Le indagini archeologiche hanno evidenziato tre fasi di insediamento: la prima attribuibile all’Età del Bronzo Medio, Recente e Finale (XVII–X secc. a.C.), la seconda all’Età del Ferro di facies etruscopadana e poi di facies ligure (V–III secc. a.C.), e un'ultima di età medievale, testimoniata dall’imponente fortilizio tuttora ben individuabile (in superficie ed elevato) alla sommità (X–XII secolo).
La prima individuazione del sito avvenne maggio 1993 nel corso di una ricerca di archeologia di superficie volta a indagare i territori appenninici delle Valli Baganza, Parma, Enza, situati nelle Provincie di Parma e Reggio Emilia. Da allora, e fino al giugno 2006, l’area è stata oggetto di sistematiche ricerche di superficie che hanno recuperato migliaia di reperti archeologici, prontamente consegnati al Museo Archeologico Nazionale di Parma.
Tra quelli rinvenuti nel giugno 2006, figuravano in particolare tre oggetti che, per tipologia, apparivano incompatibili con la datazione della copertura del terreno, verosimilmente attribuibile a sbancamenti di epoca medioevale, ma in realtà contenente i resti -sbancati nel Medioevo ma riposizionatisi lungo i versanti- di un importante villaggio dell’Età del Bronzo, di facies terramaricola.
I tre reperti, una rondella di cranio umano, un frammento di femore e una grande fibula intatta di tipo certosa, appartengono infatti ai decenni centrali V secolo a.C. Sono stati trovati (vicini tra loro) presso un curioso rigonfiamento del terreno cosparso di pietre squadrate e clasti informi, su un pianoretto reso ormai quasi impercettibile dalla copertura del terreno costituita dagli spostamenti di terra preliminari alla costruzione e all’impianto delle strutture castellane, databile, in base agli scarsi materiali, al X-XII secolo.
Si è quindi ipotizzato che un aratro avesse intaccato strutture funerarie di inumati etrusco padani in giacitura primaria (cioè nel luogo originario di sepoltura) ed è stato effettuato un intervento di emergenza volto al recupero di un eventuale sepolcro dell’Età del Ferro, scavo che si è svolto dal 24 luglio al 5 settembre 2006.
La campagna di scavo ha intercettato un’area sacra a destinazione funeraria databile all’Età del Ferro (V secolo a.C.).
La sua interpretazione ha dovuto tenere conto di un differimento diacronico degli eventi.
In un primo tempo, una comunità “etrusca padana” imposta su un pianoro di mezza costa un’area destinata a necropoli, sostenuta da un grande muro di terrazzamento e con tombe indicate da segnacoli tipo stele aniconica. Il suolo del pianoro (oggi sepolto) viene tagliato dalla fondazione di uno spesso muro di contenimento del terrazzo che dà al pianoro stesso, una volta terrazzato, quella forma delimitata e preordinata necessaria alla realizzazione di una necropoli al suo interno. Di tale necropoli rimangono due sepolture di inumati.
Contemporaneamente, o poco dopo, su quest’area si inseriscono elementi archeologici di facies ligure, rappresentati dal grande residuo dei roghi funebri (ustrinum), anch’esso individuato: ciò indica che i Liguri mantengono la destinazione funeraria del sito, pur epurandolo dai caratteri etruschi sia abbattendo i segnacoli che depredando le tombe da essi indicate.
Il successivo crollo del grande muro della necropoli sul suolo calpestato indica una fase di defunzionalizzazione della necropoli, ma in un contesto ormai tardo di riutilizzo dello stesso crollo allo scopo di ricavare entro esso una sepoltura ad incinerazione con cista litica di tipo ormai del tutto ligure.
La fine della vita nel sito è evidenziata da uno strato di terreno (livello di colluvio pedogeologico) scivolato per effetto delle piogge e agenti naturali sull’intero contesto stratigrafico della necropoli etrusca e ligure.
Unicamente i butti a contenuto di Età del Bronzo obliterano in maniera ormai del tutto irriconoscibile forma e assetto originario del pianoro e della sua necropoli.
La sepoltura di inumato parzialmente asportata dall’aratro: nella parte
superiore lo scheletro è in parte disarticolato per la caduta di un segnacolo
nella tomba
L’intervento di scavo archeologico, finanziato in due tranches dal Comune di
Lesignano De’ Bagni, è stato effettuato a Monte La Pila, nella media vallecola
del Torrente Termina di Torre, in Bassa Val d’Enza (Provincia di Parma).
L’indagine archeologica ha interessato il versante sud-est del colle,
intercettando una necropoli dell’Età del Ferro di facies etruscopadana e ligure.
Sono stati impostati due saggi separati, denominati “Saggio Sepolcreto” e
“Taglio Monte Scavo”.
Il settore del “Saggio Sepolcreto” è stato aperto con l’obiettivo di recuperare
l’eventuale sepoltura intaccata dall’aratro. È stato subito individuato il
residuo del grande muro che costituiva il muraglione di terrazzamento che
sosteneva la necropoli -dunque parzialmente monumentalizzata- e che
probabilmente riadatta artificialmente a grande pianoro di mezza costa il
pianoretto naturale originario. Oltre alla sepoltura di inumato parzialmente
asportata dall’aratro (nella parte superiore lo scheletro è parzialmente
disarticolato per la caduta di un segnacolo spezzato dentro la tomba, peraltro
senza corredo), è stata trovata un’altra sepoltura di inumato.
La seconda sepoltura di inumato: la parte alta del riempimento e parte del
cranio sono stati asportati dall’aratro. Frustuli di bronzo attestano anche
l’asportazione di almeno un oggetto
Il crollo del muraglione è attestato da un enorme ammasso di rovine litiche
che ricopre direttamente il paleosuolo ed ha in superficie frammenti ceramici di
facies ligure databili al tardo IV secolo a.C.
È dunque la mancanza di manutenzione della struttura muraria a causarne il
crollo in un periodo, oltretutto, in cui l’insediamento è ancora in funzione.
All’interno del crollo del muro è stata anche individuata una struttura a scopo
funerario a cista litica che testimonia come genti di facies ligure, cui è da
riferire la sepoltura ad incinerazione, popolino ancora il sito. La necropoli,
forse entro il tardo III secolo a.C., appare ancora in corso di utilizzo, ma
nell’ambito complessivo di una sua progressiva ed anzi avanzata
defunzionalizzazione. La cista infatti è priva dell’urna o cinerario, forse
depredata già in antico per lo scarso interramento del sepolcro.
C’è poi un livello pluristratificato ricco di grossi frammenti di carbone, sassi
piatti bruciati al fondo come per creare una sorta di superficie solida,
concotti e frammenti di ossa umane semicombuste. Ha avuto un utilizzo prolungato
ed è il residuo della pira o rogo funebre dei Liguri incineratori, in
Letteratura anche detto Ustrinum; a conferma esso appare colmo di
frammenti di olle liguri, sovente utilizzate in Liguria quali cinerari. E’
dunque posteriore alla fase ad inumati della necropoli.
Il tutto è ricoperto da un colluvio naturale marnoso che ricopre tutta la
necropoli dopo l’abbandono, e che ha preservato le massicciate, le strutture e
le sepolture fino a poco tempo fa.
Il paleosuolo ha restituito reperti delle Età del Ferro e del Bronzo. Nel
livello denominato ustrinum sono stati trovati frammenti di ossa umane
semicombuste e di olle di facies ligure.
Il saggio del “Taglio Monte Scavo” è stato effettuato nella linea di caduta che
ricopre la necropoli con lo scopo di sondare la profondità dei butti antichi e
recuperare i materiali archeologici dell’insediamento abitativo dell’Età del
Bronzo situato un tempo in zona sommitale.
Anche se tale profondità non è stata raggiunta è stata trovata una serie di
butti artificiali sovrapposti aventi nell’insieme grande potenza, per ora di
circa due metri. Il saggio ha restituito unicamente reperti dell’Età del Bronzo,
un fattore che testimonia la mancanza di strati dell’Età del Ferro in quella
particolare zona dell’altura.
Dal settore “Taglio Monte Scavo” si evince poi che il settore occidentale del
pianoro/necropoli viene interessato, presumibilmente nel corso del Medioevo, da
una serie di butti di terreno archeologico a stratigrafia due volte rovesciata e
che quindi partendo dalle fasi più recenti dell’Età del Bronzo arrivano fino a
quelle più antiche in profondità.
Direttrice
Dott.ssa Maria Bernabò Brea
Equipe di scavo: Dott. Leonardo De Marchi e Dott. Filippo Olari (Studio
Associato di Archeologia Globale), Andrea Capecchi, Matteo Fornari, Francesco
Garbasi, Ilaria Zinelli e Enrico Ravaneti (studenti collaboratori volontari),
Antropologa Dott.ssa Giuliana Pagni (Antropologa dell’Università di Pisa)
Bibliografia
DE MARCHI L. 2003 – Archeologia della preistoria tra Parmense e Reggiano. L’Età
del Bronzo nelle Valli Parma, Enza, Baganza. Parma, 2003.
DE MARCHI L. 2005 - Archeologia globale del territorio tra Parmense e Reggiano.
L’Età del Ferro nelle Valli Parma, Enza e Baganza tra civilizzazione etrusca e
cultura ligure. Parma, 2005.