2.1. Fidenza, loc. Ca Vecchia Cabriola
2.2. Fidenza, loc. Ca il Pirlone
2.3. Fidenza, loc. Case Nuove di Siccomonte
2.4. Parma, loc. Gaione
2.5. San Polo dEnza, loc. Pontenovo
2.6. Campegine, Via Aldo Moro
Provincia di Modena
Provincia di Bologna
2.8. Bologna, Piazza Azzarita
2.9. Marzabotto, Pian di Misano
2.10. Marzabotto, Regio IV, insula 2.
Provincia di Forlì
2.11. Savignano sul Rubicone, loc. S. Giovanni in Compito, Via Montilgallo
2.1. Fidenza, loc. Ca Vecchia Cabriola
Durante lo scavo di linea per la posa del
metanodotto SNAM Minerbio - Cortemaggiore nellestate del
1995, in prossimità del picchetto n. 86 posto a poca distanza
dai Torrenti Rovacchia e Siccomonte, a circa 1,5 Km.
dallinsediamento etrusco di Case Nuove e a metà strada tra
questo e larea archeologica di Ca Pirlone, è stato
individuato un livello archeologico contenente materiale ceramico
risalente alletà del Ferro.
Oltre ad un paleosuolo, sfuggito per una ventina di metri a
processi erosivi per la presenza, nella superficie topografica
antica, di una leggera depressione orientata E-O, sono stati
individuati i resti di una struttura a pareti svasate larga circa
6 metri e profonda poco più di un metro, colmata di terriccio
franato dalle pareti e scarsi materiali archeologici.
Per quanto di difficile interpretazione, viste le caratteristiche
idromorfe dei terreni di riempimento, è possibile che la
struttura più che buca per trarne materiale argilloso vada
intesa come traccia di un fossato di drenaggio.
Come in tutti gli altri accertamenti scientifici lungo lo stesso
metanodotto la scrivente è stata assistita dalla Cooperativa
AR/S Archeosistemi di Reggio Emilia.
Manuela Catarsi Dall'Aglio
2.2. Fidenza, loc. Ca il Pirlone
Durante lo scavo di linea per la posa del metanodotto SNAM
Minerbio - Cortemaggiore nellestate del 1995 su un vasto
pianoro posto tra la linea ferroviaria Fidenza Salsomaggiore e la
casa colonica "Il Pirlone" a circa tre chilometri di
distanza dal sito di Case Nuove e ancora più spostato ad
occidente rispetto a questultimo è stata localizzata una
fattoria di V a.C., ricostruita quasi nello stesso punto di una
struttura analoga e precedente distrutta nel corso di un episodio
alluvionale. Entrambe le fattorie risultano costituite
fondamentalmente da una capanna ovale seminterrata e da alcune
fosse di scarico. Una ricerca mirata realizzata lanno
successivo con metodologie geofisiche, elettriche e magnetiche,
volta a stabilire se nel pianoro si trova un intero villaggio
come nel caso di Case Nuove, ha dato risultati negativi , ma
nonostante le difficoltà oggettive presentate dalla natura dal
terreno, ricco di materiale pietroso di origine ofiolitica, ha
portato al riconoscimento, nei pressi delle strutture abitative,
di due telai verticali esterni ad esse.
Le ricerche coordinate dalla scrivente sono state realizzata
dalla Cooperativa AR/S Archeosistemi di Reggio Emilia e dalla
ditta Geoinvest di Piacenza.
Manuela Catarsi Dall'Aglio
2.3. Fidenza, loc. Case Nuove di Siccomonte
Sono proseguiti anche nel triennio 1994-1996 i lavori di scavo
nel villaggio etrusco venuto in luce nel 1990 a seguito dei
lavori dell'Aeronautica Militare per la posa di infrastrutture
del ministero della Difesa.
L'esplorazione si è concentrata in una parte del pianoro,
compreso tra il Rio Siccomonte, la collina del Monfestone e la
strada provinciale Salsomaggiore-Tabiano, dove una campagna di
prospezioni geofisiche, condotte con metodologie magnetiche,
preliminarmente agli scavi, aveva evidenziato un'area
particolare, di forma grosso modo quadrilatera, caratterizzata da
anomalie molto più forti e concentrate rispetto a l le altre,
pur numerosissime e distribuite sul pianoro per
unestensione di oltre 11 ettari.
Lo scavo, per quanto non esauriente ha consentito di riportare in
luce, in unarea concentrata, numerosissime buche, larghe
poco più di una trentina di centimetri e poco profonde, tra loro
collegate due a due in cui si possono riconoscere focolare e
punto di fusione secondo un procedimento documentato
dallarcheologia sperimentale. Unaltra struttura, di
forma ovaleggiante e maggiori dimensioni, che conserva sul fondo
tracce di concotto e risulta riparata da una tettoia straminea,
sembra occupare una posizione centrale rispetto alle precedenti.
Tra gli abbondanti materiali raccolti figurano grandi vasi di
ceramica grezza dotati di beccucci - versatoi, scorie di fusione
e una quantità impressionante di lingottini metallici di ogni
forna e dimensione che, talvolta, conservano la forma del
crogiolo.
Le analisi avviate dai dott. Livio Follo ed Elena Antonacci su
questa particolare classe di reperti, benchè solo agli inizi,
stanno dando importanti risultati , in quanto hanno permesso di
enucleare nei reperti di bronzo tre diversi tipi di lega
caratterizzati da alte percentuali rispettivamente di ferro, rame
e piombo.
Tutta la zona, caratterizzata da anomalie magnetiche assai forti,
è pertanto presumibile fosse interessata da attività produttive
legate alla lavorazione dei metalli.
Lo scavo ha inoltre permesso di documentare che le buche, man
mano che divenivano inutilizzabili, erano colmate con materiali
di scarico.
In unepoca successiva, da porsi con ogni probabilità in un
momento avanzato del V secolo, almeno nella porzione di area
investigata, sembrano esser state abbandonate le attività
fusorie e il terreno, ricco di carboni, concotto e costipato di
frammenti ceramici, cominciò ad essere coltivato. A questa fase
si possono , infatti, far risalire tutta una serie di
canalizzazioni con andamento sud-est/nord-ovest, realizzate a
scopo di drenaggio e forse irrigazione , scolanti nel grande
fossato artificiale, che attraversava in tutta la sua lunghezza
l'insediamento.
I primi risultati conseguiti dopo lavvio di studi
sistematici sulle varie classi di materiali, pur suscettibili di
modifiche e ulteriori precisazioni, consentono di datare
linsediamento tra gli inizi del VI sec. a. C. e gli inizi
del IV e confermano il suo inserimento tra gli abitati
dellEtruria Padana, anche se data la sua posizione
geografica, non si può escludere si affiancassero ad una forte
componente etrusca elementi liguri, provenienti dalle vicine
montagne
Da un punto di vista culturale, infatti, anche se innegabili sono
i rapporti con la civiltà atestina e quella golasecchiana e non
sembrano mancare prodotti più propriamente locali i materiali
dimostrano stretti contatti con lEtruria tirrenica
settentrionale e i territori profondamente etruschizzati del
Reggiano e del Mantovano.
Anche se la vocazione agricola dellinsediamento, sorto in
un pianoro fertile ai margini di un bosco misto di latifoglie
caduche, in cui querce e carpini costituivano le specie arboree
predominanti, ma non mancavano neppure faggi a testimoniare un
clima più freddo dellattuale, è ampiamente dimostrata
oltre che dai reperti floro-faunistici (bovini, suini e
caprovini), non mancano indizi di altre attività prima tra
tutte, come si è visto, quelle metallurgiche, ma anche
produzioni ceramiche e tessitura e filatura.
La presenza , infine, di materiali dimportazione quali
ceramica greca, anfore greche da vino e da olio, bronzi
golasecchiani e almeno un pane di aes signatum, oltre che
indizio di una certa vocazione commerciale costituisce,poi, una
chiara conferma dellesistenza di direttrici di traffico che
puntavano verso linterno staccandosi da quelli che dovevano
essere gli assi portanti di tutto il sistema, vale a dire il Po e
la via pedemontana poi ripercorsa dallAemilia.
Nel caso specifico un elemento di attrazione per gli Etruschi
, ma anche per altre popolazioni, può esser stata la necessità
di garantirsi il sale di cui tutta la zona è particolarmente
ricca. Lesplorazione è stata diretta dalla scrivente e
finanziata interamente con fondi ministeriali, e vi hanno
partecipato studenti dellUniversità di Bologna (dott.
Nicoletta Dondi, dott. Tiziana Ravasio, Ilaria Cerioli ) e di
Parma (Stefano Borlenghi).
In questi anni sono stati avviati studi sistematici sulle varie
classi di materiali. Delle analisi archeometriche sui reperti
metallici sè già detto. Lo studio dei materiali, di
concerto col prof. Giuseppe Sassatelli, titolare della cattedra
di Etruscologia dellUniversità degli Studi di Bologna, è
divenuto oggetto di alcune tesi di laurea o di specializzazione.
I reperti faunistici sono in corso di studio da parte della dott.
Patrizia Farello della Soprintendenza Archeologica, mentre i
reperti floristici sono stati analizzati dalla prof. Giovanna
Marziani Longo, assieme al prof. Alessandro Iannone e la dott.
Cristina Tazzi, del Dipartimento di Biologia
dellUniversità di Milano.
Manuela Catarsi Dall'Aglio
I lavori di rimozione del suolo agricolo in corrispondenza del
tracciato del metanodotto SNAM Minerbio - Cortemaggiore a Gaione,
a circa m.150 a Ovest della Strada Provinciale Montanara, hanno
messo in luce una piccola fornace per ceramiche. La struttura del
tipo a pipa con camera di combustione circolare di m. 0,70 di
diametro e prefurnio rettilineo di m. 0,90, era riempito di
argilla rubefatta e frammenti ceramici databili alla piena età
del Ferro.
Come in tutti gli altri accertamenti scientifici lungo lo stesso
metanodotto la scrivente è stata assistita dalla Cooperativa
AR/S Archeosistemi di Reggio Emilia.
Manuela Catarsi Dall'Aglio
Provincia di Reggio Emilia
2.5. San Polo dEnza, loc. Pontenovo
Dal momento che indagini archeologiche, condotte
preliminarmente ai lavori per una nuova lottizzazione artigianale
ai margini del paese di S. Polo, avevano rivelato la presenza di
una complessa stratificazione comprendente più livelli
insediativi, la Soprintendenza ai Beni Archeologici, ha proceduto
nel corso del 1995, grazie a finanziamenti sia ministeriali che
privati allesplorazione sistematica di due lotti di terreno
di imminente edificazione.
I lavori di scavo hanno portato allindividuazione di
numerose strutture pertinenti ad un insediamento protostorico
coevo a quello rinvenuto nel secolo scorso a pochi km di distanza
in loc. S. Polo Servirola.
Dette strutture, interpretabili come fosse di scarico,
canalizzazioni e resti di capanne si trovano a m. -365
dallattuale piano di campagna e risultano sigillate da uno
spesso strato di terreno giallo sabbioso di origine alluvionale
in cui sono tagliate strutture abitative e tombe depoca
longobarda e a loro volta risultano sovrapposte a un livello
insediativo precedente (cfr. schede relative in questo stesso
volume).
Tra i materiali recuperati , riferibili, almeno in via
preliminare al V sec. a.C., figurano numerosi frammenti di
ceramica etrusco-padana. Lo scavo diretto dalla scrivente, si è
avvalso dellassistenza della Cooperativa AR/s Archeosistemi
di Reggio Emilia.
Manuela Catarsi DallAglio
A seguito dei risultati di indagini di tipo geofisico condotte
dalla Ditta Geoinvest s.n.c. di Piacenza con metodologie
magnetica ed elettrica, preliminarmente ai lavori per una nuova
lottizzazione in un terreno di proprietà dell
"Immobiliare Campegine", che avevano individuato
numerose anomalie relazionabili alla presenza di strutture
archeologiche sepolte, si è proceduto nel corso del 1994
allesplorazione scientifica dellarea, i lavori di
scavo archeologico hanno interessato un terreno di circa 25.000
mq., posto lungo Via A.Moro a ridosso del canale Vecchio nei
pressi dellincrocio tra le Vie provenienti da Tanneto e
dalla Razza.
Lesplorazione, ha consentito di appurare che buona parte
dellarea appena al di sotto del terreno agricolo dello
spessore di circa 60 cm., conservava i resti di strutture antiche
di epoche diverse. Mentre per quanto attiene ai ritrovamenti
depoca romana e postantica si rimanda alle schede relative
in questo stesso volume, per quanto riguarda lepoca
preromana sono state riconosciute due canalette di drenaggio con
orientamento N-S e alcune fosse, tra cui una trilobata e due
ovali di circa m.2 X 1 di ampiezza, contenenti terreno fortemente
organico, resti carboniosi e frammenti ceramici delletà
del Ferro. Gli scavi sono stati interamente finanziati dai
fratelli Mainolfi, proprietari dellimmobile, e affidati
alla Cooperativa AR/S Archeosistemi di Reggio Emilia, che ha
operato sotto la guida della dott. Anna Losi e la direzione
scientifica della scrivente.
Manuela Catarsi Dall'Aglio
2.7. S. Damaso, via Scartazza, cave SEL
Nellambito del progetto della Carta
Archeologica della provincia di Modena, coordinato dalla
Soprintendenza Archeologica dellEmilia Romagna e dal Museo
Archeologico Etnologico di Modena sono stati attivati alcuni
interventi di controllo archeologico preventivo. Tra questi si
segnala lintervento intrapreso nellarea della cava
SEL in località S. Damaso (MO), soggetta ad escavazione di
argilla fino alla profondità di m 10.
Larea della cava era già stata interessata da un
intervento di scavo effettuato nel 1986, che aveva permesso il
rinvenimento di scarichi di fornace del III-II sec. a.C., di una
strada romana e di un canale di età etrusca (Giordani 1988,
Labate 1988).
Nel giugno 1996 ha preso inizio l'intervento di indagine
preliminare, che attualmente ha coperto una superficie di circa
1,7 ettari su un totale di 6 ettari. Il metodo di intervento è
costituito dall'asportazione controllata dello strato arativo
fino allo strato alluvionale sottostante ove è possibile il
riconoscimento delle strutture archeologiche, che vengono in
seguito esplorate e documentate con indagini più approfondite.
I dati qui presentati sono ancora preliminari, ma degni di nota
per le caratteristiche di alcune strutture individuate (durante
le fasi di controllo) relative alla residua evidenza di una
paleoidrografia in parte naturale, in parte artificiale,
profondamente intaccata dalle arature.
Sono state individuate, inoltre, altre strutture di carattere
antropico, tra cui alcuni pozzetti, fosse con scarichi di
materiali e residui di focolari.
I materiali, nella maggior parte dei casi sono scarsi, ma
abbastanza significativi e determinanti per l'attribuzione
cronologica delle diverse strutture.
Le evidenze della paleoidrografia naturale e artificiale
consistono in due canali di origine naturale -di cui solo uno con
alcuni materiali che permettono una attribuzione cronologica- e
in quattro canalette a scopo irriguo databili alletà
etrusca o alletà romana.
Il canale naturale più meridionale (fig. 2, struttura 10) ha un
profilo abbastanza svasato con letto sabbioso sterile che indica
una discreta capacità di trasporto e chiuso da un tappo
argilloso contenente rari reperti ceramici ; la profondità
massima è, rispetto al piano di campagna, di circa 140 cm; il
percorso è leggermente curvilineo e lorientamento è
totalmente differente rispetto al reticolo centuriale. Il
materiale rinvenuto negli strati di riempimento permette di
datare la chiusura del fossato alla tarda età romana ; nel
riempimento sono presenti anche scarsi frammenti ceramici di età
etrusca.
L'altro canale (fig. 2, struttura 4) oltre ad avere una
profondità inferiore ed essere molto più svasato, è più
difficilmente riconoscibile in pianta rispetto al precedente; ha
un letto sabbioso meno marcato e discontinuo ed un percorso
irregolare curvilineo con un orientamento anch'esso in netto
contrasto con la centuriazione. Nella parte esplorata non sono
stati individuati materiali archeologici e non è possibile
pertanto ipotizzare alcuna attribuzione cronologica.
Delle quattro canalette artificiali prese in esame (e contenenti
materiali di interesse archeologico) la struttura 7 è databile
alletà romana in base ai materiali contenuti e
all'orientamento (circa 22° E) corrispondente alla centuriazione
di età romana, mentre le strutture 2 e 6-14 si distinguono
nettamente dalla precedente in quanto contenenti materiali di
età etrusca e aventi un orientamento diverso (circa 30° E)
rispetto alla centuriazione. Non è possibile datare con
precisione, per la scarsità dei materiali contenuti, la quarta
canaletta (fig. 2, struttura 18), attribuibile genericamente ad
un ampio periodo che dall'età etrusca giunge all'epoca romana.
Il suo orientamento invece sembra essere simile a quello delle
canalette 2 e 14.
Queste canalette hanno pareti generalmente abbastanza verticali,
sono conservate fino ad una profondità massima di circa 50 cm e
in un caso (struttura 18) solo fino a circa 10 cm; tutte le
canalette hanno un riempimento principalmente argilloso.
Le altre strutture individuate sono :
struttura19: grande fossa di epoca
romana a pianta circolare (diametro circa di 13 m) sezione molto
svasata profonda 180 cm e "lastricata" sul fondo da
frammenti ceramici, ciottoli e laterizi che occupano una area
approssimativamente circolare con un diametro di circa 180 cm;
struttura 3: pozzetto a profilo inizialmente ampio e
svasato, che dopo pochi centimetri diventa verticale, con una
profondità massima di 115 cm. A circa 95 cm di profondità è
stato rinvenuto uno strato di terreno arrossato dal fuoco, con
concotto, sovrapposto ad un terreno limo-argilloso giallastro;
all'interno di quest'ultimo, alla quota di 110 cm, sono stati
ritrovati un frammento di piastra forata in terracotta grigia con
tre fori disposti longitudinalmente sull'asse e una coppa a
vernice nera, databile al IV-III sec.a.C.;
struttura15: fossa a sezione lenticolare profonda circa 16
cm, a pianta approssimativamente piriforme contenente abbondante
ceramica di età etrusca (VI-V sec.a.C.) e presumibilmente
interpretabile come scarico;
struttura 8: depressione o prosecuzione verso sud del
canale 4 contenente materiali di età del ferro tra IV e III
sec.a.C..
Linteresse principale del rinvenimento è
costituito dalla presenza di canalette di età etrusca che
sembrano appartenere ad una sistemazione agraria con assi ad
orientamento ortogonale. Questa organizzazione del territorio
attestata già nel VI-V sec.a.C. è testimoniata anche in altre
località del modenese ed in particolare è molto simile alla
situazione riscontrata a Tabina di Magreta (Formigine MO)
(Cattani 1994). Un altro elemento di interesse è costituito
dalla ipotetica continuità di vita nellarea tra età
etrusca e prima colonizzazione romana, che testimonierebbe il
perdurare delle forme di occupazione del territorio.
Le operazioni di controllo e documentazione sono state affidate
alla cooperativa AR/S Archeosistemi di Reggio Emilia, sotto la
direzione della dott.sa Nicoletta Giordani della Soprintendenza
Archeologica dellEmilia Romagna.
Bibliografia
M. Cattani, Lo scavo di Tabina di Magreta (cave di via Tampellini) e le tracce di divisioni agrarie di età etrusca nel territorio di Modena, in Quaderni del Museo Archeologico Etnologico di Modena, Studi di Preistoria e Protostoria, 1 1994, pp. 171-205
Giordani N., S. Damaso (MO): un impianto agricolo - produttivo di età romana, in Muthina, Mutina, Modena. Modena dalle origini all'anno Mille. Studi di Archeologia e Storia I Modena 1988, pp. 496-512.
Labate D., Cava SEL: note topografiche, in Muthina, Mutina, Modena. Modena dalle origini all'anno Mille. Studi di Archeologia e Storia I Modena 1988, pp. 514-515.
Maurizio Cattani, Paolo Ferrari
In previsione della costruzione di un grande parcheggio
sotterraneo e a seguito di un sistematico accordo tra la
Soprintendenza Archeologica e il Comune di Bologna, tra il 1995 e
il 1996 l'area di Piazza Azzarita prospiciente il Palazzo dell
Sport è stata sottoposta ad una serie di sondaggi preventivi e
quindi ad un integrale scavo archeologico.
Le indagini hanno interessato un'area di oltre 3.000 mq,
consentendo di esplorare sistematicamente un interessante
contesto insediativo antico precedentemente indiziato da alcuni
rinvenimenti fortuiti di tombe villanoviane effettuati tra le vie
Lame e Calori. I lavori hanno anticipato o affiancato in modo
programmatico le opere del cantiere edilizio, a dimostrazione
dell'opportunità di dar seguito a quelle procedure di tutela
preventiva e di accertamento preliminare che da tempo la
Soprintendenza Archeologica attua in occasione di importanti
interventi costruttivi e infrastrutturali urbani e territoriali.
I resti archeologici, mediamente compresi tra i 2 e i 4 m di
profondità, erano prevalentemente costituiti da strutture di
tipo abitativo e sepolcrale databili tra l'VIII e il VI sec. a.C.
In particolare il settore meridionale dell'area ha evidenziato
numerose cavità associate a materiali di tipo villanoviano,
interpretabili come residui di apprestamenti insediativi ed
artigianali. Verso settentrione si estendeva invece parte di un
più vasto sepolcreto a rito misto, con una sessantina di tombe
di varia tipologia, dalle semplici inumazioni in fossa terragna o
cassa lignea alle più ricche cremazioni in grandi fosse
quadrangolari con rivestimenti o coperture in legno o ciottoli.
Di notevole interesse risultano sia l'osservazione di alcune
particolarità nelle procedure di seppellimento sia i caratteri
quantitativi e qualitativi dei corredi, di grande risalto
soprattutto nelle tombe ad incinerazione. Oltre alle più
consuete suppellettili fittili e metalliche, si segnala in
proposito la presenza di alcuni esemplari di ceramica attica
figurata della seconda metà del VI sec. a.C.
Tra il settore abitativo e quello cimiteriale erano presenti
fossati e strutture che perimetravano l'area funeraria,
costituendo al tempo stesso una probabile demarcazione dei limiti
dell'agglomerato abitativo dell'età del ferro, che qui trovava
il suo estremo margine settentrionale.
Importanti dati di ordine topografico sono scaturiti anche su
epoche più recenti, con l'individuazione di alcuni fossati e
canali che dall'età romana repubblicana alla rinascimentale
attraversavano l'area da ponente a levante, dirigendosi verso la
città dove dovevano assolvere importanti funzioni
infrastrutturali. Lintervento di scavo è stato attuato con
il sostegno della società concessionaria Bologna Parcheggi e
condotto dagli operatori della ditta Tecne.
Jacopo Ortalli
2.9. Marzabotto, Pian di Misano
Il programma di ricerca avviato nella città
etrusca a partire dal 1994 è stato impostato con la funzione di
una verifica conoscitiva del sistema urbanistico, finalizzata ad
un progetto di miglioramento della fruizione e del percorso
espositivo del parco archeologico.
Il lavoro è stato condotto nella prospettiva di una
collaborazione sempre maggiore con gli altri soggetti interessati
a questo territorio per motivi scientifici o per doveri di
gestione; in particolare prosegue il rapporto con il Dipartimento
di Archeologia dell'Università di Bologna, diretto dal prof. G.
Sassatelli, che continua lo studio e lo scavo sistematico in
regime di concessione nella regio IV, insula II;
contestualmente sta curando l'edizione critica integrale degli
scavi ottocenteschi e partecipa con la stessa Soprintendenza al
coordinamento di attività divulgative e promozionali. In questo
settore negli ultimi tempi si è affiancato l'interessamento del
Comune di Marzabotto e della Provincia di Bologna, che sulla base
di una convenzione stipulata con l'Ente di tutela stanno
contribuendo in maniera concreta ad un programma di promozione e
di informazione culturale.
La collaborazione con l'Ecole Française de Rome ha permesso di
avviare inoltre un piano di prospezioni geofisiche, già attuato
per le regiones I e, in parte, III, diretto dal prof. A.
Kermovant dell'università di Tours, che ha fornito ottimi ed
importanti risultati da discutere e verificare ancora in maniera
adeguata (Verger, Kermovant 1996) che permettono comunque di
cominciare a conoscere meglio l'area della città antica, in una
visione complessiva che comprende anche le aree non ancora
esplorate direttamente.
Le varie necessità operative hanno spesso richiesto la
collaborazione della famiglia Aria-Aroni, storica patrocinatrice
della riscoperta archeologica di Pian di Misano e già
proprietaria della vasta area ceduta allo Stato, che ha sempre
risposto con la cortese disponibilità cui è consueta e per la
quale è opportuno un pubblico ringraziamento.
La gestione dei vari interventi di scavo e di manutenzione è
stata resa possibile dalla partecipazione e dalla competenza del
sig. Sergio Sani, al quale è demandata da tempo la
responsabilità operativa nell'area archeologica e nel Museo. I
lavori sono stati condotti dalle ditte "Germani" e
"Archeosistemi" e le ricerche sul terreno sono state
seguite dai dott. M. Forte (acropoli, 1995), A. Losi, con la
collaborazione di S. Bellucci e R. Louta (acropoli, 1996-1997) e
D. Locatelli (fonderia, 1996). Il progetto di ricerca
archeometrica sui metalli e le analisi relative sono state
affidati al dott. L. Follo (1995-1997) e la realizzazione di un
rilevamento topografico, altimetrico e archeologico
informatizzato all'arch. N. Masturzo (1997).
Marzabotto, Pian di Misano - acropoli, edificio "E"
Le strutture emergenti dell'edificio
"E" dopo lo scavo effettuato intorno alla metà del
secolo (Vitali 1985) scorso presentavano forti condizioni di
degrado, determinate sia dalla crescita della vegetazione
spontanea, sia da un cedimento della parte muraria, prossima alla
scarpata meridionale dell'acropoli, fenomeno accentuatosi in
corrispondenza di due saggi archeologici praticati contro il lato
sud delle fondazioni negli anni cinquanta di questo secolo.
L'attenzione rivolta al monumento dipendeva anche dalla
necessità di una verifica conoscitiva, al fine di comprenderne
funzione e significato e studiarne l'inserimento più opportuno
nel percorso di visita.
Alle prime operazioni di pulitura e di riduzione del sottobosco
che aveva aggredito l'opera muraria è seguito un intervento di
scavo effettuato in due campagne successive (1995-1996), che ha
sortito risultati insperati; si è indagata una fascia
perimetrale a nord delle strutture conservate e un'ampia area
progressivamente estesa a meridione delle stesse, attuando
contestualmente un'operazione di contenimento e di addolcimento
del dislivello, che permettesse un ripristino statico delle
strutture conservate in alzato ed una loro migliore visibilità.
L'interesse maggiore è stato destato dalla scoperta di nuovi
settori delle fondazioni dell''edificio che ne permettono ora una
ricostruzione planimetrica più completa. Come è noto, la stessa
interpretazione delle murature sinora visibili era oggetto di
gravi e numerose incertezze, determinate anche dalla collocazione
in un'area di notevole dislivello altimetrico e dall'orientamento
adottato, sensibilmente diverso da quello degli altri monumenti
dell'area e divergente anche rispetto alla rete ortogonale
dell'insediamento. L'edificio era stato scoperto durante i lavori
di sistemazione della zona circostante la villa Aria, condotti
tra gli anni trenta e cinquanta del secolo scorso, in parte
certamente distrutto in quest'occasione ed in parte obliterato
dalla sistemazione di una delle strade che agevolavano la
percorribilità del parco all'inglese.
Nei lavori condotti è stata scoperta innanzitutto la trincea di
espoliazione, riconoscibile stratigraficamente, della parte
centrale del muro perimetrale orientale dell'edificio, di cui
rimaneva visibile una breve parte di spiccato presso l'angolo
nord-est; verso sud, oltre il ceppo di un albero di alto fusto
conservato nell'humus, l'asportazione ottocentesca di questa
fondazione aveva risparmiato i livelli inferiori e l'angolo
sud-est, ancora ben conservato ad una quota molto più bassa
rispetto alle altre strutture del lato settentrionale.
Proseguendo l'esplorazione è emersa per 13 m circa anche la base
della fondazione del muro meridionale, costruito, come il resto,
con ciottoli di varia pezzature grandi blocchi informi di origine
fluviale sistemati a secco in un banco di terreno argilloso. Il
nuovo settore individuato presenta inoltre una leggera rotazione
dall'asse est-ovest verso nord-est, sud-ovest, dovuta ad un
movimento franoso della pendice collinare che evidentemente è
interessata da uno slittamento in atto in questa direzione.
Sulla base dei nuovi rinvenimenti la planimetria ricostruibile,
di cui ora mancano elementi solo per il lato occidentale,
asportato completamente nei lavori di costruzione di un altro
percorso del parco, restituisce un edificio rettangolare che
veniva a costituire un terrazzo artificiale sopraelevato,
emergendo in un vero e proprio podio. All'interno di questo
perimetro, contro il muro di fondo, era sistemata una struttura
quadrangolare di cui restano anche parti dei lati est ed ovest,
quest'ultimo lungo circa 9 m all'epoca delle esplorazioni del
Gozzadini ed ora molto meno conservato. Tale elemento
planimetrico interno, con fondazioni poste più in alto di quelle
dei muri perimetrali del podio terrazzato, può essere
riconosciuto in una cella quadrangolare; è probabile che fosse
accessibile dal lato sud dal peribolo perimetrale, come gli altri
edifici templari dell'acropoli, mentre il raggiungimento della
terrazza del podio probabilmente doveva avvenire da est. In
questo modo si può ricostruire una tipologia planimetrica di
destinazione sacra già attestata in ambiente etrusco con diverse
realizzazioni, come per esempio nel tempio di Poggio Casetta a
Bolsena.
Scarsi sono gli elementi pertinenti alle parti alte della
struttura, forse realizzate in materiale deperibile (craticium
?) al di sopra della zoccolatura in pietra; un frammento di
antefissa dipinta a palmetta, tipo attestato anche negli scavi
ottocenteschi, non fornisce una documentazione sufficiente e non
presenta caratteristiche contestuali di attribuzione del tutto
sicure. I pochissimi materiali ceramici di impasto rinvenuti
negli strati tagliati dalla realizzazione del monumento inducono
a ritenere che la costruzione possa essere stata effettuata
ancora entro lo scorcio del VI sec. a.C.
Marzabotto, Pian di Misano - acropoli, plateia "B"
Lo scavo dell'edificio "E" e la
scoperta del suo lato meridionale hanno riproposto il problema
della fruibilità dell'area archeologica, anche in funzione del
recupero di un rapporto tra acropoli e abitato, e della
comprensione del carattere delle deroghe al rigido sistema
urbanistico adottato nella costruzione della città ortogonale.
La scarsa conoscenza della conformazione antica di questo
quartiere e dei sistemi di accesso all'acropoli rende
particolarmente difficile la progettazione di un percorso di
visita che permetta di restituire i lineamenti essenziali della
frequentazione antica.
Sulla base di queste istanze si è deciso di indagare anche la
parte immediatamente a meridione della fronte sud dell'edificio
"E", mettendo in luce il banco di terra argillosa
naturale, con le tracce degli interventi ottocenteschi effettuati
per l'asportazione dei materiali da costruzione, avviati su uno
scivolo e trascinati sul pendio con l'ausilio di un paletto di
cui si è ritrovata la traccia in negativo. Lo scavo è
proseguito più in basso con una profonda trincea per verificare
l'esistenza di opere di protezione muraria dell'altura
dell'acropoli e l'esistenza della plateia B sino a
quest'estremità occidentale dell'impianto urbano. Nel primo caso
le aspettative sono state frustrate dalla grave manomissione
ottocentesca dovuta alla costruzione di un fognolo di scarico
della strada che lambiva il limite sud della collina, mentre nel
secondo hanno avuto un esito positivo, in quanto è stato
rintracciato il piano stradale, affiorante a notevole
profondità, con un dislivello complessivo di circa 11 m rispetto
alla fondazione settentrionale dello stesso edificio
"E".
E' parso evidente, quindi, che in questo settore la strada non
forniva alcuna possibilità di accesso all'acropoli e che era
dominata dalla mole sovrastante dell'edificio monumentale; che la
sua larghezza di m 15 si manteneva esattamente fino al punto
indagato, dove sembra che subisse un'interruzione o un
restringimento, almeno nella sua porzione settentrionale; che
infine era necessario un elemento di difesa del dislivello
naturale, non individuato, ma che potrebbe essere attestato nelle
notizie di scavo ottocentesche, che segnalano in questa zona il
ritrovamento di un setto murario di 3 m di larghezza.
Al limite meridionale della sede stradale è stata ritrovata
inoltre la traccia stratigrafica dello scavo di una delle tombe
celtiche che si addensano in questa zona e sono tuttora segnalate
in superfice da una serie di cippi, in parte forse manomessi
rispetto alla loro collocazione topografica; sembra probabile,
quindi, che il sepolcreto si sviluppasse sul bordo del percorso
viario, forse in alcuni punti invadendone il marciapiede, ma
sostanzialmente forse rispettandone la sede carrabile, in una
zona che sembra immediatamente prossima alla fine o alla
modificazione suburbana dello stesso percorso stradale.
Marzabotto, Pian di Misano - acropoli, edificio "Y"
Uno dei settori meno noti dell'acropoli è
costituito dall'area a nord dell'edificio E, caratterizzata da un
innalzamento di quota sensibile che viene a costituire il punto
più alto dell'intera zona; l'interesse archeologico era già
stato verificato negli scavi ottocenteschi, quando era stata
individuata una struttura in calcare spugnoso, a quanto pare
scoperta solo per un breve tratto e utilizzata come cava di
materiale litico da reimpiegare nella villa Aria e nei restauri
degli altri monumenti dell'acropoli. Una volta reinterrata, se ne
era persa quasi completamente ogni documentazione e memoria,
lasciando in sospeso il problema della sua interpretazione.
Nel programma di recupero conoscitivo dell'acropoli, quindi, era
fondamentale effettuare una verifica archeologica anche in
quest'area, che è stata oggetto di uno scavo sistematico; al di
sotto dell'humus superficiale di circa 40/50 cm, sono apparsi i
resti di un rustico belvedere pertinente alla sistemazione del
parco ottocentesco, consistenti in una ringhiera semicircolare
prospettante verso sud-ovest, originariamente in paletti di legno
di cui sono stati individuati alcuni resti, il foro di
inserimento nel terreno ed il rincalzo in mattoni di recupero. Al
di sotto si sono scavati strati di rialzamento della quota di
calpestio naturale, realizzati con terreno di riporto, che hanno
mostrato come il piano di campagna attuale fosse in gran parte di
formazione artificiale e finalizzato appunto alla creazione del
belvedere, basandosi su un'altura originariamente molto più
modesta.
I livelli stratigrafici precedenti agli interventi ottocenteschi
si sono rintracciati ad 1.50 m ca al di sotto del piano di
campagna, consistenti in un banco di terreno giallastro argilloso
in alcuni punti con affioramenti di ghiaie ; a questa quota è
stata subito riconosciuta un'unità stratigrafica negativa, ben
presto rivelatasi come parte degli scavi di espoliazione
ottocenteschi. All'interno di questa trincea, con un andamento
non completamente regolare e con estensioni verso nord dovute
anche alla creazione di uno scivolo per l'asportazione del
materiale da reimpiegare, è stata individuata la struttura
muraria antica, consistente in un muro di circa 13 m di lunghezza
nella parte scavata, con ammorsamenti costruiti e collegati che
si addentrano verso sud per 1,50 m circa, inserendosi in un
terrapieno antico, artificiale, consistente in livelli di terreno
argilloso grigiastro alternati a sottili strati di calcare
sbriciolato, realizzati di pari passo con la messa in opera delle
assise della muratura.
Questa presenta una fondazione in ciottoli di m 1,30 di
profondità, scavata nel banco naturale della collina, su cui si
imposta un alzato in opera quadrata, con blocchi di calcare
spugnoso di ca. 0,30 m di altezza, accostati a formare con la
loro lunghezza, circa 1 m, lo spessore del muro. Questo viene ad
addossarsi e a sostenere il terrapieno a sud, cui si è fatto
riferimento, rimanendo visibile solo sulla sua facciavista
settentrionale, quella più curata.
Lo scavo non è ancora terminato, ma dagli elementi finora
recuperati è evidente, quindi, che si tratta di un terrazzamento
monumentale della pendice nord-ovest dell'acropoli che determina
un dislivello di almeno 2 m sostenuto dall'opera quadrata, per un
numero complessivo di almeno 6/7 filari (di cui 4 ancora in
situ nel punto più conservato). E' probabile che questa
struttura potesse essere la zoccolatura di una parte più alta in
terreno argilloso compattato e armato in legno, lo stesso
materiale che sembra aver obliterato in seguito la monumentale
sostruzione. La funzione può essere stata duplice, in quanto
utile alla creazione di un terrazzo verso sud, ma sfruttabile
anche come elemento difensivo perimetrale dell'acropoli; solo il
prosieguo delle ricerche in questo ed in altri settori della
città antica potrà chiarire l'impegno della comunità etrusca
di Marzabotto nella realizzazione di un sistema murario con
funzioni strategiche.
Per quanto riguarda la cronologia, sembra che la sistemazione
rinvenuta, frutto di un unico intervento costruttivo, debba
essere posta nel V sec. a.C., forse entro la prima metà dello
stesso, ma solo il completamento della ricerca sui materiali
ceramici rinvenuti nel terrapieno potrà confernare l'ipotesi
sinora avanzata.
Enzo Lippolis
Marzabotto, Pian di Misano - città bassa, interventi diversi
Nel resto dell'insediamento sono stati
effettuati pochi interventi di limitata estensione.
Nella regio I, insula 5, in seguito alle
prospezioni geo-fisiche condotte da A. Kermovant che hanno
suggerito a S. Verger la possibilità di identificare una nuova
struttura templare all'incrocio nord-est tra le plateiai A
e B (Verger, Kermovant 1996), nel 1994 in un programma di ricerca
congiunta tra Soprintendenza per i beni archeologici dell'Emilia
Romagna, Ecole Française de Rome e Dipartimento di Archeologia
dell'Università di Bologna, sono stati effettuati alcuni
sondaggi. Questi hanno confermato la corrispondenza delle
anomalie rilevate strumentalmente con fondazioni murarie sepolte
e hanno mostrato l'esistenza di un estensivo riporto di terreno
argilloso finalizzato al rialzamento e al livellamento dell'area.
Su questa base nei prossimi anni si verificherà la possibilità
di una collaborazione per l'indagine su questo settore, che
comincia a rivelare un particolare interesse urbanistico, al fine
di accertare la destinazione del quartiere ed in particolare
dell'edificio la cui esistenza è stata ipotizzata.
Jacopo Ortalli
Nella regio V, insula 5, è stato
riaperto lo scavo della cd. fonderia, al fine di integrare il
riesame del materiale e dei problemi del vecchio scavo in
occasione del lavoro di dottorato di ricerca di D. Locatelli,
intervento di cui è già apparsa più ampia segnalazione in
questa stessa rivista (Locatelli 1997).
Nella regio V, sul ciglio meridionale verso il Reno, il
dilavamento prodotto dalle acque meteoriche aveva messo in luce
in sezione la traccia dei livelli incassati di frequentazione di
una probabile capanna anteriore all'organizzazione urbana
dell'insediamento. Considerando le particolari condizioni di
giacitura e la necessità di includere lo scavo di questo
rinvenimento in un'esplorazione più ampia e sistematica, si è
proceduto per il momento alla ricopertura del pendio esposto e ad
una sua armatura provvisoria con una barriera lignea interrata.
Nella necropoli orientale, infine, è stato condotto un
intervento di ripulitura e restauro dei sepolcri a cassa litica,
con risarciture funzionali al ripristino della sistemazione
ottocentesca dell'area monumentale.
Bibliografia
Locatelli 1997: D. Locatelli, Nuove ricerche sulla fonderia di Marzabotto (Regio V, insula 5), in Archeologia dell'Emilia Romagna, 1997 I, 1, pp. 53-62.
Verger, Kermovant 1996: S. Verger, A. Kermovant,
Vitali 1985: D. Vitali. 4.10 L'acropoli di Marzabotto, in Santuari di Etruria, a cura di G. Colonna, Milano 1985, pp. 88-92.
Enzo Lippolis
2.10. Marzabotto, Regio IV, insula 2.
Gli scavi del Dipartimento di Archeologia
dellUniversità degli Studi di Bologna nella città etrusca
di Marzabotto che si sono susseguiti tra il 1993 e il 1996
allinterno della casa di testa dellIsolato 2 della
Regione IV hanno avuto come obiettivo principale
lesplorazione del settore meridionale di questo edificio,
oggetto di indagini a partire dal 1988.
Durante i primi cinque anni di scavo era stata messa in luce la
porzione nord-orientale della casa, caratterizzata da un
corridoio dingresso (fig. 1, H), affacciato, a N, sulla plateia
B e collegato, alla sua estremità meridionale, con unarea
cortilizia glareata di forma rettangolare; da due vani lunghi e
stretti (fig. 1, A e I), addossati al muro perimetrale nord
delledificio e probabilmente aperti verso la strada; da
altri sei ambienti (fig. 1, B, C, D, E, F, G), di forma e
dimensioni diverse, disposti lungo il suo limite orientale e
infine, da due zone, poste rispettivamente a N e a S del cortile,
destinate ad unintensa attività artigianale, legata alla
produzione ceramica. Nellarea a settentrione del cortile
erano state infatti riportate alla luce due vasche di tegole,
utilizzate per la lavorazione dellargilla, insieme ad
alcuni invasi relativi a fornaci smantellate in antico, mentre
nel settore posto a sud dellarea cortilizia erano stati
individuati i resti ben conservati di due fornaci a pianta
rettangolare e un grande invaso quadrangolare, forse destinato
alla raccolta dellacqua piovana. Di tutte queste strutture
è già stato dato ampio ragguaglio in una precedente nota.
Nei mesi di giugno e luglio del 1993 lo scavo ha interessato sia
larea centro-occidentale delledificio, sia la sua
estremità N-O, fino al limite costituito dal taglio per la
costruzione della strada statale Porrettana.
Nel primo settore, immediatamente a nord del vano O, sono stati
individuati quattro invasi intersecantisi, relativi ad alcune
fornaci realizzate in momenti successivi (fig. 2). La prima
struttura, di forma rettangolare e allungata in senso E-O, era
stata originariamente utilizzata come fornace, poi, in seguito
allo smantellamento dei suoi apprestamenti interni, era stata
convertita in buca di preparazione del combustibile destinato
allalimentazione di un nuovo forno, costruito più ad
ovest, sullo stesso allineamento del precedente. Del secondo
forno, a pianta ovale, rimanevano sia la camera di combustione,
ancora parzialmente rivestita da lastre di argilla concotta, sia
limboccatura, rinforzata da un grande orlo di dolio. Un
gruppo di strutture recenziore, disposto in direzione N-S, si era
quindi sovrapposto alle prime, tagliando lestremità O
dellinvaso più occidentale. Esso comprendeva, a nord, una
piccola fornace a pianta circolare con imboccatura rettangolare
e, poco più a sud, una buca piriforme, che costituiva molto
probabilmente il prefurnio della precedente.
Nellestremo settore N-O della casa è stata invece
rinvenuta una terza vasca di tegole, del tutto simile alle due
scoperte negli anni 1990-91 e da esse topograficamente poco
distante.
Nel 1994 si è proceduto allampliamento dello scavo verso
S, con lo scopo di verificare leventuale continuazione, in
direzione ovest, del grosso muro portante individuato nelle
scorse campagne di scavo e interpretato come limite meridionale
della Casa 1. La completa esplorazione della parte
sud-occidentale delledificio ha permesso tuttavia di
constatare come tale muro si interrompa dopo circa 17 m e pieghi
ad angolo retto verso S, dando luogo ad un ampio spazio
rettangolare, occupato dai vani O e P, entrambi privi di una
struttura muraria di chiusura sul lato meridionale. E
perciò probabile che questi due ambienti costituissero una vasta
area aperta, pressoché priva di strutture interne, frutto di una
risistemazione dellintero settore S-O delledificio,
in funzione delle esigenze dettate dalle attività produttive che
si svolgevano al suo interno. I particolari caratteri
planimetrici di questa zona sembrano quindi ulteriormente
accentuare la destinazione artigianale della Casa 1, già del
resto evidenziata dai precedenti ritrovamenti, a scapito della
sua funzione residenziale.
Nello stesso anno sono stati anche interamente esplorati i
quattro vani indicati in pianta con le lettere T, U, V e Z (fig.
1), tutti delimitati a N dal muro sopra descritto. La loro
particolare conformazione non permette di escludere
lipotesi che si tratti di ambienti già appartenenti
alledificio adiacente, verso S, alla nostra casa.
Le campagne di scavo del 1995 e del 1996 hanno concentrato
lattenzione soprattutto sullindagine dello stenopos
occidentale dellisolato. La massicciata stradale, messa in
luce per un tratto di circa 6,50 m di lunghezza in senso N-S e
per tutta la sua larghezza (5 m), presentava una superficie in
leggera pendenza da S verso N e da O verso E. Ai lati era
costituita da ciottoli di piccole dimensioni, disposti in modo
uniforme, mentre al centro la ghiaiatura era sostituita da una
sorta di spina di rinforzo, composta da diversi allineamenti
molto compatti di ciottoli di grandi e medie dimensioni, atta
forse a conferire al piancito un andamento convesso. Lungo il
lato orientale della massicciata è stata anche individuata una
canaletta di scolo delle acque, costruita contemporaneamente alla
strada, mediante il posizionamento di una fila di grossi ciottoli
a circa 30 cm dal muro perimetrale della casa. E inoltre
apparso chiaro come la massicciata fosse stata alloggiata al di
sopra di uno strato piano di terreno di preparazione, steso per
rendere uniformi gli avvallamenti del sottostante terreno
vergine.
Lulteriore ampliamento dello scavo verso S, ha infine
portato alla scoperta di due enormi buche ovoidali, luna
consecutiva allaltra in senso est-ovest, da mettere
probabilmente in relazione con le attività artigianali sopra
menzionate.
Contemporaneamente al procedere degli scavi è inoltre proseguito
lo studio dettagliato dei numerosi materiali finora rinvenuti,
oggetto di molte tesi di laurea che hanno preso in esame
lintera zona a tuttoggi esplorata.
Tra i ritrovamenti più significativi meritano una particolare
menzione due nuove iscrizioni di possesso, entrambe incise su
ceramica di produzione locale e recanti un gentilizio, una delle
quali, di prossima pubblicazione, riveste una particolare
importanza per la comprensione dei rapporti commerciali tra
lEtruria tirrenica e il comparto transappenninico.
Marinella Marchesi
2.11. Savignano sul Rubicone, loc. S. Giovanni in Compito, Via Montilgallo
In località S. Giovanni in Compito, presso
Savignano sul Rubicone (Fo), non si era mai avuta
lopportunità di effettuare scavi sistematici nonostante i
numerosi rinvenimenti archeologici avvenuti nella zona,
considerata, tra laltro, sede di una mansio romana.
Assume quindi rilevanza lindagine effettuata tra
lestate e lautunno 1995, sui lotti di proprietà
Teodorani (fig. 1). Con tale intervento si è però potuta
scavare soltanto una parte dei resti archeologici individuati;
può comunque affermare che larea presenta una cospicua e
lunga frequentazione, con testimonianze che vanno dalletà
del ferro a quella bizantina.
Le prime tracce antropiche individuate risalgono alletà
del ferro e testimoniano la presenza di unarea produttiva
costituita da dieci fornaci per ceramica (tre per ora quelle
scavate), con camera di combustione circolare e prefurnio (vedi
fig. 3), a cui sembrano collegarsi buche per lalloggiamento
di pali e due canalette strutturali, elementi che paiono indicare
una complessa organizzazione di questarea artigianale. Ai
margini dei lotti indagati, due cavità di forma sub-ellittica
sembrano riferibili a fondi di strutture insediative.
Notevoli sono i resti di età romana, momento in cui larea
si configura come un crocevia: una strada inghiaiata che andava a
confluire ad angolo acuto nella via Emilia, edificazioni in
prossimità di essa ed una necropoli afferente alla più grande
arteria. La strada glareata, di epoca repubblicana, conservatasi
per ca. m 60, è composta prevalentemente da ciottoli di piccole
e medie dimensioni, su cui si notano profondi solchi carrai ed
interventi di ripristino; ai lati le canalette di scolo hanno una
larghezza di ca. m 1.30. Resti di una fondazione in frammenti di
tegole con pezzame laterizio ed argilla tra le alette corrono
parallelamente alla canaletta posta a nord. Gran parte di questa
fondazione risulta spoliata, ma il suo tracciato si segue lungo
quasi tutto lasse viario. Altre fasi edilizie sono
testimoniate da fondazioni, in frammenti laterizi e in ciottoli,
aventi una diversa orientazione.
Il sepolcreto di età romana, solo parzialmente scavato, presenta
in prossimità della via Emilia un addensamento ed un disporsi in
modo organico e regolare delle tombe: si tratta di incinerazioni
(dodici sono quelle individuate, soltanto due quelle scavate) con
combustione, almeno parziale, in fossa, riferibili alletà
repubblicana e protoimperiale. Di età imperiale sono, invece, le
ventuno sepolture ad inumazione scavate (una decina deve essere
ancora indagata); tale rito è testimoniato da differenti
tipologie tombali: fossa semplice, cassa lignea, cappuccina,
anfora per gli infanti.Non tutte presentano il corredo funebre,
ma alcune hanno restituito oggetti di un certo pregio.
Soltanto una piccola fornace per ceramica è per il momento
riferibile con certezza alletà bizantina: ha forma
circolare con un breve prefurnio. Al suo interno sono stati
rinvenuti frammenti ceramici con tracce di invetriatura.
Molte sono le evidenze archeologiche ancora da scavare; tra
queste vari fossati, buche strutturali ed una vasta cavità,
probabilmente effettuata per lestrazione di argilla in età
protostorica. Lo scavo si rende ancor più necessario per una
più corretta datazione di tali evidenze, in quanto le arature
moderne hanno asportato i piani di frequentazione, portando alla
stessa quota altimetrica unità stratigrafiche risalenti ad età
cronologicamente lontane tra loro.
In ogni modo, seppure parzialmente intaccati dalle arature
moderne e da recenti lavori edili, i resti archeologici
conservati al Compito sono di notevole interesse dato che
sottolineano la consistente frequentazione della zona
nelletà del ferro, ma soprattutto sembrano confermare che
larea era, in età romana, una zona di passaggio e di sosta
(mansio), collegata quindi alla viabilità e ai mercati.
Lindagine archeologica è stata effettuata dalla società
Tecne s.r.l. sotto la direzione scientifica di Maria Grazia
Maioli.
Antonella Cennerazzo