Il ritrovamento di una fornace da calce a Sala Baganza, nel parmense

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La calcara a fine scavoLa costruzione di una fornace da calce era in genere abbastanza semplice ed economica: si scavava nel terreno una buca piuttosto profonda e la si foderava di pietre refrattarie.
Più costoso e complicato farla funzionare. L’utilizzo prevedeva un gran consumo di legna (oltre 100 mc ) in quanto la cottura della calce avveniva a fuoco lento e durava all’incirca una settimana. Anche il suo caricamento comportava tempi piuttosto lunghi perché bisognava reperire le pietre calcaree a grana fine da spaccare e disporre ad arco all’interno del forno stesso, che veniva infine sigillato con altre pietre. Come detto, la cottura durava all’incirca una settimana, dopo di che bisognava aspettare che il forno si spegnesse e raffreddasse prima di estrarre la calcina così ottenuta. Era questa una “calce viva” che, per essere utilizzata, doveva prima essere “spenta” con l’aggiunte di acqua, un procedimento delicato e pericoloso per lo sprigionarsi di gas venefici.
La fornace da calce di età medievale rinvenuta nella primavera 2004 a Sala Baganza non sembra discostarsi da questa descrizione tipo.
La successione stratigrafica ha evidenziato il normale deperimento di una struttura, abbandonata e parzialmente demolita per cessazione d’attività, utilizzata inizialmente come buca di scarico ed infine, completamente obliterata.
Anche se la produzione di calce non esigeva necessariamente maestranze specializzate e spesso costituiva una delle prestazioni d’opera cui erano tenuti i contadini nei confronti del signore o della parrocchia, generalmente la presenza di calcare è legata a cantieri edili complessi e costosi, legati a “progetti” importanti. La sua datazione e la presenza nei pressi del toponimo “Chiesa vecchia” ci porta ad ipotizzare possa trattarsi del cantiere legato proprio a questo edificio -citato come “Capella de Sala” in una bolla di papa Innocenzo II datata 11 novembre 1141 e trasformatosi nella “Ecclesia Sancti Stephani de Salla”, delle Rationes Decimarum del 1299- che sarà la parrocchiale del paese fino al 29 aprile 1684. A partire da questa data, le funzioni di Chiesa parrocchiale passeranno all’oratorio di San Lorenzo annesso al convento dei frati agostiniani, fatto costruire qualche centinaio di metri più a sud dal Conte Giberto I.

Ubicazione della calcara rispetto alla località “Chiesa vecchia”Le indagini archeologiche sono state effettuate preliminarmente alla costruzione di un Centro dialisi che servirà, oltre al Comune di Sala Baganza, quelli di Calestano, Collecchio e Felino. L’importante struttura sanitaria sorge in Via del Mulino a ridosso del crinale orientale della ruga collinare, tra l’attuale Chiesa del paese e la località “Chiesa vecchia”, nel luogo dove si trovava l’antico cimitero. Gli scassi realizzati per gettare le fondazioni di questa nuova costruzione non hanno però intercettato tombe (rimosse ormai da tempo) bensì un’antica calcara.
Lo scavo archeologico è stato realizzato tra i mesi di aprile e maggio 2004 dalla Società Tecne s.r.l. (responsabile di cantiere dott. Cristina Anghinetti) sotto direzione scientifica della Dott.ssa Manuela Catarsi Dall’Aglio, funzionario della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna. Al termine dei lavori la calcara è stata protetta e reinterrata; la sua conservazione non ha pregiudicato la realizzazione del Centro Dialisi anche se ha comportato una piccola modifica progettuale su indicazioni dell’arch. Luciano Serchia, della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le Province di Parma e Piacenza.

 

Breve descrizione dello scavo a cura di Manuela Catarsi e Cristina Anghinetti
I lavori di scavo archeologico hanno permesso di determinare come la struttura presentasse una pianta circolare e che di essa si conservavano solo gli anelli basali di una camicia in ciottoli, che in origine dovevano risalire fino al piano di calpestio, come dimostrava l’impronta arrossata formatasi a causa della presenza del forte calore, per uno spessore di circa 20 cm, nel terreno circostante e corrispondente resto dell’alzato.
A contatto di questa superficie, con la sola eccezione del lato Est, dove si conservavano cinque filari in più, una camicia circolare (diametro interno m. 4,70, spessore cortina ca. 50 cm) formata da grossi ciottoli cementati disposti per lo più orizzontalmente in filari pseudorettilinei (da 4 a 6) a corsi alternati, presentava una cortina con tessitura uniforme, ottenuta grazie alla martellinatura delle superfici per formare piani d’attesa regolari, rincalzati nelle fessure da materiale a pezzatura minuta.
Tra la camicia e il taglio di messa in opera (diametro m 6,40), ricavato a risega nel banco naturale del terreno, l’eventuale vuoto residuo era colmato con un’inzeppatura non apparecchiata, formata da ciottoli allettati in un terriccio molto depurato e plastico, in seguito arrossato e cotto per il calore.

La calcara al momento della scoperta dopo una pulizia preliminare
La calcara al momento della scoperta dopo una pulizia preliminare

Particolare della tessitura di rivestimento in pietre refrattarie della calcara
Particolare della tessitura di rivestimento in pietre refrattarie

L’accuratezza posta nella realizzazione delle pareti verticali era inoltre evidenziata dal fatto che nei punti in cui il taglio aveva prodotto, a seguito dell’asportazione dei ciottoli contenuti nel banco naturale del terreno, la formazione di incavi, era stato steso uno strato d’intonacatura in argilla senza inclusi, atta ad uniformare la superficie del taglio stesso.
La camicia si appoggiava al fondo, piano e ricavato sempre tramite il taglio a risega, uniformato anch’esso grazie ad un sottile livello di argilla plastica, depurata, gressificatasi a seguito della cottura.
Su questo fondo lo scavo aveva portato in luce un livello in carbone e calce disciolta in cui si deve riconoscere l’ultima fase d’uso della struttura, sicuramente preceduta da altre fasi d’utilizzo, come testimoniato da un blocco di calce rifusa, a contatto diretto con la camicia, coperta dallo strato di carboni. La rimozione di questo blocco evidenziava infatti nelle superfici sottostanti, sia della camicia sia nel fondo, evidenti tracce di cotture prolungate antecedenti al “carico” di calcare in cui era incluso il blocco stesso.
La fase di abbandono appariva, infine, formata dal sovrapporsi di strati in una alternanza di livelli che attestavano una formazione in parte naturale (livelli in concotto, calce e terriccio,) in parte artificiale (scarichi in ghiaia e terriccio).
I primi sembravano scivolati prevalentemente dal margine Nord, dove la calcara si conservava per un’altezza minore; era inoltre evidente come negli strati in concotto fossero riconoscibili i collassamenti dell’impronta arrossata della calcara, mentre i livelli con calce sciolta si riferissero al probabile scivolamento, colluviale, del suolo allora circostante all’interno della struttura.
Nei livelli, artificiali, di scarico, in cui una costante notevole rimaneva la percentuale e la dimensione dei ciottoli, si osservava invece una potenza molto superiore e un’estensione considerevole. Proprio nel primo strato rigettato nella fornace, a seguito della sua dismissione, in cui si notavano i resti della camicia della calcara collassati (pietre di grandi dimensioni, con tracce di lavorazione e una sola superficie cotta, praticamente trasformata in calce) emergevano infine gli unici elementi datanti dello scavo: frammenti di mattone pieno, fatto a mano in forma di legno e rifinito con lisciatura manuale, le cui dimensioni, integre (individuabili solo parzialmente data la frammentarietà degli esemplari venuti in luce: largh. cm 10/10,30; spessore cm 6/6,5) sono riconducibili alle dimensioni del mattone di Parma nel Medioevo.

Bibliografia
Pietro BONARDI, Pizzichi di Sala, in “Per la Val Baganza 2005", p. 76
Antonio SCHIAVI, La Diocesi di Parma, Parma 1925, p. 54