Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
Quasi mezzo chilo d'oro pressoché purissimo. È l’unico esemplare rinvenuto in Italia e uno dei pochi al mondo: due reperti simili sono esposti al British Museum di Londra e un terzo al Landesmuseum di Bonn
Pesa
quasi mezzo chilo, è alta poco più di 12 cm, è in lamina spessa circa un
millimetro e mezzo, ha un delizioso manichetto ed è in oro pressoché purissimo,
con rare tracce di argento e stagno. Già questo farebbe della tazza rinvenuta
nel marzo scorso a Montecchio Emilia (RE) un reperto straordinario. Ma se si
pensa che risale all’antica età del Bronzo, vale a dire a un periodo compreso
tra i 3800 e i 3700 anni fa, e che ha solo tre confronti nel mondo, e nessuno in
Italia, ecco che ‘eccezionale’ diventa il termine più appropriato.
Secondo il Soprintendente per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna,
Filippo Maria Gambari,
"al di là della straordinaria preziosità del reperto, la tazza d’oro di
Montecchio Emilia è un oggetto destinato a cambiare radicalmente alcune idee
consolidate sui commerci e sugli scambi nell’Europa di quasi quattro millenni
fa."
La tazza, in parte rotta da arature o lavori agricoli recenti (era a soli 60 cm
di profondità), appare già schiacciata in antico: un danno forse intenzionale,
probabilmente legato a uno specifico rituale. Nessuna tomba, struttura o
cassetta di lastre conteneva il reperto, sepolto isolato in una semplice buca di
nuda terra. Si stanno però verificando alcuni dati d’archivio che potrebbero
collegarla ad altri 13 oggetti d’oro, apparentemente dell’età del Bronzo,
rinvenuti a Montecchio Emilia il 18 gennaio 1782, sempre durante un’aratura:
purtroppo i reperti furono poi fusi e di essi ci restano solo le fantasiose
descrizioni dell’epoca.
Gli studi sono appena all’inizio ma un dato è certo: si tratta di un
ritrovamento eccezionale che lega idealmente il territorio di Montecchio Emilia
agli henges del Regno Unito e ai recinti del Nord Reno-Westfalia, le zone da cui
provengono i pochi confronti esistenti.
La straordinaria scoperta è avvenuta durante alcuni lavori nelle cave di inerti
“Spalletti” del Gruppo C.C.P.L., ai limiti settentrionali del comune di
Montecchio Emilia. Un’area che da anni sta restituendo testimonianze
archeologiche di ampia datazione, dai resti sporadici del Neolitico Finale e
dell’età del Rame (IV-III millennio a.C.) alle urne cinerarie dell’età del
Bronzo media-recente (XIV-XIII sec.a.C.), forse collegate a una terramara
individuata poco più a sud, fino ai più cospicui materiali di epoca etrusca
(sepolture) e romana (resti insediativi e funerari).
È in questo quadro che gli archeologi hanno trovato, completamente isolata,
questa strepitosa tazza d’oro databile (in virtù della specifica tipologia)
all’antica età del Bronzo cioè a un periodo compreso tra il XVIII e il XVII
secolo a.C.
“L’isolamento della tazza rinvenuta a Montecchio –spiega Gambari- è analogo a
quello degli altri reperti trovati in Europa e conforta l’ipotesi di un utilizzo
rituale. Di sicuro questo oggetto aveva un valore elevatissimo già allora;
quanto a quello che potrebbe avere oggi, basti dire che l’analoga tazza
rinvenuta a Ringlemere è stata acquistata nel 2002 dal British Museum per la
bella cifra di 270mila sterline, cioè più di mezzo milione di dollari”
La tazza, che rappresenta certamente una deposizione votiva, è deformata e
lacunosa ma interamente leggibile. È realizzata in lamina d’oro abbastanza
spessa, ha un diametro massimo di 12 centimetri (lo stesso dell’esemplare di
Fritzdorf), vasca a tronco di cono e fondo leggermente appiattito, carena viva e
parete alta leggermente concava e poco rientrante. È dotata di manico a nastro
fuso, attualmente staccato ma originariamente impostato tra orlo e carena, a cui
era fissato con piccoli ribattini.
Il confronto migliore è con la tazza d’oro trovata all’interno di un vaso in
ceramica a Fritzdorf, in Germania, ma possiamo riscontrare analogie anche con le
tazze d’oro recuperate a Rillaton e a Ringlemere, in Gran Bretagna, quest’ultima
rinvenuta al centro di un henge, e con due vasi d’argento provenienti da tumuli
bretoni.
Le analisi sul metallo, affidate ad Alessandra Giumlia-Mair (AGM Archeoanalisi
di Merano), ci diranno non solo l’esatta percentuale di argento e stagno ma
potranno forse fornire qualche indicazione sulla possibile area di provenienza,
proprio in virtù dello stagno, al tempo presente nell’oro fluviale solo in
alcune regioni come la Cornovaglia o la Boemia.
Una volta svuotata, si potrà analizzare la terra che la riempie, alla ricerca di
tracce di cibo o residui di liquidi: si può infatti supporre che la tazza di
Montecchio fosse una sorta di coppa per bevute rituali collettive e che proprio
per questa sua funzione sia poi stata seppellita, forse in un bosco ritenuto
sacro visto che al tempo quella che oggi è un’area di pianura era coperta di
boschi
La pulitura si limiterà a togliere la terra, lasciando le piccole e
impercettibili incrostazioni; la Soprintendenza per i Beni Archeologici
dell’Emilia-Romagna ha anche deciso di lasciare la tazza così com’è,
proponendone un’ipotesi ricostruttiva, analogamente a quanto fatto dagli inglesi
con l’esemplare di Ringlemere. Se si troveranno le risorse per sostenere i costi
di laboratorio, entro la fine dell’anno si potranno avere i risultati completi.
Una volta liberata dalla terra, si potrà anche definire il peso esatto del
reperto e verificare l’effettivo spessore della lamina che al momento sembra un
poco più consistente di quello degli altri esemplari transalpini.
In ogni caso, un rinvenimento di eccezionale interesse e al momento unico in
Italia che apre prospettive totalmente nuove per la lettura delle prime fasi
dell’età del Bronzo in Emilia. Terminati gli studi, è possibile che la tazza
aurea di Montecchio Emilia sia esposta nel Museo Archeologico Nazionale di Parma
all’interno dell’ampia sezione dedicata alla Preistoria e Protostoria del
territorio emiliano
Indagini materiche preliminari sulla tazza di Montecchio
di Alessandra Giumlia-Mair,
AGM Archeoanalisi, Merano (BZ)
Su richiesta della Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna, ho condotto indagini preliminari sulla tazza di Montecchio,
soprattutto per stabilire se il materiale del recipiente sia compatibile con la
datazione proposta, dedotta dalle caratteristiche stilistiche dell'oggetto.
La tazza è stata innanzitutto osservata attentamente in ogni parte per mezzo di
vari strumenti ottici e al microscopio, per constatarne lo stato di
conservazione, individuare eventuali indizi di alterazione superficiale dovute
alla possibile corrosione di elementi meno nobili forse presenti nella lega
(quali l'argento e/o il rame) e per esaminare il sottile strato di patina
rossastra, visibile su alcune porzioni delle pareti.
La disamina ha permesso di constatare differenze strutturali tra le fratture
visibili sulle pareti che potrebbero rappresentare indizi significativi per
l'interpretazione delle stesse ed essere riconducibili ad avvenimenti
cronologicamente distanti. In particolare, la lacuna di maggiori dimensioni e
con bordi frastagliati sembrerebbe essere molto più recente che non, ad esempio,
il taglio relativamente netto visibile nella parte bassa del recipiente.
Quest'ipotesi potrà essere eventualmente confermata o confutata in seguito, dopo
ulteriori e più approfondite indagini.
Il materiale della tazza è stato sottoposto ad analisi non distruttive per mezzo
di spettrometria di fluorescenza dei raggi X (in seguito XRF) per determinare la
lega impiegata. I risultati devono per il momento essere considerati solo
indicativi e semiquantitativi, perché le misurazioni sono state condotte sul
reperto nelle condizioni in cui è stato trovato, senza pulire, se non in modo
sommario, le aree analizzate.
I dati XRF dimostrano tuttavia che la lega d'oro è compatibile con il periodo
ipotizzato: si tratta infatti di oro contenente solamente tenori relativamente
bassi d'argento e senza alcuna aggiunta di rame, ma con lievi tracce di stagno.
Si potrebbe dunque trattare di oro alluviale, cioè raccolto come pepita, e usato
così com'era, senza alcuna addizione e senza alcun processo di raffinazione.
Dopo la pulizia da parte dei restauratori sarà possibile condurre esami più
precisi e saremo in grado di definire meglio la composizione della lega e
l'eventuale origine dell'oro. A questo scopo si dovrebbero eseguire anche
analisi di diffrattometria a raggi X per determinare la natura della patina
rossastra. L'esatta identificazione della patina permetterà di valutare il grado
degli eventuali fenomeni di corrosione e di ricostruire con maggior precisione
la composizione originale della lega.
Dr Phil., MSc Alessandra Giumlia-Mair
Comunicazione del Comune di Montecchio Emilia
del Sindaco Paolo Colli e dell’Assessore alle Attività culturali Andrea Costi
La posizione di Montecchio Emilia ne ha sempre fatto un crocevia naturale tra
varie vie di comunicazione. Questa caratteristica, unita alla posizione
favorevole rispetto ai corsi d’acqua e ai territori circostanti, ha favorito il
susseguirsi, fin dai tempi più remoti, di insediamenti umani. Per questo motivo
la storia del territorio di Montecchio Emilia è molto
antica e ricca di testimonianze.
Le Amministrazioni comunali che si sono susseguite dal dopoguerra ad oggi hanno
sempre fatto il possibile per conservare questo grande patrimonio storico e
culturale, partendo dai ritrovamenti di reperti preistorici per arrivare al
recupero e alla valorizzazione di edifici storici di pregio In quest’ottica, il
ritrovamento della “tazza d’oro”, oltre a costituire un ritrovamento di
eccezionale importanza scientifica, conferma e accresce ulteriormente lo
spessore storico e culturale del nostro territorio, il che ci inorgoglisce e ci
spinge a moltiplicare il nostro impegno nella valorizzazione del nostro
patrimonio.
L’Amministrazione comunale di Montecchio Emilia è ben consapevole
dell’importanza del ritrovamento, e si è resa disponibile a collaborare in ogni
fase del processo di ricerca e di studio. L’ha fatto subito dopo il
ritrovamento, contribuendo a mantenere il massimo riserbo fino a quando è stato
opportuno, e continua a farlo collaborando al reperimento di risorse e di
informazioni, anche con la fattiva partecipazione delle associazioni culturali
del territorio, nonché per dare il giusto risalto a questa eccezionale scoperta,
nel rispetto delle rispettive competenze e della normativa nazionale.
Dobbiamo ringraziare la Soprintendenza, presso la quale abbiamo potuto
riscontrare altrettanta disponibilità, soprattutto rispetto alla possibilità
concreta di organizzare, anche sul territorio montecchiese, momenti di
informazione ed una mostra incentrata sulla tazza d’oro di Montecchio Emilia.
Il Sindaco Paolo Colli e l’Assessore alle Attività culturali Dott.
Andrea Costi
Le indagini archeologiche nella cava Spalletti di Montecchio Emilia
di Cristina Anghinetti,
ABACUS s.r.l., San Pancrazio (PR)
La tazza d’oro rinvenuta il 9 marzo 2012 (consegnata il giorno stesso al
Museo Archeologico Nazionale di Parma, sede distaccata della Soprintendenza per
i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna), non è che il punto di maggior
rilevanza ed evidenza di un’indagine sistematica, condotta a partire dal
novembre 2009 nei sedimenti fini che sigillavano il banco di ghiaia, oggetto
dell’escavazione, nell’area di cava Spalletti.
In questi anni il controllo in corso d’opera delle operazioni di scavo,
eseguite, in sinergia col personale di cava, con criteri stratigrafici
(verificando superfici, strati e suoli) ha consentito di leggere una successione
che dall’eneolitico, ma forse da prima, è giunta fino agli ultimi utilizzi
agricoli dell’età moderna. L’indagine ha infatti permesso di riconoscere come
nei millenni, in questo tratto della pianura padana, l’apporto di sedimenti
alluvionali abbia sigillato i vari suoli accrescendo via via il piano di
campagna, senza però portare alla scomparsa della presenza e dell’attività
umana. Solo a partire dalla fase finale dell’eneolitico l’orizzonte si
stabilizzerà infine all’attuale quota, provocando la diretta sovrapposizione
delle successive frequentazioni del Bronzo, del Ferro, Romane e
Medievali/Moderne.
La puntuale documentazione (anche grazie al metodico rilievo tramite stazione
totale e satellitare) di qualsiasi traccia fosse inclusa negli strati, a partire
dal posizionamento dei piccoli frammenti ceramici dispersi nei suoli, degli
allineamenti e cumuli in ciottoli, dei corsi d’acqua naturali e artificiali,
delle strutture, delle fosse o buche, delle tombe sparse e in nuclei, ha
permesso di leggere uno spaccato del territorio e di riconoscere un utilizzo,
non solo agricolo, che attraversa questo lunghissimo arco di tempo. Alle molte
evidenze perfettamente riconoscibili (abitazioni, palizzate, tombe e necropoli)
se ne affiancano alcune ancor oggi di difficile comprensione, per questo
d’estremo interesse e forse interpretabili come atti simbolici e/o rituali.
Proprio la metodologia d’indagine adottata, con il controllo sistematico di
tutti gli strati da parte del personale operante in cava, ha quindi permesso di
recuperare il vaso, nei pressi del capo orientale del lotto 3, all’interno di un
livello immediatamente sottostante all’arativo. Il successivo e minuzioso
accertamento, eseguito anche tramite il passaggio di metal detector, ha però
evidenziato la natura prettamente sporadica del rinvenimento, avvenuto in un
ambito che a causa dal ripetuto passaggio, purtroppo approfondito, di aratri non
conserva tracce dell’originario contesto di deposizione.
Cristina Anghinetti (Abacus srl)
L'impegno di CCPL Inerti su Cava Spalletti
di CCPL Inerti, Parma
CCPL Inerti è l’erede diretto della tradizione del Gruppo CCPL nel campo
delle costruzioni.
Grazie all’ampia disponibilità di cave e alla rete capillare di impianti
produttivi, CCPL Inerti è in grado di offrire al mondo dell’edilizia un servizio
costante, continuativo e di alta qualità, producendo e com-mercializzando
sabbie, ghiaie, calcestruzzi e conglomerati bituminosi.
Con un valore della produzione di 40 milioni di euro e circa 85 dipendenti, CCPL
Inerti anche nel 2012 si conferma azienda leader territoriale di questo settore.
L’attenzione nei confronti del territorio e la salvaguardia ambientale
contraddistinguono il modus operandi di CCPL Inerti, da sempre impegnata nella
ricerca di un equilibrio tra la propria attività estrat-tiva e il rispetto
dell’ambiente. La coltivazione delle cave ha permesso a CCPL Inerti di sfruttare
le po-tenzialità dei territori interessati e di restituirli poi alle comunità
avvalorati da importanti progetti di riqualificazione. Parchi, oasi protette,
piste ciclabili e verde pubblico a disposizione delle nuove genera-zioni sono
solo alcuni dei progetti realizzati da CCPL Inerti nelle cave dismesse, ad
esempio l’area natu-ralistica Cronovilla nel comune di Travesetolo (PR) è nata
dalla recente opera di riqualificazione am-bientale del polo estrattivo G6 (Vignale
di Traversetolo), mentre l’intervento di rinaturazione dell’area Foce Enza di
Brescello ha permesso la realizzazione di un lago con area verde e pista
ciclabile di colle-gamento a Guastalla (RE).
Questa politica di responsabilità sociale e ambientale ha condotto CCPL Inerti e
l’intero Gruppo CCPL a virtuose collaborazioni con le istituzioni locali e
l’associazionismo ecologico dimostrando la propria dedizione ai valori
dell’impresa cooperativa.
La cava Spalletti
Sita in prossimità di Montecchio (RE) la cava Spalletti, una tra le maggiori
in Emilia Romagna, è un si-to di elevato interesse archeologico. I piani di
coltivazione prevedono quindi un controllo costante dei lavori di escavazione e
gli addetti di CCPL Inerti ormai da alcuni anni lavorano quotidianamente a
fianco degli archeologi di Abacus per garantire che i lavori di escavazione, non
solo non mettano a rischio e-ventuali reperti, ma possano essere funzionali al
loro ritrovamento.
Estrarre materiale inerte seguendo scrupolosamente le procedure e con l’attento
lavoro di tutti gli operatori, ha permesso, negli anni, il ritrovamento di
manufatti, monili e strutture di età afferenti a di-versi periodi storici.
Questi ritrovamenti sono avvenuti anche grazie ad un importante impegno
eco-nomico e finanziario di CCPL Inerti quantificabile in oltre 500.000€ tra
costi direttamente imputabili al-le attività di ricerca e costi indirettamente
imputabili alla stessa per la particolare metodologia di esca-vazione che si è
dovuta adottare.
All’impegno profuso negli anni per il ritrovamento e la conservazioni di questi
notevoli reperti storici, sull’area di Cava Spalletti si è poi affiancata
un’importante opera di rinaturazione dei lotti a coltivazio-ne conclusa. Grazie
ad un investimento di circa 1.500.000€, CCPL Inerti ha riconsegnato alla
collettività un patrimonio verde completamente riqualificato e attrezzato citato
dall’architetto e paesaggista An-dreas Kipar come esempio di best practice di
recupero ambientale.
Il Gruppo Industriale Cooperativo CCPL
CCPL è uno dei maggiori Gruppi Industriali Cooperativi italiani e si
posiziona tra le 300 più grandi a-ziende cooperativa al mondo. E’ contrassegnato
da un’ampia diversificazione settoriale e il suo tratto distintivo risiede nella
capacità di saper promuovere lo sviluppo imprenditoriale e la crescita dei vari
settori di attività mantenendo viva l’identità e i valori di impresa
cooperativa.
Con un valore della produzione di 785 milioni di euro, un patrimonio netto di
168 milioni di euro e oltre 2000 dipendenti nel 2011, il vasto portafoglio di
business di CCPL si articola in 6 aree di attività: Fresh Food Packaging,
Materiali da Costruzioni, Energia, Facility Management, Servizi alle Imprese,
Pro-perty e Project Financing.
Da sempre proiettato all’innovazione il Gruppo ha da tempo avviato un marcato
processo di espan-sione internazionale con presenza produttiva e commerciale in
diversi Paesi europei ed in particolare in Spagna, Francia, Portogallo e
Slovacchia.
CCPL, la storia in sintesi
CCPL fonda le sue radici nella storia della cooperazione italiana ed è tra
le poche imprese italiane che hanno superato il traguardo dei 100 anni di vita.
Fondato nel 1904 quale consorzio di piccole cooperative edili emiliane, ha
conosciuto un notevole sviluppo negli anni del dopoguerra e del boom economico,
assumendo un ruolo di rilievo nella fase di ricostruzione e sviluppo del Paese
in qualità di general contractor.
Nei primi anni ’90 CCPL avvia il processo di trasformazione della propria
mission aziendale, che lo porta ad assumere l’attuale profilo di Gruppo
Industriale Cooperativo multibusiness di carattere euro-peo.
Per informazioni: Alessandro Anceschi, Comunicazione e Relazioni Esterne
Tel. 0522/299249; Mob. 366/6652666; E – mail:
alessandro.anceschi@ccpl.it
rassegna stampa web (indichiamo i link che ci pervengono dalle redazioni)
La Repubblica, Parma (Raffaele Castagno, 29/05/2012)
La Gazzetta di Parma (29/05/2012)
Archeofilìa (Roberta Zanasi, 29/05/2012)
Cinquew (29/05/2012)
La Voce d'Italia
(Emanuela Cicoria, 30/05/2012)