La planimetria urbana di Marzabotto è un chiaro esempio di fondazione
etrusco ritu, cioè di città delimitata e disegnata come proiezione terrena
del templum celeste, così come prescritto dall’etrusca disciplina. È
lampante l’esistenza di un vero e proprio piano urbanistico, elaborato
teoricamente e concretamente applicato al terreno con un’unica operazione e in
un solo momento, coincidenti con la fondazione della città, perlomeno nelle sue
linee essenziali.
La
conferma definitiva è venuta dal ritrovamento, tra il 1963 e il 1965, di quattro
ciottoli di fiume infissi nel terreno vergine, di cui uno inciso sulla sommità
con una croce orientata secondo i punti cardinali. Si tratta del decussis,
un cippo ricco di valenze simboliche che attesta che, proprio in quel punto, gli
officianti addetti alla divisione della città definirono i principali assi
stradali. Il cippo con decussis è il segno materiale che Marzabotto fu
fondata seguendo le meticolose disposizioni previste dal rito di fondazione
delle città etrusche, rito che prevedeva la ripartizione preliminare dello
spazio urbano, inteso come proiezione sul terreno dell’ideale templum
celeste.
Gli aùguri cominciavano col delimitare una porzione di cielo consacrata
proprio in funzione del rito (e definita con il termine significativo di
templum) all'interno della quale trarre gli auspici dedotti dal volo degli
uccelli che la attraversavano, dai fenomeni meteorologici che in quel perimetro
potevano verificarsi, o da altre manifestazione considerate provenienti dalle
divinità.
Erano poi individuati il centro della città stessa e delle principali direttrici
viarie scavando fosse in cui venivano deposte offerte e sovrapposti cippi che
fungevano sia da punti di riferimento che da luoghi sacrali.
Veniva poi tracciato con un aratro dal vomere di bronzo un solco continuo che
disegnava il perimetro delle mura, interrotto solo là dove si sarebbero aperte
le porte delle città; il solco diventava subito linea inviolabile per tutti gli
uomini e attraversarlo equivaleva ad attaccare la città. Lungo tutto il
perimetro delle mura correva inoltre, tanto all'esterno quanto all'interno,
un'ampia fascia di terreno (il pomerium) che non doveva essere né
coltivata né edificata e che era dedicata alla divinità. Una solenne cerimonia
di sacrificio inaugurava la città così prefigurata.
La fondazione di Roma a opera di Romolo e Remo così come ce l'hanno tramandata
le leggende è un'applicazione puntuale del rito etrusco: i gemelli che osservano
il volo degli uccelli per decidere chi dei due dovesse dare il nome alla città,
il solco tracciato da Romolo, l'uccisione di Remo che, saltando all'interno del
perimetro, profana i sacri confini e ''invade" la nuova fondazione.
Sintesi da "Marzabotto una città etrusca" a cura di Elisabetta Govi, Ante Quem 2007, pp. 9-13
La sostanziale coincidenza tra la geometria del "templum solare" del
luogo e l'impianto ortogonale della città etrusca di Marzabotto, propone il tema
della forte ispirazione ideologica e religiosa che sarebbe all'origine del piano
di fondazione. Questa ispirazione, basata su un principio di analogia tra forma
urbana e modello cosmologico, consente di affermare che esistesse un ordinamento
logico nella disposizione delle diverse sedi cultuali della città, una regola da
cui si possono estrarre i fondamenti concettuali del rito augurale e della
limitatio urbana della tradizione etrusco-italica.
L'alba e la nascita del nuovo giorno dovevano essere eventi carichi di
significati rituali, collegati alla capacità di cogliere i segni rivelatori
della volontà divina nell'istante in cui l'astro solare solca la linea
d'intersezione tra il cielo, la terra e il mondo infero. L'istante della levata
eliaca è una condizione sospesa, ambigua, è il "varcare la soglia" di quella
particolare "terra di nessuno" che è la sottile linea di confine entro cui cielo
e terra si stringono idealmente in un abbraccio. La linea immaginaria in cui
cielo e terra si incontrano altro non è che l'eterno "limite" che sempre ci
precede, muovendosi con noi, "lo stretto e ambiguo passaggio tra il rimanere
nascosto e lo svelarsi". Il sorgere o il tramontare di un astro poteva dunque
assumere sia il senso di un reale evento critico del quale il numero forniva una
misura più o meno precisa, sia una funzione rappresentativa per l'atto che
ricorre in tanti miti, realtà o racconti fantastici, e che si chiama
semplicemente "varcare la soglia". A quegli istanti e a quelle direzioni si
associava l'apertura in terra dei cancelli del cielo e quella degli antri
abissali del mondo dei morti. La nuova fondazione, configurata sulle linee e
sulle proporzioni di quella figura, sarebbe dunque sorta sotto l'auspicio del
perpetuarsi di quell'unione e ad essa gli Dei avrebbero garantito durevolezza,
fortuna e dominio.
La nascita del giorno era dunque un evento carico di particolari valenze
sacrali. Il punto di stazione in TSE (Tramonto Solstizio d'Estate) era scelto in
posizione elevata e dominante rispetto al luogo dove doveva essere fondata la
città, perché doveva garantire ampia padronanza visuale sia sul pianoro
sottostante sia sull'orizzonte su cui sarebbe sorto il sole. In quel punto era
predisposto il punto d'osservazione stabile da cui attendere l'alba nel giorno
stabilito. Da quel luogo, rivolgendosi a est, si fissava il punto sull'orizzonte
da cui sorgeva l'astro: questa mira, traslata e materializzata sul pianoro
sottostante, avrebbe impostato l'altro estremo dell'asse diagonale in ASI (Alba
Solstizio d'Inverno)
Il rito ruotava su alcune circostanze chiave: l'annuncio che il rito si sarebbe
svolto in un giorno stabilito; la salita a un luogo elevato con ampia visuale
sull'orizzonte e sul piano di fondazione; l'orientazione verso il quadrante est;
il passaggio dalla notte al giorno nell'attesa dell'alba; l'attenzione verso un
preciso punto dell'orizzonte; la fissazione su quel punto di un orientamento.
I partecipanti stanziavano sempre in un luogo elevato in attesa dell'alba. Lo
stesso termine Templum è associato all'idea di elevatezza, di altura,
un'accezione che si precisa ulteriormente nella funzione della contemplatio,
"il gesto dell'augure era accompagnato dal suo sguardo che abbracciava l'intera
vista della città e della campagna al di là di essa; "contemplandola" egli
riuniva con lo sguardo e con il gesto i quattro templa in un unico grande
templum" (Rykvert 1981, p. 37).
L'attesa di segni augurali ex avibus, nei racconti funzione centrale
dell'atto rituale, sarebbe in realtà la fase conclusiva di una serie di azioni
della contemplatio. La domanda è: su cosa si concentrava veramente
l'attenzione dell'augure nell'atto del contemplare? quali circostanze dovevano
verificarsi perché si realizzasse quell'unione effimera tra i tre mondi -supero,
terreno, infero- e quel "ponte" tra cielo e terra che era la condizione del
manifestarsi dei segni mediatori della volontà divina? La nostra interpretazione
è che l'officiante concentrasse la sua attenzione sull'istante in cui il disco
solare sarebbe comparso sull'orizzonte.
Ciò spiegherebbe anche il brano di Ennio sulla contesa tra Romolo e Remo al
momento della fondazione di Roma. La tensione emotiva dei partecipanti
nell'incertezza del responso si coagula nell'attesa del "segnale" che ne
sancisce l'inizio. "Ed ecco la fulgida luce riapparve raggiante, spinta fuori
dal cielo: e nello stesso tempo, lontano, dall'alto, volò un uccello bellissimo,
di buon augurio, da sinistra", parole che ci fanno cogliere la particolare
tensione mistica che doveva accompagnare l'attesa della nascita del nuovo giorno
e l'essenza stessa del procedimento razionale che assegnava a quall'evento un
particolare valore sacrale
Sintesi da "Templum solare e culti di fondazione. Marzabotto, Roma, Este: appunti per una aritmo-geometria del rito" di Antonio Gottarelli, Ocnus 2010, numero 18, pp. 53-74