Bastiglia (MO)
L’ancora a rampino di età moderna rinvenuta nel fiume Secchia

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L'ancora a rampino rinvenuta nel 1977 nei pressi di BastigliaNell’estate del 1977 un gruppo di abitanti di Bastiglia cultori di storia locale si imbatterono casualmente nei resti seminterrati di “una imbarcazione ornata di borchie di ottone", lungo la sponda ovest di un'ansa del fiume Secchia. L'imbarcazione, messa in luce da una fase di magra, fu allora datata al XVIII.
Poco lontano affiorava un'ancora a quattro marre, anch'essa probabilmente databile agli inizi del XVIII secolo, rivelatasi poi l'unico reperto recuperato.
Nelle righe che seguono vi raccontiamo la loro storia

Situato nella media pianura modenese, il comune di Bastiglia è compreso a ovest e a est tra le aste dei fiumi Secchia e Panaro. La scarsità di rinvenimenti archeologici dal territorio, risalenti principalmente all’epoca romana e medioevale, è imputabile alle forti coperture alluvionali del Secchia in epoca medievale che hanno sigillato le testimonianze antiche anche a notevoli profondità.
Bastiglia rientrava nel territorio di pertinenza della colonia di Mutina come attestano, oltre ai rinvenimenti archeologici, anche alcune persistenze della centuriazione e dati toponomastici.
Alla fine dell’epoca romana, la monumentale rete infrastrutturale costituita dalla centuriazione, strettamente legata alle opere di irreggimentazione idrica del territorio, priva di regolare manutenzione venne cancellata da ripetuti episodi alluvionali. Di conseguenza, la scelta degli insediamenti andò a cadere su luoghi rialzati e dossi fluviali che costituivano un riparo naturale ai fenomeni di tracimazione, cosa che avvenne anche per il nucleo più antico di Bastiglia.
A partire dal IX e X secolo e, per il territorio di Bastiglia, soprattutto nel XII secolo, su impulso dei principali centri cittadini -in questo caso Modena- vennero scavati nuovi canali di bonifica e nuove vie d’acqua che consentivano di raggiungere il Po per l’inserimento nei traffici commerciali con Ferrara e Venezia.
Data probabilmente al XII secolo la realizzazione del Naviglio che, attraverso Bastiglia e Solara, giungeva sino a Finale Emilia e a Bondeno per poi gettarsi nel Po.
Sul corso del canale sorgono importanti presidi difensivi, tra i quali il borgo fortificato della Bastiglia (attestato dal 1354) e numerosi impianti di trasformazione delle materie prime tra cui i mulini (famoso quello a sedici macine di Bastiglia, unico per importanza di tutto il territorio modenese).
Nel XV secolo il Naviglio rappresenta ormai il principale asse commerciale della città di Modena, fattore che favorisce la nascita di Società d’Arte legate alla navigazione fluviale.
Nel 1567 viene istituita la congregazione dei Barcaroli della Bastiglia, “che presentò nuove regole e capitoli per la ricostruzione dell’Arte, stabilendo prezzi per i noleggi e tariffe per il trasporto merci”. I trasporti, guidati da paroni (dal veneto paròn = padrone, col significato di “conduttore”), avvenivano su vari tipi di imbarcazione: burchi e burchielli (di piccola stazza), monare o alibi o santinone (per il trasporto della farina), barlotte (a fianchi tondi), bastarde (a prua tonda e poppa appuntita) e bucintori (utilizzati anche per trasporto dei passeggeri).
È in questo vivace e variegato contesto che si inserisce il rinvenimento cui si è accennato all'inizio. Gli escursionisti, abitanti del luogo, incapparono nei resti di “una imbarcazione ornata di borchie di ottone le cui misure sono di circa 7 metri di lunghezza e forse più e di un’ancora poco lontano“.

Disegno dell'ancora a rampino di BastigliaL’ancora è realizzata in ferro forgiato, pesa circa 125 Kg ed è in buono stato di conservazione.
A differenza di molte altre ancore simili, l’ancora di Bastiglia si distingue per alcuni particolari che al momento non trovano confronti. Il fuso o asta (lungo m 1,54) è perfettamente dritto; ha una sezione quadrangolare (cm 4,02 x 5,02 alla sommità) che aumenta progressivamente alla base, in prossimità di quello che può essere definito il “diamante” (cm 5,05 x 6,02). Il fuso è impreziosito da spigoli rientranti ai quatto angoli.
Alla sommità del fuso si trova l’“occhio” nel quale è inserita la “cicala“, un grosso anello in ferro su cui era fissato o uno spezzone di catena legato a sua volta a una corda oppure solo la corda.
Nella parte opposta sono presenti le “marre” terminanti con le “patte”, alette di forma romboidale.
L’ancora nel suo complesso non risulta particolarmente usurata e ciò fa ipotizzare un suo utilizzo in acque interne e in una imbarcazione di rappresentanza che l’equipaggio era solito ormeggiare alla banchina facendo ricorso all’ancora solo di rado. Il fuso non presenta distorsioni o abrasioni particolari, l’anello e l’occhio non denunciano eccessivi segni di sfregamento così come le marre e soprattutto le “alette o patte”, in genere abrase o distorte proprio in conseguenza della loro funzione.
L’ottimo stato di conservazione è certamente imputabile anche alla qualità del materiale utilizzato e alla perizia dell’artigiano che ha saputo sapientemente lavorare il metallo nella fase di forgiatura.

Per questo tipo di ancora non esiste una tipologia standardizzata: le ancore a quattro marre, proprio in virtù della realizzazione artigianale, variano di peso e forma. 
Documentato già nel 1595 -nella Chiesa del Carmine a Venezia il monumento funebre di Jacopo Foscarini “Generale del Mar”  raffigura alcune galee in navigazione dotate di ancore a quattro marre- l’uso di questo tipo di ancora data probabilmente a un'epoca ancora più antica.
A partire dal XV secolo, nel reticolo della navigazione interna, si inserirono opere di ingegneria idraulica come i navigli e le conche. Oltre al Secchia e al Panaro, anche la storia della conca di Bastiglia, oggi interrata per fare spazio alla piazza principale, è legata al passaggio di barche quali burchi, gabarre, sandon, burchielli e rascone cioè le imbarcazioni che utilizzavano questo tipo di ancora.
Lo sviluppo della manifattura nautica dà vita a nuovi mestieri: falegnami, maestri d’ascia, calafatai, cordaioli o funai, fabbri, sono tutti artigiani legati in qualche modo alla realizzazione di imbarcazioni. Proprio ai fabbri sono  commissionate tutte le componenti in ferro, tra cui anche l’ancora.

La forma del “grappino o rampino” era già nota in epoca romana per l’abbordaggio di navi nemiche: in ferro forgiato e di ridotte dimensioni, era utilizzato per il recupero delle ancore o di altri oggetti caduti in acqua. Diverse sono le tipologie di rampino, come ad esempio il “luf” (in dialetto mantovano = strumento formato da più rampini a tre punte variabili nelle dimensioni uniti fra loro, oppure da un rampino singolo). Da qui il passo per la realizzazione di un’ancora a quattro marre è breve.
Un altro tipo di rampino è quello impiegato sulle zattere come ancorotto, attestato dal XII secolo nella navigazione lungo l’Adige, utilizzato per recuperare i tronchi e all’occorrenza come ancora. La forma di questo ancorotto, di piccole dimensioni, consiste in un fuso centrale in legno e quattro corti bracci ricurvi con punte in ferro acuminate fissate insieme da quattro grossi chiodi.
I fattori che hanno determinato la fabbricazione di questo particolare tipo di ancora sono principalmente la sua evoluzione dai rampini stessi da cui prende il nome nonché la sua facilità di realizzazione.
Nel corso del tempo le ancore a rampino sono state realizzate in varie grandezze e modelli, a seconda della stazza della barca. L’ancora di Bastiglia, come detto, per le sue dimensioni faceva certamente parte della dotazione di una barca di rango, non utilizzata per il trasporto delle merci.

Particolare dell'orcio e dell'anello   Particolare di una delle patte
Da sinistra: Particolare dell’orcio e dell’anello e particolare di una delle patte

Esistono svariate tipologie di ancore a quattro marre, con caratteristiche costruttive a volte singolari a seconda del paese di origine.
Le fonti riferiscono che sulle barche da fiume le ancore di questo tipo potevano essere più di una. La più pesante e di maggiori dimensioni era collocata solitamente a prua, dove era presente talora un piccolo argano a palo per il suo recupero; una seconda ancora di riserva, di minori dimensioni, era collocata a poppa. A bordo delle Galee veneziane erano addirittura presenti sei esemplari di ancora a rampino: due a prua, due a poppa e due di riserva.
Ancora nel 1800 le prime imbarcazioni in ferro spinte da motori a vapore che navigavano dal Ticino al Po per raggiungere l’Adriatico utilizzavano ancore a quattro marre, come illustrato in un dipinto realizzato da F. Trecout della fine dell’800.
L’utilizzo e la produzione di queste ancore è proseguito fino a quando è esistita la navigazione fluviale, ovvero fino a poco dopo l’ultimo conflitto mondiale, per tutti gli anni 50 ed i primi anni 60 del ‘900.
Per quanto le strutture tradizionali risultino più o meno compromesse nella loro identità e funzione, le specificità dei luoghi dove si è svolta la vicenda della navigazione interna e dei suoi artefici appaiono ancora oggi riconoscibili. L’epopea delle grandi e scure barche nella Pianura Padana offre significative opportunità di indagine e studio sul passato per riscoprire le profonde relazioni che legano paesaggio e memoria.

Battello a vapore Contessa Clementina 1800