Era il signore degli alberi e della fecondità, dio del vino e del delirio mistico. Dionysos per i greci, Fufluns per gli etruschi, sarà il Bacco dei romani, dispensatore delle gioie del banchetto e dell’ebbrezza alcolica: il suo regno il simposio, la sua icona una coppa da vino, il kantharos. Ora la più gaudente delle divinità etrusche torna a casa dopo un secolo per brindare alla mostra “A tavola con gli Etruschi di Marzabotto”, al via dal 3 marzo al Museo Nazionale Etrusco. La statuetta che lo raffigura -trovata vicino a Sasso Marconi e esposta a Firenze- torna felice ad alzare il kantharos nella terra dove visse 2500 anni fa e partecipò da par suo ai numerosi banchetti di questo popolo raffinato. Greci e latini ce li descrivono golosi e mondani, sempre a tavola, circondati da bellissimi schiavi che servivano cibi succulenti e grandi coppe di vino. Qui la terra è sempre stata generosa come attesta la sezione dedicata alle risorse alimentari. Si coltivava orzo, farro e grano in quantità, legumi e fichi; si allevavano maiali e ovini, si cacciavano cervi e selvaggina. I contadini producevano olio e vino e quel che mancava lo si importava dalla Grecia o dall’Etruria centrale. Quando poi banchettavano, almeno i più ricchi, l’abbondanza era servita. I cuochi preparavano grossi tranci di carne arrostita o bollita e condita con salse a base di cereali, verdure e spezie. La carne -cibo di lusso- era accompagnata da focacce, uova e verdure e il pasto di chiudeva con frutta e dolciumi. Il tutto annaffiato con vino annacquato e insaporito con spezie, miele o formaggio grattugiato. Il vasellame da mensa era altrettanto lussuoso. Raffinate stoviglie, scodelle, piatti e vassoi decoravano la tavola, il vino era miscelato in grandi crateri, attinto con brocche e versato in calici e tazze. Accanto ai vasi etruschi c’erano costosi vasi greci con splendide decorazioni e sfavillanti servizi in bronzo che erano poi deposti nelle tombe per consentire al defunto di continuare a banchettare con gli dei. Le necropoli del VI-IV sec.a.C. hanno restituito preziose ceramiche attiche e a vernice nera tra cui spiccano crateri, kylikes (coppe) e uno straordinario kantharos bifronte con teste di menade e di satiro. Proprio questi vasi sono i protagonisti della sezione dedicata all’ideologia del simposio. Mutuato dalla pratica greca -salvo per la presenza delle donne che li avrebbe scandalizzati- il rito del symposion, cioè del banchetto, è ampiamente attestato a Marzabotto. Praticato in origine dagli aristocratici quale esibizione di status e occasione sociale d’élite, il simposio aveva un valore simbolico -legato in particolare al culto di Dioniso- che si esprimeva nella ritualità della preparazione e del consumo del vino e nella presenza durante il convivio di musica, danza, poesia e giochi. Come sempre, ciò che resta è la testimonianza di un ceto dominante. Sulle mense dei meno abbienti c’erano soprattutto tazze e brocche in ceramica rosa e giallastra -per lo più senza decorazione- prodotte in abbondanza nei laboratori della città; l’alimentazione era a base di cereali e legumi, si consumava carne solo in occasioni religiose e il piatto quotidiano era la farinata o la tipica puls, una sorta di porridge a base di fava, piselli o ghiande. Su tutto questo veglia Fufluns, nudo e brindante, forse non troppo ansioso di tornare nella sua casa adottiva al Museo Nazionale di Firenze.
Città: | Marzabotto (BO) |
Luogo: | Museo Nazionale Etrusco "Pompeo Aria", Via Porrettana sud n. 13 |
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