Lo scavo, se pure di limitata estensione, ha consentito di mettere in luce il nucleo centrale di una capanna a base infossata, scavata direttamente nei livelli di terrazzamento artificiale del colle.
Il taglio, orientato con asse nord-sud e ampio m 4,50 x 2,50 circa, presenta pianta solo parzialmente regolare, essendo suddiviso verso il fondo in due avvallamenti contigui destinati ad ospitare, rispettivamente, un pozzetto deposito, a pianta rettangolare (cm 130 x 90) e base piana, profondo circa 120 cm (figg. 4-5) e un focolare (fig. 6). Il focolare, a pianta ellittica, di dimensioni 80 x 40 cm e orientato E – W, era costituito da un piano in argilla concotta con carboni e cenere, di una decina di cm di spessore, perimetrato da ciottoli fluviali disposti in piano.
Il pozzetto a scavo ultimato
Il focolare interno alla capanna
Lungo i margini meridionale e occidentale, tra il
limite di taglio esterno e la depressione interna, si conservava una
fascia di terreno intermedia, una sorta di “banchina perimetrale”
probabilmente destinata a sorreggere o l’imposta delle pareti o un
impiantito ligneo di copertura della depressione interna.
L’alzato della struttura era retto da due pali centrali interni, grazie
ai quali si può delineare l’asse mediano della capanna; purtroppo, a
causa degli interventi di età posteriore, particolarmente incisivi lungo
il limite orientale, non è invece possibile ricostruirne il perimetro
esterno, sicuramente più ampio dell’area sottoscavata. Nonostante tali
lacune, le tracce, in negativo, di piccole buche simili per dimensioni e
forma (circa cm 10 di diametro e profondità tra i 10 e i 15 cm),
evidenziatesi sul lato occidentale, non sembrano lasciare dubbi nello
stabilire la loro originaria utilizzazione per l’impianto di pali
verticali. All’interno delle buche sono stati rinvenuti frammenti di
concotto incannuciato, quanto resta cioè delle pareti delle capanna,
costituite da un intreccio di rami rivestito con un impasto di argilla e
paglia.
Il nucleo centrale della capanna: si
vedono chiaramente le buche di palo portanti
Le caratteristiche strutturali della capanna non si
discostano fondamentalmente da quanto attestato in regione a partire già
dall’abitato villanoviano di Bologna e, successivamente, negli
insediamenti di VI-V secolo dell’Etruria padana e della Romagna umbra.
Particolarmente interessante, data la contiguità cronologica e culturale
è però il confronto con le capanne preromane rinvenute nell’area dell’ex
Seminario di Sarsina e datate tra la fine del IV secolo a.C. e la prima
metà del III. Esse presentano, infatti, alcune peculiarità tecniche
accostabili a quelle della capanna del Garampo, quali la base infossata
con due avvallamenti contigui, destinati rispettivamente
all’alloggiamento di un pozzetto-deposito e di un focolare e la presenza
della banchina laterale.
Dall’esame dei depositi archeologici, infine, è possibile delineare due
fasi nell’utilizzo dell’area: originariamente “fondazione” e vita di un
contesto abitativo con tutte le dinamiche del caso (costruzione di
alzati-buche di palo; stoccaggio di cibi-pozzetto; attività di
cottura-focolare) e, in un secondo momento, con l’abbandono di tali
attività, riutilizzo del medesimo spazio come fossa di scarico. A questo
evento, indicativamente databile tra la fine del III e l’inizio del II
sec. a.C., sarebbe da imputare anche la scomparsa degli eventuali piani
di calpestio coevi alla funzione originaria della struttura.
I materiali della capanna
Anche se la maggior parte del materiale proveniente sia dagli strati
d’uso della capanna, in particolare dal pozzetto deposito, che dai
livelli di abbandono rientra nella classe della ceramica di impasto, non
mancano importanti attestazioni di forme di ceramica a vernice nera.
Il gruppo più consistente di frammenti riconoscibili (una cinquantina) è
costituito da coppe emisferiche con orlo leggermente introflesso (forma
Lamboglia 27); seguono (con una decina di frammenti) le coppe della
serie Morel 1552, con l’orlo ripiegato verso l’esterno. Il dato trova
perfetto riscontro a Rimini nelle produzioni riminesi, attestate a
partire dalla metà del III sec. a. C.
La lucerna, come il vasellame da mensa, mostra legami con le officine
riminesi e di conseguenza con i prototipi laziali dei primi decenni del
III sec. a. C.
I reperti ci portano, con pochissime eccezioni, al III sec. a. C. e più
precisamente, nel maggior numero dei casi, alla seconda metà del secolo.
Orienta invece verso una cronologia più tarda la lucerna in ceramica a
vernice nera, lavorata al tornio, che potrebbe datarsi all’inizio del II
sec. a. C.
Particolare attenzione merita il bollo a rosetta sul fondo di una coppa,
che trova esatto riscontro in esemplari riminensi e che, fino al
ritrovamento del colle Garampo, era senza confronti al di fuori di
Rimini e del territorio circostante. Le stampiglie sui vasi riminesi
sono generalmente di tipo piuttosto diffuso (la palmetta, il fiore di
loto, ecc.), ma tra le eccezioni si annovera proprio il decoro in
questione: le rosette dell’Atelier presentano usualmente otto petali,
mentre alcune coppe di produzione riminese presentano rosette di
dimensioni maggiori e con sette petali: al posto dell’ottavo la
stampiglia ha impresso il nome del vasaio (IC VV secondo alcuni
studiosi; M K - iniziali del vasaio (Lucius) Minucius Karus – secondo
altri).
Quanto alla ceramica di impasto, sebbene rimandi a prototipi già diffusi
nei contesti romagnoli della media età del ferro, particolarmente
stringenti sono i confronti con i reperti venuti in luce nell’abitato
preromano di Sarsina. Le forme attestate sono limitate e poco
differenziate: si registrano quasi esclusivamente olle ad orlo
estroflesso e scodelle. L’impasto, abbastanza grossolano e ricco di
inclusi micacei e di calcite, è lavorato a mano o al tornio lento.
Tra le forme accertate, infine, non mancano alcuni vasetti miniaturistici nonché elementi che rimandano alle attività domestiche della filatura e della tessitura: pesi da telaio, rocchetti e fusaiole. Dal pozzetto deposito proviene, poi, un sestante in bronzo del 212-210 a.C.
Provengono da Palazzo Fabbri alcuni vasi in ceramica grigia, tra cui due brocche a bocca trilobata, note in importanti contesti romagnoli fin dal V secolo a.C., come nell’abitato sul colle del Covignano, a Rimini, ma ancora attestate nel IV sec. a.C. nelle necropoli celtiche di Bologna.
Gli scavi 2005, diretti da Maria Grazia Maioli e Monica Miari, sono stati eseguiti da Akanthos Ricerche Archeologiche S.n.c. (FC) per il Comune di Cesena; responsabili di cantiere Michelangelo Monti e Luca Tagliani