6. Restauri
6.1. MODENA. Museo Lapidario Estense. I restauri dei reperti lapidei.
6.2. Intervento di restauro del trono ligneo proveniente da Verucchio, Tomba 26 Pod. Moroni 1969.
6.3. Restauri di elementi di corredo lignei di tombe protostoriche verucchiesi
6.1. MODENA. Museo Lapidario Estense. I restauri dei reperti lapidei.
Il Museo Lapidario Estense venne istituito nel 1828 per volere
di Francesco IV dEste nel quadriportico del settecentesco
Albergo delle Arti . Rappresenta la prima raccolta archeologica
di carattere pubblico a Modena. Il nucleo più antico, ordinato
da Carlo Malmusi ed illustrato compiutamente in un catalogo edito
nel 1830, comprendeva attestazioni monumentali di provenienza
locale, oltre alla cinquecentesca collezione del cardinale
Rodolfo Pio con reperti da Brescello e da Roma. Gli innumerevoli
ritrovamenti che interessarono larea urbana ed il
territorio modenese nella seconda metà del secolo scorso
portarono ad ulteriori acquisizioni, il cui allestimento venne
portato a termine nel 1893 da Arsenio Crespellani, Ispettore
Onorario alle Antichità e direttore del museo Civico. Una guida
a stampa edita nel 1938 dallIspettore Onorario Cesare
Giorgi documenta le accessioni degli inizi del secolo alle quali
si aggiunsero alcune decine di reperti, collocati del tutto
casualmente negli spazi liberi allinterno del
quadriportico.
Fra i Musei Lapidari più importanti della regione, per quantità
e varietà di attestazioni, in prevalenza di carattere funerario,
ma anche sacro e votivo, vanta una serie di sarcofagi monumentali
di fabbricazione ravennate, datati dal II sec. d.C. ad età
costantiniana.
Gli interventi di manutenzione straordinaria e di adeguamento
funzionale del complesso architettonico, ora sede dei più
importanti Istituti culturali cittadini, ha fornito
loccasione per riesaminare filologicamente le fasi di
formazione e crescita della raccolta, nonché per interventi di
restauro e di riprogettazione allestitiva.
Il progetto, che segue le metodiche emerse dagli studi di una
Commissione costituita da funzionari delle competenti
Soprintendenze, del Museo Civico e dei Dipartimenti di Storia
Antica ed Archeologia di Bologna, elaborato e diretto
congiuntamente dalla Soprintendenza per i Beni Artistici e
Storici di Modena e Reggio Emilia ed Archeologica
dellEmilia-Romagna, procede parallelamente ai lavori di
ripristino del contenitore museale, curati dalla Soprintendenza
per i Beni Ambientali ed Architettonici.
E stato curato contestualmente il restauro dei reperti
lapidei, da tempo smurati dalle pareti del portico che ospita il
Museo e trasferiti in parte nel cortile (sarcofagi) ed in parte
in baracche predisposte appositamente presso Palazzo Coccapani
(stele, lastre, are, ecc.). Le tipologie di degrado e le
conseguenti metodologie adottate si possono riassumere come
segue, fatti salvi interventi specifici adottati per reperti che
presentavano particolari problematiche.
Bibliografia
C.MALMUSI, Museo Lapidario Estense, Modena 1830
A.CRESPELLANI, Catalogo del Museo Lapidario di Modena, Modena 1897
C. GIORGI, Il R. Museo Lapidario Estense della città di Modena, Modena 1938
E. CORRADINI, Il Museo Lapidario Estense, in Nuovi Studi Maffeiani. Atti del Convegno Scipione Maffei e il Museo Maffeiano.Verona 1983, Verona 1985, pp. 411-458.
EADEM, Il Museo Lapidario, in Segni dalle pietre. Scritture e lapidari in Emilia-Romagna, IBC Informazioni, 6, 1989, pp. 23-27
Nicoletta Giordani, Giovanna Paolozzi Strozzi
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Il trono, in legno di pioppo-salice, recuperato bagnato dallo
scavo, aveva subito una rapida essiccazione e successiva
disidratazione.
E' pervenuto in laboratorio nel 1996 accartocciato e ristretto
rispetto alle sue dimensioni originali.
Il consolidamento è stato eseguito presso il Museo Comunale di
Modena dai Restauratori Roberto Monaco e Remy Mussatti. E
stato usato poliglicoleetilenico (P.E.G.1200) sciolto in acqua
distillata, riscaldata fino a 75 °C. Si rimanda al loro
intervento pubblicato in questa stessa sede. Le fasi successive
del rimontaggio sono state elaborate presso il Laboratorio di
Restauro della Soprintendenza Archeologica di Bologna,
utilizzando i disegni eseguiti da Vanna Politi e Agnese Mignani.
Si sono assemblati i vari frammenti e si sono colmate le lacune
con una. miscela la di cera d'api, pece greca, ossido di zinco,
gesso dentistico e terre naturali, perfettamente compatibile con
il P.E.G.
In base ad altri esempi di troni della stessa provenienza e ai
decori della superficie, si è ideata e realizzata una struttura
in plexiglass che facesse da appoggio ai frammenti e che desse
idea di unità formale dell'insieme, tenendo comunque conto che
le misure di tale struttura non sono da considerarsi quelle
dell'oggetto in origine, in realtà ben più grande.
Si è inoltre deciso di rendere opaca la superficie del
plexiglass mediante "sabbiatura".
L'intera struttura risulta essere autoportante in quanto sono
stati creati perni in Plexiglass fissati sul supporto e affogati
nella cera dell'integrazione. Ciò permetterà, in caso di
necessità lo smontaggio veloce e non distruttivo delle parti
originali. Lo schienale consiste in un semplice arco che non
pregiudica la lettura delle incisioni sia sul retro (decorazioni
geometriche), sia sul davanti (scene di vita quotidiana).
Il trono è ora esposto nel Museo Archeologico Comunale di
Verucchio.
Laboratorio di Restauro - Soprintendenza Archeologica di Bologna
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6.3. Restauri di elementi di corredo lignei di tombe protostoriche verucchiesi
In preparazione alla Mostra archeologica di Verucchio (Forli),
del 1996, allinizio dellanno sono stati
riconsolidati e restaurati, nel laboratorio di restauro
del Museo Archeologico di Modena, due reperti lignei in
frammenti, recuperati nel 69 nella Tomba 26 della necropoli
dell'età del ferro del Podere Moroni: un ventaglio (inv.
n. 59752 foto l) ed un cofanetto (inv. n. 59753, foto 2) composto
distintamente da 4 pareti, 1 fondo e 1 coperchio (originariamente
predispostiposti per essere assemblati con legacci di cuoio o
legno).
I legni si presentavano completamente disidratati e la lignina
collassando aveva determinato delle riduzioni di dimensioni e
delle deformazioni nei singoli frammenti, pregiudicandone
il corretto riassemblaggio.
I reperti, inoltre, non presentavano muffe ed erano stati
trattati, forse, negli anni '70 in un'altro laboratorio con un
prodotto vinilico utilizzato per una sorta di consolidamento, che
in realtà aveva avuto la sua efficacia in modo temporaneo e solo
superficialmente, mentre la struttura interna dei legni era
rimasta priva di una qualsiasi protezione subendo continuee e
traumatiche sollecitazioni termiche dovute al microclima presente
nei diversi ambienti di stoccaggio, nei quali peraltro vennero
senz'altro manipolati occasionalmente, dal 1969 in poi, favorendo
altri traumi causati da spostamenti dei contenitori nei
quali erano stati collocati.
Anche la pellicola consolidante, stesa in modo disomogeneo sui
frammenti, aveva contribuito negativamente sul loro stato di
conservazione. Ciò era evidenziato da una diversa colorazione,
zonale, dei legni.
Una più corretta operazione di restauro, quindi, necessitava in
primo luogo della sua completa eliminazione: inizialmente la
pellicola é stata rimossa meccanicamente, dopo impacchi con
acqua tiepida che l'avevano ammorbidita, successivamente i
manufatti sono stati trattati a fondo con un'antimicopico.
Messa in funzione la vasca, già sperimentata in altre occasioni,
è stato individuato un contenitore idoneo a mantenere i legni
immersi nella nuova soluzione consolidante costituita da acqua
mineralizzata e PEG (a densità 1200) al 10%. Il contenitore é
stato posto nella vasca contenente acqua, man mano, riscaldata
nei giorni seguenti (20 circa), fra i 35 e i 75 °C, da
un'elettrodo munito, esternamente alla vasca, di un'interruttore
graduabile.
Il contenitore piccolo é stato costantemente immerso (mai oltre
lorlo) nell'acqua della vasca, periodicamente rincalzata a
causa dell'evaporazione.
I coperchi dei due contenitori sono stati tenuti in fessura per
aumentare i tempi di evaporazione dell'acqua della soluzione
consolidante, al contempo evitando che l'acqua sciogliesse
continuamente il PEG già penetrato nel legno e accellerando i
tempi del consolidamento con continui rincalzi della soluzione
nel momento in cui il PEG ormai addensatosi internamente al legno
non era più sottraibile, neppure dalle nuove aggiunte più
fluide.
Negli ultimi momenti della fase di consolidamento, con la
temperatura della vasca a 75 °C il legno non era più in grado
di assorbire il PEG, che si stava depositando sul fondo del
contenitore piccolo fino a ricoprire i reperti.
Dopo essere stati ripuliti dal PEG eccedente, mediante spugnature
con acqua distillata (a 40 °C), i legni sono stati posti ad
asciugare in un'essicatore con una temperatura variabile fra i 16
e i 22 °C.
La fase successiva è costituita nell'incollaggio dei frammenti
dei due reperti, i quali necessitavano distintamente (come del
resto in precedenza) di operazioni in parte differenti. Il
ventaglio infatti ancora caldo e umido durante la fase di
essiccamento, a differenza del cofanetto, era stato leggermente
pressato coi frammenti in connessione (per quanto possibile viste
le deformazioni), posti fra due fogli di carta da lucido e fra
due assicelle, all'esterno dei fogli, in modo da comprimere
modulatamente il legno.
Il ventaglio, di spessore variabile fra i 2 e i 5 mm, è stato
assemblato con un composto (di PEG all'80%, acqua distillata,
terre e ossidi coloranti naturali), mantenuto costantemente
fluido all'interno di un bicchiere di vetro riscaldato a
"bagnomaria" con una temperatura attorno ai 50 °C. Per
le applicazioni del composto sono stati utilizzati bisturi e
pennello.
I vari elementi del cofanetto presentavano complessivamente uno
spessore variabile fra i 4 e i 12 mm, per cui si sono potute
inserire (in alcuni casi) delle "anime" di legno, in
sezione, tra frammento e frammento per dare più stabilità al
manufatto. I frammenti sono stati incollati col medesimo
materiale usato per il ventaglio.
Per la reintegrazione delle lacune, utile per dare ulteriore
robustezza ai reperti, è stato utilizzato un composto a base di
cera d'api, paraffina, gesso dentistico, ossido di zinco, pece
greca e terre naturali, denominato 176.
In base all'esperienza dei due restauratori la composizione del
176 é stata leggermente modificata, in base a quelle già
effettuate presso il laboratorio di restauro del Museo di
Pontecagnano, rispetto alla formula originariamente sperimentata
presso il Centro di restauro di Firenze.
Sui due reperti é poi stata applicata una protezione finale con
un composto a base di cera microcristallina e Preventol (foto 3 e
4)
Bibliografia
BARBIERI, LODI, MONACO, Studi e documenti di Archeologia VII, pag. 226-227, Bologna 1993
Roberto Monaco, Remy Mussati
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