Poche luci, molte ombre, una sola certezza: i resti di tre corpi fatti a
pezzi, tre teschi e poco altro, una ferocia inaudita, nessuna pietas.
Inutile appellarsi a presunte esecuzioni capitali. Secondo Gianfranco Purpura,
docente di diritto romano all'Università di Palermo, nessuna legge romana avrebbe
mai consentito uno scempio così efferato dei cadaveri, ancorché condannati a morte.
Non resta dunque che la giustizia privata, fosse quella di un dominus che
massacra i suoi schiavi per dare pubblica lezione ai servi o l'esito di una
faida fra gens del territorio.
Trucidati, fatti a pezzi ma non solo. Mancano così tante parti dei tre corpi da
poter pensare di tutto: dove sono finite? sono state gettate o sono andate in
pasto agli animali?
Quel che resta dell'oltraggio giaceva da due millenni sotto una coltre di fango.
C'era un canale, qui, 2000 anni fa, realizzato a margine della città per
irrigare i campi, c'era acqua corrente e in abbondanza.
Facile nascondere i resti in fondo al canale, ricoprendoli con pietre per
impedirne la risalita.
Sono rimasti a macerarsi per parecchi decenni,
spolpandosi ben bene: lo dicono le ossa, levigate dallo scorrere dell'acqua.
Poi
sono iniziate le alluvioni, il canale si è riempito di fango, una e più volte,
strato sopra strato, come in una torta millefoglie.
Fino alla macabra scoperta della fine di settembre, durante gli scavi
preliminari alla costruzione di uno stabile
Nota preliminare degli archeologi Donato Labate e Francesco
Benassi
A est di Modena, lungo la via Emilia, tra San Lazzaro e Fossalta, nel
corso dei lavori per la realizzazione di un interrato, sono emersi a due metri
di profondità i resti di una necropoli e di un antico fossato di età romana.
Le
indagini archeologiche, dirette da Donato Labate e Luca Mercuri della
Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna, e condotte sul campo
da Francesco Benassi, della ditta ArcheoModena, sono finanziate da Livio
Schiatti, proprietario dell'area su cui sorgerà una concessionaria.
La necropoli, che fiancheggiava l'antica via Emilia, ha restituito alcune tombe
a incinerazione e i resti di un monumento funerario spogliato in antico dai
marmi che lo adornavano. Del monumento si sono conservati soltanto alcuni
frammenti di colonne ioniche, di capitelli corinzi, di cornici e di un lastra
figurata che rappresenta una ninfa, tutti elementi che concorrono a definire la
tipologia del monumento del tipo "a edicola", datandolo tra il I sec. a.C. e
l’inizio del secolo successivo.
Al momento sono state scavate soltanto due tombe del tipo ad incinerazione, che
hanno restituito urne cinerarie e alcuni elementi di corredo, quali balsamari in
vetro e i resti di un letto funerario in osso, anch'essi databili allo stesso
periodo.
Il rinvenimento più singolare è da riferire alla presenza, in un ampio
canale, di tre corpi maschili appartenuti a due adulti e a un ragazzo. I corpi
si presentano con orrende mutilazioni e sembrano essere stati sistemati nel
fondo del canale contestualmente al decesso.
Del corpo riferibile a un giovane di 16-20 anni si conserva soltanto il bacino e
le due gambe divaricate: manca tutta la parte superiore del corpo mentre un
cranio, forse dello stesso individuo, è stato rinvenuto tra le gambe dello
stesso e con esso le braccia. Sulle gambe è stato possibile osservare dei tagli,
uno obliquo e piuttosto profondo, l’altro lungo circa 1 cm con profili netti
Il secondo individuo, un adulto di circa 30 anni, presenta le braccia incrociate
dietro la schiena, evidentemente legate insieme all'altezza dei polsi: è privo
di tutta la parte inferiore del corpo, compreso il bacino.
Del terzo individuo, un giovane adulto di 18-25 anni, si conserva soltanto la
testa, parte della spalla e di un arto superiore.
Non è possibile stabilire se le mutilazioni siano la causa della morte; in ogni
caso lo smembramento non può essere avvenuto molto tempo dopo, vista la
connessione anatomica dei corpi.
I resti dei tre corpi smembrati e occultati nell'antico fossato romano (Foto
Paolo Terzi 2011 ©)
La datazione del contesto è ascrivibile a un periodo non più antico del I
secolo a.C. e non superiore al I sec. d.C. Tale datazione è suggerita dai
materiali rinvenuti sopra gli scheletri: mattoni modanati e scialbati
(appartenenti a un casello o a un monumento funerario di età repubblicana) e
frammenti di anfore Dressel I la cui produzione inizia nel I sec. a.C.
Non è possibile stabilire le cause di un intervento così efferato sui corpi dei
giovani personaggi. Sembra da escludere la possibilità che si tratti di
un’azione su corpi di defunti appena seppelliti in quanto il rito funerario
documentato nell’area della necropoli è quello a incinerazione, diffuso in quel
momento.
Da escludere anche l’ipotesi che si tratti di proscritti in quanto, tra le parti
dei corpi conservati, figurano le teste. Ai proscritti si poteva tagliare la
testa il qualunque luogo si trovasse il condannato e sotto la dittatura di Lucio
Cornelio Silla si stabilì una ricompensa per ogni testa di proscritto. Una
vittima illustre delle proscrizioni del 43 a.C., emanata dai triumviri
Ottaviano, Marco Antonio e Marco Emilio Lepido, fu il famoso Marco Tullio
Cicerone, la cui testa fu esposta sui Rostri a Roma.
Neppure può trattarsi di condannanti alla pena capitale: in questo caso le
teste sarebbero state esposte come monito e i corpi non sarebbero stati sepolti ma
gettati in fosse comuni, simili a grandi immondezzai.
L’ipotesi più probabile è che possa trattarsi di una esecuzione di schiavi,
giustiziati dal proprio dominus per dare una lezione ai restanti servi, oppure di una vendetta privata
tra diverse gens, con uccisione, smembramento e occultamento dei
corpi.
"L'ipotesi che si tratti di un omicidio efferato è certamente plausibile
-commenta il Prof. Gianfranco Purpura, docente di Diritto Romano all'Università
degli Studi di Palermo. Tra l'altro la prossimità della città, lungo la pubblica
via, induce a supporre gravi ed incontrollati disordini. Una più precisa
determinazione dello scarto di quasi un centinaio di anni, dall'avvento di
Cesare a quello di Vespasiano, potrebbe forse meglio contribuire a chiarire la
vicenda. Anche se nel testo di
Y. Thomas, Du châtiment dans la cité: supplices corporels et peine de mort
dans le monde antique, si parla di romani "cacciatori di teste" e altre
atrocità, non v'è dubbio che la legge romana e la coscienza sociale del tempo
rigettassero già pratiche antichissime (ad es. Mezio Fufezio), che potevano
connettersi alla distruzione dell'immagine e del corpo dell'individuo o alla sua
riduzione post mortem allo stato di larva. A tale riguardo può essere
utile l'articolo di Jobbé-Duval, Les morts malfaisants. Larvae, Lemures d'après
le droit et les croyances populaires des romains. Per gli schiavi,
considerati non "persone" ma "cose", il discorso avrebbe potuto esser
diverso, ma già provvedimenti di Claudio (ad es., le Leges Petroniae de
servis, che vietavano di mandare ad bestias gli schiavi guariti dopo un
abbandono) e le celebri valutazioni di Seneca sugli schiavi denotano
atteggiamenti molto più umani.
Dunque -conclude Purpura- tutto finora parrebbe indirizzare verso un atto
illegale di eccezionale gravità."
La Soprintendenza non esclude di richiedere l'intervento dei RIS di Parma per
ulteriori analisi sui resti rinvenuti
Due dei tre crani rinvenuti (Foto
Paolo Terzi 2011 ©)
Nota preliminare dell'antropologa Vania Milani
Nel sito archeologico in via Emilia est/angolo via Pica, durante lo
scavo di un canale databile al periodo romano, sono stati rinvenuti resti
scheletrici, la cui deposizione isolata è singolare per la modalità di
sepoltura.
La sovrapposizione parziale dei cadaveri ha posto difficoltà alla lettura del
contesto in oggetto.
Coperture laterizie coprivano parte dei corpi.
La presenza di cadaveri incompleti, ma per la maggior parte in connessione, ha
posto subito dei dubbi sulla natura della sepoltura, che non rispettava il
tipico rituale inumatorio. Sono stati messi in luce distretti scheletrici
appartenenti a più individui, in base al conteggio delle teste (due crani e un
calvario), tre maschi di cui un adulto e un giovane adulto (uno tra i 24- 30
anni, l’altro tra i 18- 25 anni) e uno juvenis (tra i 16-20 anni).
Lo scavo ha mostrato alcune posizioni anomale. Un inumato scomposto presentava
in connessione solo gli arti inferiori divaricati e flessi sul ginocchio, con
gambe incrociate l’una sull’altra; nello spazio interno creato dalla posizione
dello scheletro appendicolare si trovava un cranio e due arti superiori completi
con gomiti flessi in perfetta connessione anatomica, allontanati l’uno
dall’altro.
L’altro corpo formato da cranio e post-craniale superiore è posto di lato. La
positura contratta del cadavere è stata verificata dalla evidente torsione della
colonna vertebrale, che si interrompe all’altezza della settima toracica. In
questo caso si è distinta la posizione degli arti superiori che, spostati dietro
il torace si sovrappongono destro su sinistro come se fossero stati legati
dietro la schiena.
In posizione prona il terzo inumato che si compone di testa, in appoggio sul
lato s., spalla e arto superiore s. incompleto.
In corso di scavo è stato possibile osservare delle lesività a carico delle ossa
delle gambe, una orientata obliquamente e piuttosto profonda, l’altra lunga
circa 1 cm con profili netti. L’assenza di reazioni infiammatorie nelle parti
conservate indicano che gli eventi traumatici sono stati subiti o peri mortem o
subito dopo.
Sebbene lo stato di conservazione non abbia permesso ulteriori osservazioni, si
può ipotizzare che i corpi presenti abbiano subito un azione antropica piuttosto
violenta, che potrebbe essere stata anche causata dello smembramento dei
cadaveri subito dopo la morte.
L'antropologa Vania Milani esamina uno dei tre crani rinvenuti (Foto
Paolo Terzi 2011 ©)
Per approfondimenti sul diritto romano
Y. Thomas, Du châtiment dans la cité: supplices corporels et peine de mort
dans le monde antique, Volume 79 di Collection, École Française (Roma) ÉCOLE
FRANÇAISE DE ROME. 1984
Jobbé-Duval, Les morts malfaisants. Larvae, Lemures d'après le droit et les
croyances populaires des romains, in Revue Historique de Droit Francais et
étranger, 1923, pp. 344-384 e pp. 554-596