Le cinque stele e gli oltre 200 reperti rinvenuti nelle due campagne di scavo testimoniano il processo di romanizzazione del territorio deltizio avvenuto secondo il disegno dell’antica rete idrografica in cui si inserisce il ritrovamento di Gambulaga. Attraverso gli oggetti che costituivano i corredi delle sepolture emergono evidenti i segni del vivere di un’intera civiltà, con i propri usi e consuetudini, in cui la quotidianità si intreccia al mito e ai simboli millenari che rappresentano l’umano desiderio di immortalità.
La stele che L. Fadienus Agilis, Marci filius, unito nella sepoltura ad Atilia Felicia, Cai liberta, dedica al figlio L. Fadienus Actor, morto all’età di 17 anni
Le stele funerarie che accolgono i visitatori con i ritratti dei defunti, le intense iscrizioni e le varie simbologie dei miti offrono elementi per contestualizzare il complesso dei ritrovamenti. Lo spazio espositivo è stato progettato in modo da riproporre il più possibile il contesto e l’impressione che doveva cogliere il viandante che, quasi 2000 anni fa, percorresse la linea tracciata dalle stele, fedelmente collocate all’interno delle sale così com’erano poste in origine ai margini della strada, come sono state ritrovate.
Per aiutare ulteriormente il visitatore ad orientarsi all’interno della struttura della necropoli, una mappa dello scavo, disegnata sul pavimento, mostra i rapporti tra la collocazione delle stele e le diverse sepolture ad esse riferite, collocate negli spazi immediatamente retrostanti. Nelle numerose vetrine sono poi esposti i corredi funerari, distinti per ciascuna tomba (12 in tutto) individuata nel corso degli scavi. Il luogo da cui provengono le lapidi funerarie è compreso nella possessione Santa Caterina, un poco a nord est della Delizia del Verginese, lambito un tempo da un ramo del Po: un territorio, quello di Gambulaga, ben noto alla letteratura specialistica. Alla casuale scoperta di ben tre stele, risalente all’autunno del 2002, seguì una breve e incompleta indagine archeologica nel corso della quale vennero alla luce non tre bensì quattro basamenti allineati, una quarta lapide rovesciata al suolo accanto alla propria base e alcune tombe. La prima a essere innalzata fu la stele di Caius Fadienus, Cai filius, e di Ambulasia Anucio, Marci filia, cui seguì quella sulla cui epigrafe Fadienus Repentius, Cai filius, e Cursoria Secunda, Luci filia, piangevano la prematura scomparsa di Caius Fadienus Vegetus morto a 21 anni. Il monumento di C. Fadienus e di Ambulasia Anucio, come avviene nelle restanti lapidi, è ricavato da un blocco di calcare di Aurisina e presenta il lato posteriore sbozzato. Un poco più piccola è la lapide posta dai genitori a C. Fadienus Vegetus, con i busti drappeggiati dei tre personaggi -gli adulti sopra e il giovane sotto- in due nicchie rettangolari dal fondo ricurvo in alto. Terza nel tempo viene la stele di Marcus Fadienus Massa, Cai filius, e di Valeria Secunda, Quinti filia. Nello specchio epigrafico che separa la nicchia con i busti dei due sposi dal riquadro sottostante che rappresenta a basso rilievo un cavallo al passo volto a destra, è impaginato un testo con cui è proprio Marcus che si rivolge di persona al lettore e viandante:
M(arco) FADIENO C F(ilio) CAM(ilia)
MASSAE PATRI
VALERIAE Q(uinti) F(iliae)
SECVNDAE MATRI
M(arcus) C(aius) L(ucius) FILI FECER(unt) Ave, M(arce)! / Legisti, viator, nomen in titulo meum: / memoria(m) (h)abeto esse hanc mortalem domum Valete ad superos, vivite vita(m) optima(m) / ego vixsi qua et potui quad modum volui bene / dedi qui volui, non dedi qui nolui / si quis me accusat veniat mecum dis-putet. / Vale, M(arce)! ST |
Al padre Marco Fadieno Massa, figlio di Caio, della tribù Camilia, e alla madre
Valeria Secunda, figlia di Quinto fecero i figli Marco, Caio e Lucio. Ave o Marco! - Tu, viandante, hai letto il mio nome nell'iscrizione: ricorderai che questa è una dimora mortale; statemi bene voi che siete nel mondo, vivete una vita ottima; io vissi bene per quanto ho potuto e come ho voluto; ho dato a chi ho voluto, non ho dato a chi non volli; se qualcuno mi accusa, venga e discuta con me. Stammi bene, o Marco! |
L’epitaffio è dotato di una parte metrica che riecheggia non tanto le concezioni filosofiche che erano appannaggio dei circoli epicurei, quanto un sentire comune che, almeno a partire dal I sec. d.C., era entrato in gran parte della società. Le espressioni con cui il testo si chiude esprimono, da parte di M. Fadienus Massa, il vanto di essere stato coerente con i propri principi, non distanziandosi troppo da formule autocelebrative note altrove. Per ultima viene la stele che L. Fadienus Agilis, Marci filius, unito nella sepoltura ad Atilia Felicia, Cai liberta, dedica al figlio L. Fadienus Actor, morto all’età di 17 anni. Il giovane stringe nelle mani un rotolo e una penna e porta un anello al mignolo della mano sinistra. Il busto è al centro di un clipeo (in questo caso, una sorta di conchiglia scanalata) solcato da modanature sul cui margine posa una corona di foglie con bacche, un fiore al centro in alto e nastri svolazzanti sotto, un simbolo che allude alla vittoria sulla morte. Soltanto nella seconda campagna di scavo fu trovata la quinta stele dedicata dai genitori L. Pompennius Placidus, Caii filius, e Fadiena Tertia, Caii filia, al figlio Pompennius Valens, anch’egli scomparso prematuramente all’età di 23 anni. Il rapporto di parentela tra i personaggi, quale lo possiamo ricavare dai testi delle stele, si articola su 4 generazioni: i genitori, i figli e i nipoti. Alla famiglia parrebbero non essere stati estranei legami con elementi celtici posti con il cognomen Massa e il nome Ambulasia, se è dato di riconoscere in quest’ultimo un suffisso giustappunto celtico e se, di conseguenza, entrambi i nomi possono ritenersi indizi di un substrato che -per il vero- nel delta affiora grazie a non molti elementi, uno dei quali (la dedica votiva alle Iunones da Codigoro, una pluralità di divinità femminili) ha carattere cultuale. Una famiglia certo benestante per la quale l’esistenza di M. Fadienus Massa segna un periodo di affermazione economica e sociale. Accanto al suo nome vi è l’indicazione della tribù di appartenenza e la moglie è della gens Valeria. Oltre alle stele funerarie, vere 'star' della mostra, sono visibili gli oggetti di corredo che rappresentano un patrimonio di informazioni particolarmente ricco per la conoscenza nei primi secoli dell’impero romano. Il materiale esposto, di grande interesse, presenta materiali fittili e svariate monete che hanno permesso di datare la necropoli dall'età giulio-claudia agli inizi del II sec. d.C.; è anche esposta una rara raccolta di vasellame di vetro finemente lavorato (eccezionale per l'integrità del materiale, oltretutto rarissimo nel territorio ferrarese), alcuni manufatti di bronzo, i finimenti di un cavallo e offerte quali datteri e fichi.
La mostra è completata da pannelli informativi sui costumi dell’epoca, dagli abiti alle acconciature; presso il book shop sarà a breve disponibile un catalogo scientifico curato dalla Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna. L’iniziativa è promossa dal Comune di Portomaggiore, dalla Pro Loco di Portomaggiore e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, con il contributo della Provincia di Ferrara e del Lions Club Ferrara Europa ed il patrocinio della Regione Emilia-Romagna.
La Delizia Estense del Verginese Originariamente casale di campagna, il Verginese fu trasformato in residenza ducale nel primo Cinquecento da Alfonso I d’Este e donato a Laura Eustochia Dianti. Alla morte del Duca, la dama vi si ritirò facendone la sua piccola corte privata e ne ordinò la ristrutturazione, eseguita in primis da Girolamo da Carpi. Questi configurò il castello come un edificio a pianta rettangolare e a due ordini, delimitato da quattro torri merlate e a pianta quadrata. A lato è posta una piccola chiesa settecentesca, unita all'edificio tramite un portico, anch'esso della stessa epoca. L'interno venne decorato a partire dal XVIII secolo con stucchi, fiori in stile liberty a tempera, conchiglie, rosoni, volute e spesse cornici che delineano soffitti. La vicina torre colombaia è un residuo delle pertinenze originariamente poste intorno alla delizia e risale al XVI secolo.