Trasportavano olio, vino, miele, semi e salse ma giunte al porto di Classe erano
spesso riciclate come urne cinerarie. La loro forma diceva più di un’etichetta:
bastava un’occhiata per capirne contenuto e provenienza.
Sono più di trenta anfore le protagoniste della mostra “Ad
mensam. Cibo e cucina dagli scavi di Classe”, al via dal 12
giugno nella zona archeologica di Classe: un viaggio tra le abitudini alimentari
dei piccoli imprenditori, artigiani e militari -i classiarii- che animavano il
porto di Classe.
Proprio le anfore consentono di tracciare la storia dei prodotti più richiesti,
delle linee di approvvigionamento e dei percorsi via mare e via terra su cui
viaggiavano le derrate alimentari tra il I e l’VIII sec.d.C.. Anfore globulari
per l’olio spagnolo, apulo-dalmate per il vino, anfore vinarie a fondo piatto “tipo Forlimpopoli”
perchè lì, per la prima volta, sono state trovate le sue fornaci, anfore rodie
dalle isole greche, affusolate dalla Tunisia, palestinesi “tipo Gaza”, anfore
dall’Asia Minore e dall’Egitto.
Alcune delle trenta anfore in mostra
Le alterne fortune di Classe dipesero sempre da scelte imperiali. Prima quella
di Augusto che nel I sec. d.C. stanzia qui la sua flotta militare, poi quella di
Onorio che nel V sec. fissa a Ravenna la capitale dell’Impero Romano d’Occidente
e infine la corte di Bisanzio che dal VI all’VIII sec. ne fà la capitale
dell’Esarcato.
Il porto di Classe diventa un abitato multietnico, dove vivono e lavorano
persone provenienti dai quattro lati dell’impero, dalla Spagna alla Siria,
dall’Egitto alla Germania. Una comunità cosmopolita dove, oltre al latino, si
parla il greco e numerosi dialetti, dove convivono usanze, religioni e modi di
vivere diversi a cominciare dalle abitudini alimentari.
La mostra ricostruisce le mense tipo di tre diversi periodi, una della prima età
imperiale (I sec. d.C.), una del II sec. -il periodo di massimo splendore di
Classe- e una di epoca bizantina. Ci sono piatti e ceramiche aretine, bicchieri
a pareti sottili e contenitori per acqua e vino, campionature di tegami da
forno, ciotole di produzione greca e africana. In età imperiale si diffonde una
ceramica da mensa di colore rosso, la “terra sigillata”, così chiamata perchè vi
è impresso il sigillo con il nome del vasaio. In epoca bizantina prevale un
vasellame in terra sigillata chiara, prodotto in Africa nell’area tunisina: sono
piatti di grandi dimensioni, ciotole e coppe dal caratteristico colore chiaro
che vengono imitati anche dalle fornaci locali.
Tra le curiosità in mostra, uno splendido piatto di provenienza tunisina con
decorazione di agnelli e due manici di brocca in bronzo, uno a piede umano con sandalo e
l’altro con testa di ariete.
Gli scarti dei pasti testimoniano un’alimentazione principalmente a base di
cereali e legumi. Si allevavano animali da cortile e il maiale -la
cui carne era conservata sotto sale o insaccata- e si mangiava anche il ghiro
dopo averlo ingrassato in apposite stie, i gliraria. I reperti mostrano
teschi di pecora, capre e bovini, ossa di anatre, polli e oche, conchiglie,
molluschi ed ossi di seppia, semi di miglio, grano, pinoli, pesche, prugne e
ciliege e un fico perfettamente conservato. In età bizantina la ripresa dei
commerci con le province orientali riporta sulle tavole dei nobili spezie,
droghe varie, il prezioso zucchero di canna e il pepe, di cui sono in mostra
alcuni grani.
Due ampie sezioni sono dedicate al commercio e alla produzione di vino ed olio.
Negli scavi di Classe sono stati rinvenuti diversi tipi di semi di oliva e un
olivo è rappresentato con altre piante tipiche della zona nel mosaico absidale
di S. Apollinare in Classe. Per cucinare i Romani preferivano lo strutto
utilizzando l’olio per i massaggi e l’illuminazione; solo in epoca
tardoimperiale e bizantina, sotto l’influsso della cucina greca, l’olio viene
usato anche per preparare i cibi.
Di notevole interesse anche i reperti provenienti dallo scavo di alcuni locali
identificati come tavole calde (termopolia): qui, tra gli scarti di
pasto, sono stati trovati ossa di piccoli volatili e lische di pesce, ceci,
lenticchie e tantissimi spiccioli in bronzo databili tra il VI e VII sec. segno
che il termopolium era ampiamente funzionante anche in epoca bizantina.
Ravenna è a pochi passi eppure così distante: basta visitare “Convivium”,
la mostra in corso all’ex chiesa di S. Nicolò a cui l’esposizione di Classe è
collegata, per capire la differenza. Là le domus con triclinia e stanze
di rappresentanza, lo sfarzo delle mense e del vasellame; qui le case modeste e
senza cucina dove si mangia in piatti di legno o terracotta il cibo pronto
acquistato per strada, al massimo riscaldato su un braciere. Là le testimonianze
di un ceto dominante, qui la vita quotidiana della gente comune che la storia
non racconta.
Si prega di considerare la presente come invito
Città: | Ravenna, località Classe |
Luogo: | Via Marabina |
Informazioni: | Carla Conti, rapporti con i media |
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