Strutture murarie, piani stradali, un pozzo e una tomba con due
scheletri sovrapposti.
Le evidenze archeologiche portate in luce durante i recenti lavori
in Via Roma, a Meldola, non solo trovano ampio riscontro presso le fonti storiografiche
ma permettono
di ricostruire un quadro topografico particolarmente affidabile della città tardo medievale e
rinascimentale.
Lo scavo archeologico è stato avviato per consentire l’adeguamento dell'impianto
di illuminazione pubblica in Via Roma, lavoro realizzato da Hera Luce s.r.l. per conto della
municipalità di Meldola. Proprio per la finalità dell'intervento, gli
scavi si sono limitati alla realizzazione di trincee e di saggi
poco profondi, compresi tra cm. 40 e m. 1,30: considerando che i mosaici della vicina via
Cavour, datati al VI secolo d.C., sono stati rinvenuti ad una profondità
di circa 4 metri rispetto l’attuale piano di calpestio, si comprende come
le quote raggiunte nel corso di questi lavori non possano che riferirsi a
strati “più recenti” rispetto ai livelli romani e tardoantichi per cui
la città di Meldola è famosa.
Rappresentazione topografica di via Roma
(clicca qui per ingrandire).
I cerchi in rosso corrispondono ai punti di rinvenimento delle
testimonianze archeologiche
Le indagini archeologiche, dirette dalla dott.ssa Maria Grazia Maioli
della Soprintendenza per i Beni Archeologici per l’Emilia-Romagna e
coordinate dal dott. Z. Xabier González Muro (su incarico del Comune di
Meldola), hanno documentato in più
punti della via la persistenza di testimonianze archeologiche di
particolare rilievo, fortunatamente non intaccate (se non in parte) dai
lavori di riqualificazione urbana realizzati a partire dagli anni Trenta
del secolo scorso. Va purtroppo registrato che, nel corso degli anni,
tali lavori hanno profondamente mutato le regolari sovrapposizioni che
nella storia hanno determinato l’attuale livello del piano stradale,
distruggendo (persino con cognizione di causa) la maggior parte dei
resti archeologici che certamente giacevano sotto il piano di calpestio
della via.
Il tratto dell’attuale via Roma assume una rilevanza archeologica di
primo piano sia nel contesto storico e urbanistico della città di
Meldola, che nel quadro della viabilità della Valle del Bidente, forse
da prima dell’arrivo del mondo romano e del riassetto territoriale che
tale conquista ha comportato nel comprensorio di Via Emilia tra Cesena e
Forlì.
Che la Valle del Bidente fosse in antico una delle principali vie di
comunicazione naturali tra i centri appenninici, umbri, ed il settore
pedemontano, dominato dalla presenza gallica, è ormai un dato accertato
e comunemente riconosciuto. La via, che ancora in periodo romano
collegava l’emporio commerciale di Forlì con la città di Arezzo, assunse
un ruolo rilevante nello sviluppo di centri quali Mevaniola, Galeata o
la stessa Meldola, dove importanti documentazioni archeologiche databili
tra il III-II sec. a.C. ed il VI sec. d.C. attestano uno sviluppo
sociale ed economico di primo piano.
Oltre all’attuale via Roma, a costituire il tratto meldolese della via
petrosa o romipeta -così come la ricorda la storiografia-
vi è via Cavour, dove furono scoperti i resti di una villa, databile al
VI secolo d.C., a seguito di scavi eseguiti negli anni Trenta e nei
primi anni Cinquanta. La villa, caratterizzata da ampi mosaici di
periodo teodoriciano, probabilmente confinava ad est con la parte
meridionale di via Roma, anche se tale ipotesi è attualmente al vaglio
della dott.ssa Maioli che da lungo tempo si occupa delle problematiche
connesse al complesso tardoantico meldolese.
Secondo le fonti del XIV-XVI secolo, i recenti ritrovamenti archeologici
sono compresi all’interno dell’antico burgus magnus o contrata
magna, delimitato dalle cosiddette porte di San Nicolò e di
Sant’Andrea, non più visibili e posizionate rispettivamente a sud e a
settentrione. All’interno del borgo vi erano inoltre la chiesa di Sant’Andrea
(nei pressi dell’omonima porta, anch’essa ormai scomparsa), di cui
abbiamo notizia già nel 1284 , e la chiesa di San Nicolò, attualmente al
numero civico 3 di via Roma.
Ecco in dettaglio cos'è stato trovato.
1. Nell’estremità meridionale di via Roma, adiacente
a Piazza F. Orsini, è stato individuato l’angolo nord-est di un
ambiente, delimitato da muri spessi circa 70 cm., in sassi fluviali e
laterizi posti in opera con tecniche diversificate. Purtroppo non è
possibile definire né i limiti originari della struttura rinvenuta (che
si presenta delimitata, ad ovest, dall’attuale fabbricato del Palazzo
Comunale e fortemente intaccata da precedenti lavori pubblici sugli
altri lati) né una datazione affidabile (per l'assenza di materiale
ceramico o di altra natura). Tuttavia, sulla base della sequenza fisica
e dei frammenti presenti nel contesto stratigrafico, si propende per un
collocamento cronologico in periodo tardo medievale.
L'ambiente trovato all'estremità
meridionale di Via Roma
Lo stato di conservazione dell'ambiente rende incerta
anche l'interpretazione sulla sua destinazione d’uso anche se alcune
considerazioni di ambito topografico farebbero propendere per una
connessione tra la struttura e l’impianto costruttivo della villa
scoperta in via Cavour.
2. Nel settore antistante il loggiato del Palazzo del
Comune è stato scoperto un piano stradale costituito da ciottoli, sassi
fluviali, frammenti laterizi e cocciopesto. Conservatosi per un tratto
lungo circa 5 m., largo approssimativamente 1,10 m. e con allineamento
nord-est/sud-ovest, anch’esso non mantiene i limiti originari mentre
l’interno al momento del rinvenimento si presentava in buon stato di
conservazione. I resti rilevati sono sufficienti a definire propriamente
le caratteristiche costruttive, caratterizzate principalmente da sassi
fluviali posti di piatto sull’intero piano stradale, dove si distinguono
ancora tracce di orme carraie, eccetto che all’estremità meridionale
dove è stato documentato un “setto” costituito da sassi conficcati nel
terreno, molto probabilmente finalizzato alla stabilità della
pavimentazione.
Il piano stradale trovato di fronte al
loggiato del Palazzo del Comune
Nella
Descrizione della Terra di Meldola e della
Fortezza si ricorda come “
…la strada che va ritta da una porta
all’altra è piana lastricata e assai bella…”: nonostante l’accezione
del termine “
lastricata”, che potrebbe essere attribuito secondo
un’interpretazione più ampia anche al piano stradale scoperto, è
possibile riscontrare in questo passo del documento -datato al 1596- una
descrizione aderente alle caratteristiche dell’evidenza archeologica
riportata alla luce, che ha inoltre restituito materiale ceramico
successivo alla seconda metà del XV secolo d.C.
3. A ridosso delle fondazioni realizzate per
l’edificazione del Palazzo Comunale è stata scoperta una struttura
muraria, particolarmente interessante dal punto di vista costruttivo,
lunga circa 8 metri e larga 1,80, con allineamento nord-est/sud-ovest. È
possibile suddividere la struttura in due porzioni, ciascuna lunga circa
4 metri: la prima, più a sud, è costituita da poderosi blocchi di
arenaria (spungone) posti in opera su un basamento di mattoni manubriati;
la seconda è invece caratterizzata da sassi posti in opera a secco.
L’estremità meridionale del muro risulta essere aggettante verso il
centro della strada, assumendo quasi un allineamento nord-ovest/sud-est.
La struttura muraria durante le
operazioni di scavo
A seguito delle analisi tecniche e stratigrafiche,
dove si evince il reimpiego dei blocchi di arenaria e dei laterizi
manubriati posti alla base, si è proposto di vedere nella struttura i
resti di un tratto di fortificazione della città, forse comprendenti le
vestigia della porta di San Nicolò (con riferimento all’aggetto della
porzione meridionale del muro), successivamente reimpiegato nelle
fondazioni dell’edificio precedente all’attuale Palazzo Comunale. I
materiali scoperti in prossimità della struttura non permettono di
datare con precisione la costruzione, essendo stati individuati
all’interno dei fognoli realizzati intorno al XVIII secolo tagliando
trasversalmente il muro.
4. All’altezza del numero civico 73 è stato riportato
alla luce un secondo tratto di piano stradale, corrispondente per
tecnica di realizzazione e materiali utilizzati a quanto descritto a
proposito del piano al punto 2. Tale segmento misura circa m. 2,80x1,60 e sul piano topografico è certamente da porre in relazione con il
tratto antistante al Palazzo Comunale.
5. La presenza di un pozzo era segnalata da una targa
posta sulla facciata esterna di un fabbricato abitativo sito in via Roma
(angolo via alla Rocca) al numero civico 75 di proprietà della
famiglia Lacchini. La lapide, in sasso spungone, fu posta sul muro nel
1756 e porta incisa la
scritta “B HINC RECTA PED. IV”, cioè "(il pozzo) B è da qui in linea
retta a 4 piedi". In effetti, scavando davanti a quest’abitazione, è stato trovato un pozzo con
incamiciatura a mattoni messi di taglio ricoperti da un sottile strato
di malta biancastra. All'interno del pozzo, i subacquei
del Gruppo Archeologico Ravennate (nella foto l'intervento di
prospezione del pozzo eseguito dal GRA con una
videocamera subacquea) hanno rinvenuto un’iscrizione, riconducibile al XVIII secolo,
in cui un uomo evidentemente caduto nel pozzo -e di cui si ignora la
sorte- ha inciso il proprio nome, la data e l'occasione dello spiacevole
"infortunio".
La
copertura del pozzo, in mattoni disposti a creare una volta, è
costituita da una lastra di chiusura rettangolare in pietra arenaria,
dotata di perno e anella in ferro per il sollevamento. La copertura
molto probabilmente corrisponde cronologicamente ai lavori per lo spurgo
dell’acquedotto, eseguiti nell’estate del 1756 da Lionello Pio da Carpi
che a sua volta ristruttura un preesistente condotto, collegato con i
pozzi romani, esistente nell’area di S. Giovanni. Da un’indagine più
accurata, il pozzo settecentesco (di m. 1,65 di diametro) sembra insistere su
un’altra struttura puteale di sezione trasversale subquadrangolare in
blocchi di pietra spungone, dal quale, a m. 4,30 di profondità, diparte
un cunicolo in direzione WSW presumibilmente a ricollegarsi con
l’acquedotto romano di età flavia.
6. In occasione della realizzazione di una trincea
profonda circa 70 cm sono stati scoperti i resti di una tomba a fossa
terragna, con foderatura in sassi fluviali, in corrispondenza del numero
civico 82. La tomba, con allineamento est-ovest, è risultata tagliata
sul lato est dal posizionamento del collettore fognario principale, a
nord da un fognolo di servizio, mentre la parte sud è stata inglobata
nelle fondazioni del civico 82. Al momento del ritrovamento della
copertura restava un unico blocco di arenaria, posto a 3/4 della
sepoltura in direzione est, al quale si poggiava una spalletta dello
stesso materiale; la foderatura in sassi su entrambi i lati risultava
fortemente danneggiata, mentre invece si era mantenuto il riempimento
interno per via del blocco di arenaria che ne ha garantito la
conservazione.
I resti della tomba e del secondo
scheletro
Lo scavo della tomba ha restituito i resti di due
scheletri sovrapposti: il primo, in alto, conservava solamente parte
degli arti inferiori, mentre del secondo, più in basso, restava la
porzione dal bacino in giù, fino alle tibie, in buona parte sepolte
ancora sotto le fondazioni dell’edificio al numero 82. I resti del
secondo scheletro si presentavano in buono stato di conservazione, così
come una fusaiola in ceramica, trovata sotto le ossa del bacino,
databile tra la seconda metà del XVI secolo e la prima del XVII secolo.
Secondo Giacomo Zaccaria, dove adesso sono ubicate le case
corrispondenti ai numeri civici 70-86 doveva trovarsi la chiesa di Sant’Andrea
, caduta in rovina nel corso del XIX secolo . È interessante a proposito
la richiesta di ampliamento del cimitero attiguo alla chiesa datata al
1453 e riportata dallo stesso Zaccaria: molto probabilmente la tomba
scoperta nel corso delle operazioni di sorveglianza archeologica è da
mettere in connessione con la presenza di un’area cimiteriale in
prossimità dell’antica chiesa, ipotesi confermata da ulteriori
ritrovamenti del medesimo tipo effettuati nella stessa zona .
7. Poco oltre il ritrovamento della tomba, presso i
numeri civici 84-86, è stato rinvenuto un lacerto murario, di dimensioni
ridotte e in cattivo stato di conservazione, costituito principalmente
da sassi e frammenti laterizi posti in opera per mezzo di tecniche
diversificate. La sequenza fisica delle unità stratigrafiche che lo
compongono fanno pensare a più fasi di costruzione o, più semplicemente,
a molteplici interventi di “manutenzione” edilizia. Purtroppo i lavori
pubblici che in passato hanno interessato tale settore di via Roma non
solo hanno fortemente danneggiato la consistenza dell’evidenza
archeologica, ma hanno inoltre provveduto a decontestualizzarla da
possibili altre testimonianze scavando tutt’intorno. Oltre agli elementi
di ordine costruttivo, la struttura ha conservato l’allineamento
originario, posto sull’asse nord-ovest sud-est, ma ciò non basta a
proporre una interpretazione chiara dell’evidenza, forse connessa al
sistema di difesa della città.
Come si può evincere da questo breve resoconto, le
testimonianze archeologiche scoperte in via Roma, nonostante
l’intrinseco stato di conservazione, complessivamente accettabile, risultano
penalizzate dall’isolamento determinato dagli interventi passati che hanno
riguardato il sottosuolo, senza i quali si sarebbe probabilmente ottenuto un quadro più chiaro dell’assetto topografico della città.
Fortunatamente le notizie storiografiche permettono di colmare alcune
lacune interpretative e di rivedere, in accordo con i nuovi rinvenimenti
archeologici, diverse ipotesi ricostruttive che mal si accordano con la
localizzazione dei resti archeologici individuati.
Bibliografia:
S.
AURIGEMMA, Una villa del re Teodorico, in «Le Vie d’Italia»,
11, 1940, p. 1256-1261.
F.
BOMBARDI, Meldola hic aquaeductus: L’acquedotto di Traiano nella
storia della «Terra di Meldola». Edizioni Filograf, Forlì 1996.
R.
FARIOLI CAMPANATI, I mosaici pavimentali tardoantichi di Meldola,
in «Felix Ravenna», 4 s., fasc. 1/2 (135-136), 1988, pp. 21-35.
M.
FOSCHI – P. TAMBURINI, I.2. Percorso di fondovalle del Bidente,
in «Flumen Aquaeductus», a cura di L. Prati. Nuova Alfa
Editoriale, Bologna 1988, pp. 17-24.
F.
LOMBARDI, Storia di Meldola. Società Editrice «Il Ponte
Vecchio», Cesena 2000.
M.G.
MAIOLI, Edilizia privata tardoantica in Romagna, Appunti
sulla pavimentazione musiva, in «Corso di cultura sull’arte ravennate e
bizantina», 1987, p. 248.
M.G.
MAIOLI, Meldola. La villa di epoca tardoantica, in «Flumen
Aquaeductus», a cura di L. Prati. Nuova Alfa Editoriale, Bologna
1988, pp. 63-66.
M.G.
MAIOLI, Ravenna e la Romagna in epoca gota, in “I Goti”,
Milano 1994, pp. 232-251.
G.A.
MANSUELLI, in «Studi etruschi», XV, 1941, p. 395.
R.
OLIVIERI FARIOLI, Nota su di un mosaico pavimentale “ravennate” a
Meldola, in «Felix Ravenna», 3 s., XCIII, 1966, pp. 116-128.
L.
PRATI, Le memorie: l'acquedotto, in
Flumen Aquaeductus a cura di L. PRATI, Forlì 1988, pp. 27-29.
L.
PRATI, I siti lungo il tracciato. Meldola, in
Flumen Aquaeductus a cura di L. PRATI, Forlì 1988, pp. 61-63.
A. SANTI, Paolo Mastri e la sua storia di Meldola unificata e
aggiornata. Gastaldi Editore, Milano 1961.
F.
SANTUCCI, Meldola nella storia. Società Editrice «Il Ponte
Vecchio», Cesena 1998.
G. ZACCARIA, Storia di Meldola e del suo territorio: I. Dall’età
protostorica al secolo XVI. Pro Loco “Città di Meldola”, 1974.
G. ZACCARIA, Storia di Meldola e del suo territorio: II. Dal 1500 ai
primi del ‘600. Pro Loco “Città di Meldola”, 1980.