviamente rispetto al giorno.
Erigone è figlia di Icaro. Quando Dioniso scende sulla terra per portare
il vino agli uomini viene ospitato da Icaro che riceve, per
riconoscenza, un otre di vino. Icaro lo beve e lo offre ai vicini i
quali, ubriachi, pensano di essere stati avvelenati per cui lo uccidono
e ne nascondono il corpo. La figlia lo cerca disperata, riuscendo a
trovarlo solo grazie al fiuto del fido cane Maera. Per la disperazione
Erigone si suicida impiccandosi ad un albero e Dioniso maledice la zona
provocando una specie di epidemia che costringe ragazzi e ragazze ad
impiccarsi.
Su consiglio dell’oracolo di Apollo vengono perciò istituite delle feste
in onore di Icaro e Erigone, chiamate Aeora; il tempio e l’area dedicati
a Dioniso erano localizzati sulle pendici del monte che guarda la piana
di Maratona: per questo Erigone è anche citata con l’appellativo di
Marathonia Virgo.
Le caratteristiche delle feste in onore di Erigone sono abbastanza
singolari: poiché la giovane si era impiccata, il rito prevedeva che
fossero appese offerte di fiori e frutti nonché immagini della
sfortunata ragazza. Possiamo supporre che derivi da questo l’abitudine
di appendere elementi decorativi (come gli oxilla di epoca
romana) con immagini pastorali e di vario tipo.
Tornando al frammento di coppa, Maioli fa notare che si riconoscono
chiaramente due diverse mani nel lavoro d’incisione. Il nome di Erigone
è stato aggiunto in un secondo tempo, forse per dare un nome preciso ad
un personaggio che in origine era diverso. Maioli ipotizza che in
origine la scena raffigurasse personaggi riferibili alla mitologia
partica o sassanide e che il nome aggiunto in un secondo tempo,
riferibile ad un mito greco, con gli errori e le irregolarità descritte
sopra, sia stato voluto dall’acquirente della coppa (dunque il nostro
chirurgo) che ha identificato i personaggi come quelli di un mito
estraneo alla zona ma conosciuto da lui.
Ancora più intrigante l’ipotesi di Maioli sull’interpretazione dei
personaggi: posto che la figura femminile sia Erigone -come attestato
dalla scritta- il personaggio barbuto chi è? Si tratta forse del padre
Icaro o è piuttosto il dio Dioniso, in versione barbata tipica delle
immagini di epoca persiana?
“È evidente che le nostre ipotesi sono molto aleatorie -scrive Maioli
nel suo saggio- e basate sull’interpretazione della possibile
personalità del chirurgo riminese. Data la presenza della coppa
all’interno del contesto della domus del chirurgo a Rimini e
considerando le località in cui il chirurgo aveva esercitato (i confini
dell’impero sassanide, ndr), possiamo presumere che sia stato lui stesso
ad acquistare la coppa nella località di produzione o
commercializzazione, facendovi poi aggiungere il suo tocco personale” .
Insomma, si chiami o no Eutyches, il nostro chirurgo non perde occasione
per mostrarci sempre più manifestazioni di una personalità complessa e
per molti versi sofisticata. Un uomo che apprezzava oggetti di alto
valore estetico e venale, che aveva soldi per acquistarli, che li
inseriva e collegava nel suo paesaggio intellettuale. Il dato che la
coppa non si trovasse nel triclinio bensì al piano superiore (o almeno
così parrebbe dal contesto di scavo in cui è stata rinvenuta) aggiunge
valore al reperto in sé, in quanto la conservazione degli oggetti al
piano nobile è riservata a quelli più cari al padrone di casa.
“La datazione della coppa, più antica rispetto alla distruzione della
domus, la località di produzione e provenienza e l’inserimento
riferibile al mito greco da parte del proprietario -conclude Maioli nel
suo saggio- sono ulteriori indizi per una migliore contestualizzazione
del complesso riminese”
Fonte: Maria Grazia Maioli, “Una coppa di vetro inciso dalla ‘domus del chirurgo’ di Rimini", in Pagani e Cristiani. Forme ed attestazioni di religiosità del mondo antico in Emilia, pagg. 83-94, Castelfranco Emilia 2008