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Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
Diamo un futuro ai reperti senza un passato
Con i reperti recuperati a tombaroli e trafficanti senza scrupoli si allestirà
un museo archeologico nel complesso di San Giovanni in Monte
Centinaia, migliaia di reperti di ogni epoca, dalla preistoria all’età
romana, dal medioevo al rinascimento, sequestrati da Carabinieri, Polizia e
Guardia di Finanza a tombaroli, antiquari, venditori online, collezionisti senza
scrupoli e cittadini spesso insospettabili.
Sono il frutto di numerose operazioni di Polizia effettuate in regione tra gli
anni Sessanta e Ottanta, materiali provenenti da scavi clandestini condotti per
lo più in Italia Meridionale, soprattutto in Puglia e in Sicilia, ma anche in
Toscana ed in Emilia-Romagna, dove l’uso indiscriminato del metal detector è
purtroppo frequente.
A conclusione dell’iter giudiziario, il Ministero di Grazia e Giustizia assegna
spesso il materiale recuperato alla Soprintendenza per i Beni Archeologici
dell’Emilia-Romagna, che li custodisce nei propri depositi.
Sono reperti spesso splendidi ma muti. Lo scavo abusivo li decontestualizza,
togliendo loro ogni possibilità di comunicare le informazioni indispensabili
alla loro comprensione: il luogo di provenienza, il corredo di cui eventualmente
facevano parte, gli oggetti da cui erano accompagnati. Per l’archeologo la
perdita dei dati di scavo è un danno irreparabile. Lo scavo clandestino cancella
la Storia e le storie che i reperti vorrebbero raccontare, con un effetto
distruttivo che colpisce al cuore sia lo studio che l’oggetto.
L’accordo tra la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e il
Dipartimento di Archeologia dell’Università degli Studi di Bologna vuole ridare
voce a questi oggetti violati, valorizzando questo cospicuo patrimonio per
restituirlo allo studio, alla ricerca e alla cultura
Grazie a questa convenzione una gran parte del materiale sequestrato potrà
uscire dai depositi della Soprintendenza ed essere visibile in uno spazio musivo
appositamente allestito all’interno del Dipartimento di Archeologia. Sarà
catalogato, studiato e reso disponibile agli specializzandi in archeologia,
riacquistando parallelamente il ruolo che compete ad ogni bene culturale:
educare e comunicare.
Una parte considerevole del materiale sequestrato proviene dalla Daunia, cioè
dalla Puglia settentrionale. In questa zona gli scavi illegali sono attestati
fin dagli inizi dell’Ottocento, raggiungendo negli ultimi decenni proporzioni
devastanti. Protagonisti di tanto scempio non sono solo gli oggetti più pregiati
o facilmente estraibili -ori, vasi, bronzi e terracotte- ma anche elementi
architettonici o dipinti su parete. Un vero e proprio saccheggio testimoniato
dai cataloghi d’asta, dalle vetrine online e dai musei stranieri da cui talvolta
si riesce a riportare a casa qualche manufatto.
Un settore, quello dei furti d’arte, che ha prodotto autentiche leggende, come
quella di Giacomo Medici considerato dagli americani il più grande mercante
clandestino del mondo.
Grazie a questa convenzione, circa 180 oggetti, per lo più ceramici, conservati
da decenni nei depositi della Soprintendenza e già inventariati, saranno scelti,
studiati e schedati per trovare infine posto nelle dieci vetrine previste dal
progetto.